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Le nuove disposizioni anti-usura: progresso o involuzione?

Scritto da Maria Stella Mancuso

La disciplina riguardante il delitto di usura si è dimostrata essere di difficile applicazione; ciò si può notare sia dalla non univoca giurisprudenza formatasi in questo settore, sia dalla molteplicità di interventi legislativi che si sono susseguiti sino ad oggi. Il primo intervento sulla normativa anti-usura prevista originariamente dal Codice Rocco, risale al 1992, anno in cui fu approvato il D.L. 8 giugno 1992 n. 306, recante "Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa", poi convertito, con modifiche nella Legge 7 agosto 1992 n. 356. Verranno analizzati, di seguito, i motivi che hanno causato l'insuccesso della disciplina previgente, ed il conseguente intervento correttivo da parte del Legislatore, realizzato attraverso la Legge 7 marzo 1996, n. 108.

La disciplina anti-usura era contenuta negli articoli 644 (usura) e 644-bis (usura impropria ), del codice penale.I requisiti essenziali, per la configurazione dell'ipotesi base, erano essenzialmente tre: a) l'esistenza dello stato di bisogno del soggetto passivo; b) la consapevolezza di tale condizione ed il relativo approfittamento da parte del soggetto attivo; c) la sussistenza di un vantaggio usurario.Il delitto, pertanto, risultava interamente incentrato sulle condizioni soggettive, tanto del soggetto attivo, quanto della vittima. Proprio questo aspetto, ha contribuito a rendere, pressoché inapplicabili, le disposizioni, così come riformate dalla L. 356/92, senza il previo intervento del giudice, tendente a riconfigurare il reato stesso, alla luce del caso concreto.

Simili difficoltà interpretative sono state la causa prima, della scarsissima perseguibilità della fattispecie in esame, nonostante il fenomeno usura sia, fin troppo spesso, balzato agli onori della cronaca, per il suo largo impiego, soprattutto da parte della criminalità organizzata, che, ha fatto del binomio riciclaggio-usura, un temibile strumento per "ripulire" le grandi quantità di denaro "sporco" proveniente dalle numerose attività illecite. La vaga formulazione della norma, ha sollevato, innanzitutto, questioni di legittimità costituzionale, sotto il profilo della indeterminatezza della prestazione, per violazione del principio di tassatività, di cui all'art. 25 Cost., determinando, in capo all'interprete, un eccessivo potere discrezionale, in ordine all'accertamento della sussistenza del reato. La formulazione della norma (comprensiva di usura pecuniaria e di mediazione usuraria, al secondo comma), era infatti delineata in termini esclusivamente soggettivi; basti pensare che l'illecito ruotava attorno ad un elemento, quale l'approfittamento da parte del soggetto attivo, dello stato di bisogno della vittima.Costituendo, quest'ultimo, una mera condizione psicologica, ben si può comprendere quanto fosse arduo il compito del giudice, il quale si trovava a dover risolvere, il caso concreto, servendosi di strumenti tutt'altro che determinati o facilmente determinabili. L'unico modo per rendere la disciplina più facilmente adattabile ed utilizzabile è stato quello di affidarsi all'elaborazione giurisprudenziale.

La Corte di Cassazione, in questi anni ha provveduto a creare dei veri e propri binding precedents, che hanno, in un certo senso, restituito alla fattispecie in esame qualche elemento di certezza su cui potersi basare.Si è così giunti a considerare lo stato di bisogno, una "condizione psicologica in cui la persona si trova, per la quale non ha piena facoltà di scelta (...), che può essere di qualunque natura, specie e grado; ma soprattutto può essere indifferentemente determinata da pericoli, sventure ed anche colpe inescusabili (...)" del soggetto passivo (1)

L'origine di tale situazione, risulta ininfluente, così come può indistintamente essere riferita anche a soggetti diversi dalla vittima, nei confronti dei quali, il soggetto passivo, abbia comunque un dovere giuridico e morale di attivarsi.Requisito imprescindibile, per identificare lo stato di bisogno è rappresentato dall'esistenza di una situazione, che limiti la volontà del soggetto, il quale, scende a compromessi, per accettare di contrattare in condizioni di inferiorità psichica; non deve, comunque, trattarsi di esigenze di mero prestigio sociale. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione - Sezione II penale- sentenza 14 gennaio-14 aprile 1998 n. 4386, ha però seguito un'interpretazione restrittiva del concetto di "stato di bisogno", rispetto a quanto stabilito dalla prevalente giurisprudenza (2). I giudici di legittimità hanno infatti statuito che lo stato di bisogno debba "ricollegarsi necessariamente a necessità socialmente apprezzabili ed essere escluso qualora il soggetto si riprometta dal prestito uno scopo di lucro sotto il profilo dell'investimento del denaro ricevuto". La Massima sopra riportata, nonostante sia stata redatta alla luce della previgente normativa risulta comunque interessante, poiché applicabile all'aggravante dello stato di bisogno, così come stabilito dalla L. 108/1996.

L'altro nucleo fondamentale della fattispecie, era quello riguardante la dazione o promessa, di interessi od altri vantaggi usurari, in presenza dei quali, il delitto fosse o meno configurabile. La norma non forniva, anche in questo caso, alcuna specificazione, circa il carattere che essi dovevano possedere. Il compito affidato al giudice di merito risultava pertanto eccessivamente arduo, in quanto doveva valutare, caso per caso, quando gli interessi e gli altri vantaggi eventualmente pattuiti, si dovessero o meno, considerare usurari.Anche da tale situazione, si sono evidenziati forti disagi interpretativi, dovuti nuovamente all'eccessiva vaghezza della fattispecie.

Per risolvere questa situazione di impasse la giurisprudenza si è sforzata di cristallizzare dei principi alla luce dei quali, considerare usurari quegli " interessi che in modo palese, siano notevolmente superiori a quelli che di regola vengono corrisposti per simili prestazioni, tenuto conto degli oneri e del rischio inerente" (3).

Da quanto prospettato è emersa la necessità di un nuovo intervento del Legislatore, fortemente auspicato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza. Con la L. 7 marzo 1996, n. 108, nei diciotto articoli di cui si compone, è stata disposta l'unificazione delle figure di usura propria ed impropria, nonché una incisiva modifica degli elementi costitutivi del reato, della determinazione della pena edittale e delle circostanze aggravanti. Questa è in sintesi, la griglia utilizzata dal Legislatore, per adattare la normativa in esame alla mutevole realtà e far fronte agli innumerevoli interrogativi, sorti anteriormente alla sua entrata in vigore.

L'elemento maggiormente innovativo, consiste nello sforzo di modellare la materia, secondo parametri oggettivi, più rispondenti alla ratio garantista che ispira l'intero ordinamento giuridico, alla luce del principio di tassatività e certezza del diritto. Per raggiungere tale obiettivo è stato introdotto, un rigido criterio di determinazione del tasso usurario: ai fini della individuazione della nozione di "usurarietà" degli interessi, il nuovo art. 644 c.p., sancisce che si debba fare ricorso, non più alla discrezionalità del giudice, bensì, alla previsione di un tasso legale, normativamente determinato, superato il quale, il reato sarà automaticamente configurabile, senza più la necessità di verificare l'approfittamento da parte del soggetto attivo, delle condizioni di inferiorità in cui versi la vittima.

La struttura normativa adottata, rende la nuova fattispecie un reato di pericolo presunto, per la sussistenza del quale è sufficiente la realizzazione della condotta vietata ed il pericolo viene presunto juris et de jure, senza che possa essere fornita alcuna prova contraria, essendo ravvisabile il cd. dolus in re ipsa .

La ratio è dettata dalla esigenza di evitare il riprodursi di tutte quelle questioni interpretative ed applicative, che hanno ostacolato la perseguibilità dell'ipotesi delittuosa in questione, così come testimoniato dalla sentenza sopra riportata. Invero, anche la nuova normativa è già stata oggetto di numerose critiche e dubbi di legittimità costituzionale. L'introduzione di una soglia limite, sebbene riporti la fattispecie, entro quei limiti, sanciti anche a livello costituzionale, necessari per garantire la certezza del diritto, pone una delicata questione.L'art. 2 della legge rinvia al Ministro del Tesoro la competenza di fissare i tassi effettivi globali medi, il cui superamento determinerà l'usurarietà degli stessi.

Il nodo della questione non riguarda semplicemente la delega introdotta, bensì il fatto che la norma, così come strutturata, rientri nella discussa categoria delle cd. "norme penali in bianco", in cui il precetto difetta di certezza ed attualità, prevedendo il suo completamento da parte di un elemento futuro di grado inferiore. Tali norme sono una realtà accettata dalla maggior parte dei giuristi (4); il problema ulteriore nel caso di specie è rappresentato dal fatto che il rinvio attuato, attiene ad elementi di primaria importanza e non semplicemente a dettagli o determinazioni tecniche.

Per questo motivo, un'autorevole dottrina (5) ha prospettato dubbi di legittimità costituzionale riguardo l'art. 2 della L. 108/96, nella parte in cui delega la determinazione dei tassi usurari a successivi decreti del Ministro del Tesoro, per violazione dell'art. 25 Cost. L'intento del Legislatore di regolare la disciplina, in modo da evitare quell'abuso di discrezionalità da parte del giudice, appare più teorico che pratico. L'art. 2 nella seconda parte del comma 3 prevede che il delitto di usura possa ugualmente sussistere, tutte le volte in cui si accerti che gli interessi o gli altri vantaggi, pur essendo inferiori al tasso soglia, denotino comunque una sproporzione del sinallagma.

Torniamo così alla incerta determinazione presente nella previgente disciplina a differenza della quale però la nuova formulazione richiede, quale presupposto del reato, la rappresentazione da parte del soggetto attivo delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria del soggetto passivo. Ciò non appare del tutto in linea, con i principi ispiratori della riforma del 1996, viste soprattutto, le problematiche che ha fatto sorgere in capo all'interprete e di cui è stato trattato in precedenza (6).

Oltre ai rilievi già svolti, la formulazione di questa parte dell'art. 644 c.p., pone nuove questioni interpretative: innanzitutto il mancato collegamento con le disposizioni civilistiche, in particolare con l'art. 1448 c.c., laddove prevede la possibilità di rescissione del contratto, nei casi di sproporzione tra le prestazioni, ove si verifichi una lesione ultra dimidium. La situazione venutasi a creare è a dir poco irrazionale, dal momento che la sanzione penale viene a scattare ancor prima della corrispondente civile, ciò naturalmente in contrasto con il principio di extrema ratio della tutela penale (7).

Tornando comunque alle situazioni di maggiore incertezza che hanno caratterizzato la materia prima dell'entrata in vigore della L. 108/96, notiamo come il Legislatore, nei confronti dell'elemento dello stato di bisogno, abbia soltanto parzialmente eliminato tale requisito, per poi inserirlo quale ipotesi aggravante, ad effetto speciale, nella nuova formulazione dell'art. 644 c.p., con l'unica differenza che non è più richiesto il suo approfittamento, ma solo la sua conoscibilità da parte dell'agente (8). La nuova fattispecie incriminatrice prevede, inoltre, altre quattro aggravanti oltre a quella sopra citata, tra cui anche l'ipotesi di cui all'art. 644 bis c.p. (usura impropria), unica norma della precedente riforma, ad aver incontrato il favore di dottrina e giurisprudenza (9).

Una importante innovazione attuata con le "Nuove disposizioni anti-usura" è quella che introduce espressamente, accanto all'ipotesi base di usura pecuniaria, anche la figura dell'usura reale, rimasta esclusa nella L. 356/92. Ci si domanda però, come conciliare il tasso-limite fissato per gli interessi e gli altri vantaggi usurari, a quelle "altre utilità" diverse dal denaro.Le soluzioni prospettate a questo riguardo sono, in realtà, piuttosto insoddisfacenti: alcune prevedono di considerare il termine "tasso" estensivamente, in modo da ricomprendervi i significati di "tariffa" o "prezzo"; altri si spingono oltre, suggerendo un'interpretazione antiletterale della congiunzione "e" posta fra "concrete modalità del fatto" e "tasso medio praticato" al fine di considerarla come una "o" (10).

L'estensione della tutela alla cd. "usura reale", introdotta dalla nuova legge, appare pertanto inapplicabile allo stato dei fatti, ad ulteriore testimonianza delle numerose contraddizioni presenti nella nuova legge. Da queste brevi considerazioni è già possibile dedurre, quanto sia ancora insufficiente la disciplina anti-usura, così come riformulata. Lo scopo del Legislatore è chiaramente identificabile nella volontà di rimediare ai problemi creati dalla L. 356/92 e soprattutto dall'esigenza di introdurre più validi strumenti nei confronti della lotta alla criminalità organizzata (11), ma la normativa introdotta presenta sempre troppe incertezze, linguistiche ed applicative, pertanto è auspicabile un successivo intervento integrativo.

(1) Cass. Sez.III, 12 febbraio 1982, in G.P. 1983, II, 133.

(2) Cfr. Cass. Sez. VI, 12 settembre 1996 n. 8604.

(3) MANTOVANI, Diritto Penale- parte speciale, Delitti contro il patrimonio, Padova, 1989, 194 ss.

(4) La dottrina prevalente è concorde nel ritenere la riserva di legge in materia penale come "relativa", in questo senso: MANTOVANI, Diritto Penale- parte generale, Padova,1996, 84 ss.; GAMBERINI, Riserva di legge, in INSOLERA-MAZZACUVA-PAVARINI-ZANOTTI (a cura di), Introduzione al sistema penale, I, Torino, 1997, 113.

(5) CARACCIOLI, Il reato di usura e le sue possibili connessioni con il credito bancario ed interfinanziario, Relazione al Convegno di Studi: "Il fenomeno dell'usura e l'intermediazione finanziaria e bancaria", Bari, 13 dicembre 1996.

(6) PROSDOCIMI, La nuova disciplina del fenomeno usurario, in Studium iuris,1996,779.

(7) MUCCIARELLI, Commento delle nuove disposizioni anti-usura, in Legislazione Penale, 3, 1997, 513.

(8) QUADRI, La nuova legge sull'usura ed i suoi diversi volti, in Il corriere giuridico, 1996, 365.

(9) CARACCIOLI, op. cit., 11; v. anche MUCCIARELLI, Commento all'art. 11-quinquies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, in Legislazione Penale, 1993, 137 ss.

(10) CAPERNA-LOTTI, Il fenomeno dell'usura tra esperienze giudiziarie e prospettive di un nuovo assetto normativo, in Banca borsa e titoli di credito, 1995,79.

(11) PROSDOCIMI, op. cit., 775.