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Il divorzio: presupposti, procedimento ed effetti

Scritto da Mario Dotti

 

Fino al 1970, l’unica causa di scioglimento del matrimonio, era costituita dalla morte dei coniugi. Questo perché lo Stato italiano, aveva fatto proprio il principio di diritto canonico di indissolubilità del matrimonio.

Con il trascorrere del tempo e gli avvenuti cambiamenti sociali, incontra sempre maggiori consensi l’idea che occorra venire incontro a quelle coppie la cui comunione di vita ed affetti risulta irrimediabilmente compromessa.

Così, a seguito di contrasti tra la componente cattolica e laica, nel 18 dicembre 1970, è entrata in vigore la legge n°898, sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio.

Con il referendum del 1974, il principio della dissolubilità del matrimonio, si è definitivamente consolidato nel nostro ordinamento, come principio rispondente ai valori ed alle esigenze degli italiani.

Il referendum fu preceduto da numerosi scontri ideologici. Per coloro che avevano promosso la legge, il divorzio rappresentava il conferimento della massima libertà ed autonomia al rapporto matrimoniale. In più dava la possibilità di regolarizzare situazioni in cui uno dei due coniugi aveva già alle spalle una precedente esperienza matrimoniale.

Coloro che, invece, non sostenevano la legge, pensavano che l’introduzione del divorzio, avrebbe aperto una breccia nel fondamento della famiglia stabile.

La legge n°898 del 1970 ha anticipato, per quanto riguarda alcuni concetti, la legge n°151 del 19 maggio 1975 sulla riforma del diritto di famiglia. L’interesse morale e materiale dei figli, è il parametro esclusivo di riferimento nell’affidamento. Al fine di salvaguardare il coniuge più debole, è stata introdotta la previsione di un assegno che, uno dei coniugi è obbligato a somministrare all’altro, in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. 

Per rispondere a nuove esigenze, la legge n°898 del 1970, è modificata dalla legge n°436 del 1 agosto 1978 e dalla n°74 del 6 marzo 1987.

Con le suddette modifiche, si è inteso tutelare in misura maggiore il coniuge più debole e prendere ancora più in considerazione l’interesse del minore.

Si concretizza la natura assistenziale dell’assegno, il suo adeguamento automatico almeno agli indici di svalutazione monetaria. Si introduce l’affidamento congiunto o alternato e l’affidamento familiare. Si prevedono, inoltre, tempi più brevi per la durata della separazione quale causa di divorzio. Procedure che in caso di accordo tra le parti, rendono più rapida la conclusione del processo.

Si possono avere varie concezioni di divorzio:

-divorzio sanzione, ammesso solo in caso di condotta colposa di un coniuge verso l’altro coniuge;

-divorzio consensuale, attuabile sulla base del semplice consenso dei coniugi;

-divorzio rimedio, ammesso quando sia fallita la società coniugale.

L’idea di divorzio accolta dalla legge n°898 del 1970, è soprattutto quella di divorzio quale rimedio oggettivo ad una realtà oggettiva di impossibilità della prosecuzione della convivenza.

La famiglia è una società che si fonda sulla comunione spirituale e materiale dei coniugi, attribuisce valore all’apporto personale, non solo reddituale di ciascuno. Una società che quando tale comunione non è più attuabile, può sciogliersi. 

Presupposti 

Come scritto nell’art.1 della legge n°898, “il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui al successivo articolo 4, accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi, non può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause previste dall’art.3.”

Perché  si possa giungere alla pronuncia del divorzio devono ricorrere due presupposti: la cessazione della comunione spirituale e materiale dei coniugi e l’esistenza di una delle cause previste dall’art.3.

    Tali cause sono:

    Condanna definitiva

  1. all’ergastolo, o a pena superiore ai quindici anni di reclusione,      per uno o più delitti non colposi. Esclusi reati politici o commessi per motivi di particolare valore morale o sociale.
  2. A qualsiasi pena detentiva per i delitti di incesto, violenza sessuale, induzione, costrizione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.
  3. A qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio o per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio.
  4. Per lesioni personali gravissime, violazione degli obblighi di assistenza familiare, maltrattamenti in famiglia, circonvenzione di incapaci a danno del coniuge o del figlio. 

- Assoluzione per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti al punto 2 e 3, se è accertata l’inidoneità a mantenere e ricostruire la convivenza familiare.

-Sentenza di non dover procedere per estinzione di reato in uno dei casi previsti nei punti 2 e 3, se sussistono gli estremi per la punibilità.

-Sentenza di proscioglimento o assoluzione relativa al delitto di incesto, per mancanza di pubblico scandalo.

- Annullamento o scioglimento del matrimonio ottenuto all’estero dal coniuge straniero o nuovo matrimonio contratto all’estero.

-Mancata consumazione del matrimonio.

- Passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione del sesso.

- Separazione legale pronunciata, protrattasi per almeno tre anni. 

È bene specificare che, nei casi in cui il matrimonio sia stato celebrato con rito religioso, il giudice, pronuncia la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il vincolo matrimoniale contratto secondo il rito religioso, è indissolubile. Per il matrimonio civile, invece, si parla di scioglimento del matrimonio. In entrambi i casi, comunque, il Giudice, deve accertarsi che la comunione materiale e spirituale tra i coniugi, non possa essere mantenuta o ricostituita. 


Il procedimento
 

Il procedimento per ottenere lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili dello stesso ha inizio su ricorso di un coniuge, da notificarsi all’altra parte o dietro presentazione di domanda congiunta.

Obiettivo della normativa che disciplina il procedimento del divorzio, è quello di giungere rapidamente alla decisione. Si vuole evitare che le vicende processuali, finiscano con l’aggravare la conflittualità tra i coniugi e con il pregiudicare la posizione del coniuge più debole e dei figli.

La riforma del 1987, ha dato un contributo rilevante alla rapidità del giudizio di divorzio. È stato, infatti, introdotto accanto al procedimento ordinario, un procedimento abbreviato, su ricorso congiunto di entrambi i coniugi. Quest’ultimo, presuppone un accordo delle parti sullo scioglimento del vincolo, nonché sulla completa regolamentazione dei rapporti patrimoniali reciproci e della condizione dei figli. Si consente, inoltre, che le parti siano rappresentate da un unico procuratore legale, poiché l’accordo tra parti esclude un conflitto di interessi. Comunque, il Giudice, potrà esercitare il controllo sull’equità dell’accordo.

Non si può  parlare, però, di divorzio consensuale, poiché l’accordo tra coniugi non è sufficiente, il giudice deve verificare comunque la sussistenza di una delle cause indicate nell’art.3, per giustificare lo scioglimento del matrimonio.

Al divorzio pronunciato su domanda congiunta, si può pervenire anche attraverso la trasformazione del processo su domanda unilaterale, per un accordo fra coniugi, intervenuto dopo la proposizione della domanda unilaterale.

Poiché, invece, il procedimento di divorzio su domanda unilaterale, si svolge nel contraddittorio con l’altra parte, non si è mai dubitato che le parti, per costituirsi in giudizio, non devono essere rappresentate da un unico procuratore legale.

Come scritto nell’art.4: “La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, si propone al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio oppure, nel caso di irreperibilità o di residenza all’estero, al tribunale del luogo di residenza o domicilio del ricorrente e, nel caso di residenza all’estero di entrambi i coniugi, a qualunque tribunale della Repubblica. La domanda congiunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’uno o dell’altro coniuge.”

     Tale domanda deve contenere:

  • l’indicazione del Giudice.
  • Il nome e cognome, la residenza o il domicilio del ricorrente, il nome, il cognome e la residenza o il domicilio del coniuge convenuto.
  • L’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, con le relative conclusioni.
  • L’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui avvalersi.

La domanda di cui sopra, non può essere proposta dall’interdetto per infermità mentale, nemmeno tramite il tutore.

Ciò perché, colui che non ha capacità a contrarre matrimonio, non può  avere la capacità di sciogliersi da esso. Inoltre un terzo, in questo caso il tutore, non può disporre su un rapporto personalissimo .

Il cancelliere comunica il ricorso all’ufficio dello stato civile del luogo ove il matrimonio fu trascritto, per l’annotazione in calce all’atto. Nel ricorso deve essere indicata l’esistenza di figli legittimi, legittimati ed adottati.

Il Giudice, fissa l’udienza di comparizione delle parti, nei cinque giorni che seguono la suddetta presentazione.

L’intervento di terzi (ad esempio figli), nel processo di divorzio, è da ritenersi improponibile. È invece ammissibile per quel che riguarda le domande accessorie o connesse, riguardanti interessi patrimoniali ed extra patrimoniali, ad esempio, assegno di mantenimento o affidamento dei figli.

La prima fase del giudizio, si svolge davanti al presidente del tribunale che, deve tentare la conciliazione dei coniugi. Questi, devono “comparire personalmente, salvo gravi e comprovati motivi ed essere sentiti prima separatamente, poi congiuntamente. Se i coniugi si conciliano o, comunque, se il coniuge istante dichiara di non voler proseguire nella domanda, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione o della dichiarazione di rinuncia all’azione”.

La comparizione dei coniugi avanti al presidente del tribunale, ha due scopi: sperimentare la conciliazione tra le due parti; adottare provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole.

Il presidente del tribunale, se il coniuge convenuto non compare, o la conciliazione non riesce, può disporre, con un’ordinanza, i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole.

Qualora la mancata comparizione di uno o entrambi i coniugi, sia dovuta a gravi e comprovati motivi di carattere transitorio, l’udienza di comparizione dovrà essere rifissata.

I provvedimenti temporanei ed urgenti, hanno la funzione di dare un regolamento essenziale alla famiglia in crisi, considerando gli interessi dei coniugi e dei minori.

Per i provvedimenti riguardanti i minori, non vi sono limiti contenutistici. Riguardo ai coniugi, il Giudice potrà provvedere solo nei casi in cui un’omessa regolazione pregiudichi la salute o la libertà di uno dei coniugi. È prassi autorizzare i coniugi a vivere separati.

Sempre il presidente del tribunale, nomina il Giudice istruttore per la prosecuzione del giudizio. Questi può modificare o revocare i provvedimenti presidenziali.

Nella seconda fase del procedimento, avanti il Giudice istruttore, il convenuto può  adottare tre comportamenti: opporsi alla domanda di divorzio; non opporsi a tale domanda; chiedere anche lui il divorzio.

Il processo di divorzio, si conclude con sentenza. Questa, è impugnabile da entrambi i coniugi, o dal pubblico ministero, nell’interesse dei figli minori o legalmente incapaci.

La sentenza di primo grado che, dispone la corrispensione dell’assegno post-matrimoniale, è provvisoriamente esecutiva. Il Giudice, può disporre che l’assegno sia dovuto dal momento della domanda. Qualora, invece, sia richiesta un’indagine approfondita sulla situazione economica delle parti, ai fini della liquidazione dell’assegno, il tribunale, può emettere sentenza di divorzio, mentre il procedimento continua solo per l’adozione di provvedimenti economici.

Le pretese economiche, possono essere avanzate dal coniuge che ne ha diritto, anche dopo l’intervento della sentenza definitiva di divorzio.

Tutti i provvedimenti che disciplinano i rapporti fra gli ex coniugi, quelli riguardanti genitori e figli, sono modificabili qualora mutino i presupposti sui quali si fondavano.

Il procedimento di divorzio, si estingue se sopraggiunge la morte di uno dei coniugi, prima che venga pronunciata la sentenza definitiva di scioglimento del matrimonio. 


Effetti personali
 

L’accoglimento della domanda di divorzio proposta da uno dei coniugi o congiuntamente, determina effetti di ordine personale e patrimoniale, sia nei confronti dei coniugi, sia nei confronti dei figli.

Riguardo agli effetti personali, dallo scioglimento del matrimonio deriva l’estinzione del vincolo coniugale. I coniugi, riacquistano lo stato libero e la possibilità di passare a nuove nozze.

Come scritto nell’art.10, “Lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio, hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell’annotazione della sentenza”.

Dunque il nuovo matrimonio, contratto prima della formalità della annotazione, farebbe incorrere nel reato di bigamia.

Il Codice del 1942, inserito in un sistema che non concepiva il divorzio, prevedeva il lutto vedovile, la donna non poteva contrarre matrimonio nei trecento giorni dallo scioglimento. Introdotto il divorzio, si è applicata la suddetta norma, anche ai casi di scioglimento del matrimonio per divorzio. Lo scopo è evitare incertezze riguardo la paternità.

Con la riforma del diritto di famiglia del 1975 e la legge n°74 del 1987, sono stati esclusi dal divieto di cui sopra, i casi in cui il divorzio è pronunciato per inconsumazione o separazione protratta.

Altra conseguenza della pronuncia di scioglimento del matrimonio, è la perdita per la moglie, del diritto di usare il cognome del marito. Prima della riforma del 1987, nel testo di legge si disponeva che la moglie potesse riacquistare il cognome che essa aveva prima del matrimonio.

Questo perché, il Codice civile vigente nel 1970, prevedeva che la moglie, con il matrimonio, assumesse il cognome del marito. La riforma del 1975, ha, invece, stabilito che la moglie aggiunge al proprio cognome, quello del marito. Così, nella legge n°74 del 1987, leggiamo: “La donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio”.

Il giudice può autorizzare la moglie a continuare ad aggiungere al proprio cognome quello del marito “quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela”. La sentenza è impugnabile da entrambe le parti.

Il diritto viene meno con il passaggio della donna a nuove nozze, poiché la donna acquista il cognome del secondo marito, aggiungendolo al proprio.

Nei rapporti fra genitori e figli, vige l’obbligo “di mantenere, educare ed istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio di cui sia stato pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili”. Tale obbligo, “permane anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o entrambi i genitori”.

Altro effetto personale è la conservazione del diritto dell’assistenza sanitaria nei confronti dell’ente mutualistico da cui è assistito l’altro coniuge. 

Effetti patrimoniali 

Sono effetti patrimoniali della sentenza di divorzio:

  • scioglimento della comunione legale;
  • assegno post matrimoniale;
  • tutela previdenziale;
  • diritto ad una percentuale sull’indennità di fine rapporto di lavoro dell’ex coniuge;
  • assegno successorio a carico dell’eredità dell’ex coniuge defunto;
  • abitazione della casa familiare.

 

Per l’assegnazione dell’assegno post matrimoniale, nella legge n°898 del 1970, si faceva riferimento a tre criteri: assistenziale, risarcitorio e compensativo. Si doveva, quindi, tenere conto delle condizioni economiche dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale di ciascun coniuge alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi.

La legge n°74 del 1987, ha stabilito che l’attribuzione di tale assegno, è subordinata all’inesistenza di mezzi adeguati ed all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Si privilegia così la componente assistenziale.

Al coniuge più debole economicamente deve essere garantito un mantenimento dignitoso, che può anche non corrispondere al precedente tenore di vita matrimoniale.

Per giudicare la possibilità dell’altro coniuge di corrispondere l’assegno, si fa riferimento ai redditi ed alle sostanze di cui egli è titolare.

Entrambe le parti, per l’accertamento della loro condizione economica, devono presentare in giudizio la denunzia dei redditi. Se sorgono contestazioni, il tribunale può disporre indagini mediante la polizia tributaria.

I criteri risarcitori o compensativi non possono giustificare la concessione dell’assegno, ma influire solo sull’entità della somma.

Ad esempio, il Giudice potrà diminuire l’importo dell’assegno predisposto a favore del coniuge responsabile del divorzio, o aumentare l’assegno a suo carico, da corrispondere all’altro coniuge.

Oppure, potrà  aumentare la somma liquidata a favore del coniuge il quale, con il proprio impegno personale abbia favorito l’arricchimento dell’altro coniuge.

Infine, il Giudice dovrà tenere conto della durata del matrimonio, quale elemento che comporta una maggiore o minore assuefazione del coniuge al godimento del tenore di vita matrimoniale.

Riguardo ai provvedimenti di natura economica, è provvisoriamente esecutiva la sentenza di primo grado.

L’assegno può essere liquidato mediante una somma periodica, o un’unica soluzione. Nel primo caso, bisognerà stabilire un criterio di adeguamento automatico della somma stessa, almeno in riferimento agli indici di svalutazione monetaria.

Con la seconda modalità di pagamento, si riducono i rischi di inadempimento e di ulteriori richieste economiche.

L’assegno può subire variazioni, anche in seguito al cambiamento della situazione di bisogno del creditore o delle condizioni economiche del debitore.

Il diritto all’assegno, si estingue per morte di una delle due parti, per impossibilità economica dell’obbligato, per cessazione dello stato di bisogno o per passaggio del creditore a nuove nozze.

Il tribunale, inoltre, “A colui al quale è stato riconosciuto il diritto alla corrispensione periodica di somme di denaro a norma dell’art.5, qualora versi in stato di bisogno, può attribuire un assegno periodico a carico dell’eredità. Tenendo conto dell’importo di quelle somme, dell’entità del bisogno, dell’eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della quantità degli eredi e delle loro condizioni economiche. L’assegno non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall’articolo 5 sono stati soddisfatti in un’unica soluzione”.

Lo scioglimento del matrimonio, dunque, determina la perdita di tutti i diritti che la legge attribuisce sulla successione del coniuge, fatta eccezione per un assegno di carattere alimentare, a carico dell’eredità del coniuge defunto.

Anche per quanto riguarda tale assegno, “la corresponsione, può avvenire in un’unica soluzione. Il diritto all’assegno si estingue se il beneficiario passa a nuove nozze o viene meno il suo stato di bisogno. Qualora risorga lo stato di bisogno l’assegno può essere nuovamente attribuito”.

Sotto il profilo della tutela previdenziale, il coniuge divorziato ha diritto a godere del trattamento di reversibilità, cioè, a ricevere la pensione di invalidità o di vecchiaia spettante all’ex coniuge defunto e gli altri assegni aventi natura previdenziale.

Devono ricorrere i seguenti presupposti: il rapporto di lavoro da cui traggono origine pensione e assegni, deve essere sorto anteriormente alla sentenza di scioglimento del matrimonio.

Il coniuge che la pretende, non deve essere passato a nuove nozze e deve essere titolare dell’assegno post matrimoniale.

Il coniuge richiedente che si trova in una situazione di disagio economico, può  dunque pretendere di partecipare al godimento dei redditi dell’altro.

Il diritto a ricevere la pensione è autonomo rispetto a quello relativo all’assegno post matrimoniale e non ne rappresenta la continuazione.

Se fra i soggetti aventi diritto al trattamento di reversibilità, è vivo solo l’ex coniuge, egli ha diritto a ricevere l’intera pensione. Se, invece, sopravvive anche il coniuge del defunto oppure una pluralità di ex coniugi, in possesso dei requisiti per ricevere la pensione, essa va ripartita fra tutti, su decisione del tribunale, tenuto conto della durata del matrimonio e della condizione economica degli aventi diritto.

Il diritto alla pensione si estingue con il passaggio a nuove nozze dell’ex coniuge.

Il coniuge cui spetta l’assegno post matrimoniale, ha anche diritto ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto di lavoro, relativa al periodo in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.

Anche in questo caso, il passaggio a nuove nozze, fa perdere il diritto all’indennità.

Infine al coniuge divorziato, può essere riconosciuto il diritto di abitare la casa familiare. Il diritto in esame, spetta di preferenza al coniuge affidatario dei figli o con il quale essi vivono anche oltre la maggiore età.

Occorre anche tenere conto delle esigenze del coniuge più debole.

Il diritto può modificarsi in seguito al mutamento della situazione delle parti o estinguersi per nuove nozze del coniuge titolare. 


L’affidamento dei figli
 

Il tribunale, dispone a quale dei coniugi, debbono essere affidati i figli, sancendo a carico dell’altro l’obbligo di contribuire al mantenimento. Inoltre “adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Ove il tribunale lo ritenga utile agli interessi dei minori, anche in relazione all’età degli stessi, può essere disposto l’affidamento congiunto o alternato”.

L’esercizio della potestà, spetta al coniuge cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del tribunale. Come possiamo leggere nell’art.6, “le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori”. Inoltre, “il genitore cui i figli non siano affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione e educazione e può ricorrere al tribunale quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse”

Il tribunale può cambiare affidatario qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate.

L’affidamento, non ha assolutamente carattere sanzionatorio per uno dei genitori.

Il genitore non affidatario, ha il diritto-dovere di visita, al fine di mantenere i rapporti con l’intero nucleo familiare, di assicurare il proseguo di quei rapporti affettivi che garantiscono uno sviluppo equilibrato della personalità del figlio. Si tenta così di limitare il danno derivante dalla disgregazione familiare.

I rapporti con il genitore non affidatario, possono essere limitati, nel caso in cui comportino un pregiudizio allo sviluppo psico-fisico del minore.

Nell’ipotesi di temporanea difficoltà, può essere disposto l’affidamento familiare.

L’affidamento congiunto, consente di eliminare l’ottica conflittuale dell’affidamento ad uno dei genitori e del controllo da parte dell’altro. Permette di realizzare un rapporto paritariamente partecipativo da parte di entrambi i genitori. L’interesse dei figli è realizzabile per mezzo di un responsabile impegno e di una precisa volontà di accordo.

I figli mantengono la stessa relazione con entrambi i genitori e crescono in conformità  ad un unico e concorde progetto educativo. A tale tipo di affidamento, si può giungere anche con l’aiuto fornito al Giudice dall’intervento dei servizi sociali e dello psicologo. Il Giudice potrà decidere per un affidamento congiunto con residenza privilegiata o alternata.

L’affidamento congiunto è sicuramente lo strumento più idoneo a garantire la tutela dei figli nell’affidamento a genitori divorziati, ma è raro. Ciò perché non giova a suo favore l’esasperata conflittualità tra coniugi. A tal fine si richiede anche nel nostro ordinamento, la figura del mediatore familiare.

Nell’affidamento alternato, il minore viene affidato per periodi prefissati ed in modo alternato, ad uno dei genitori. Il singolo genitore, durante quel periodo, esercita, indipendentemente dall’altro, la potestà genitoriale.

Il tribunale fissa, inoltre, la misura dell’assegno di mantenimento relativo ai figli. Può anche determinare un criterio di adeguamento dello stesso, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Al versamento di tale contributo, è tenuto il coniuge non affidatario dei figli.

L’obbligo di mantenere i figli, non cessa automaticamente al compimento della maggiore età, ma può perdurare fin quando essi non abbiano raggiunto una propria autonomia ed indipendenza economica.

Se il figlio ha raggiunto la maggiore età e cessa l’affidamento ad uno dei genitori, l’assegno deve essere versato direttamente a lui.

È bene precisare che, poiché i provvedimenti relativi alla prole vanno adottati con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa, il Giudice li può adottare d’ufficio, senza che occorra domanda di alcuno. 
 

Riferimenti bibliografici 

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Bartolini F., Pastore R., I nuovi procedimenti di separazione, divorzio e affidamento condiviso, La Tribuna, 2006. 
Bellisario E., Mazzoni S., Affido congiunto e mediazione familiare. Linee di riforma
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Ferrando G., Fortino M., Ruscello F., (a cura di), Famiglia e matrimonio. Relazioni familiari, matrimonio, famiglia di fatto, separazione, divorzio, Giuffrè Editore, Milano 2002.

Parkinson L., Separazione, divorzio e mediazione familiare, Centro Studi Erickson, Trento 1995.

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