Il diritto all’oblio

Diritto all'oblio: origine giurisprudenziale e tratti distintivi

Con un'importante pronuncia del 1998 la Corte di Cassazione ha definito in modo analitico il c.d. diritto all'oblio. Tale è il diritto di un soggetto a non veder nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente divulgate, qualora sia trascorso un notevole lasso di tempo dal loro accadimento e sia venuta meno l'utilità sociale alla divulgazione dell'informazione.

In ragione di ciò, il diritto all'oblio diviene strumento mediante il quale ciascun individuo può ricostruire la propria dimensione sociale impedendo che la vita passata costituisca ostacolo alla sua attuale identità.

Il diritto a essere dimenticati si configura come situazione giuridica autonoma, trasversalmente legata da un lato, alla tutela dei dati personali, dall'altro, alla protezione dell'identità personale degli individui.

Con il diritto di esercitare un controllo sulla circolazione delle informazioni, il diritto all'oblio ha in comune l'oggetto: l'interessato, infatti, ha perso la disponibilità di determinate informazioni in epoca remota e pretende che queste tornino nella sua sfera di controllo.

Il punto di contatto tra il diritto all'oblio e la tutela dell'identità personale è rappresentato, invece, dal risultato cui tali situazioni giuridiche sono rivolte, ossia la tutela dell'immagine attuale del soggetto, con la differenza che nell'ipotesi del diritto all'oblio le informazioni potenzialmente lesive sono risalenti nel tempo.

L'esigenza di tutelare la c.d. privacy storica degli individui si è avvertita soprattutto in relazione alla divulgazione di notizie che, in epoca remota legittimamente pubblicate, siano state riproposte all'attenzione mediatica.

Pertanto, la giurisprudenza ha individuato il diritto contrapposto a quello all'oblio nella libertà di manifestazione del pensiero, tutelato dall'art. 21 della Costituzione, equiparato ai diritti fondamentali riconosciuti agli individui dall'art. 2 della stessa.

Di conseguenza, i giudici di legittimità, al fine di determinare il necessario punto di equilibrio tra gli interessi in contrasto, hanno fatto ricorso agli elementi legittimanti l'esercizio del diritto di cronaca, la cui presenza esclude il reato di diffamazione o, in ogni caso, una lesione dell'onore e della reputazione. In particolare, tali criteri sono l'utilità sociale dell'informazione, la verità oggettiva o anche soltanto putativa (purché supportata da un serio e diligente lavoro di ricerca) e la forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione (Corte di Cassazione n. 5259/1984). Invero, l'utilizzo da parte della giurisprudenza del c.d. decalogo del giornalista si può considerare elemento indicativo di un'iniziale esitazione della stessa nei confronti della configurazione del diritto all'oblio quale situazione giuridica autonoma meritevole di tutela.

Nel 1996, l'annunciata messa in onda da parte della RAI di una serie televisiva avente ad oggetto la riproduzione di grandi processi del passato offrì l'occasione alla giurisprudenza di mostrare una prima apertura nei confronti del riconoscimento del diritto in questione .

In particolare, i protagonisti, a vario titolo coinvolti nelle vicende giudiziarie narrate, si rivolsero al Tribunale di Roma al fine di ottenere l'inibizione della messa in onda degli sceneggiati. Gli istanti sostennero che dalla nuova diffusione sarebbe derivata un'ingiustificata lesione della loro identità personale faticosamente ricostruita nel tempo rispetto a quella definitasi al momento dei fatti.

La risposta del Tribunale non fu, però, unitaria e l'accoglimento solo parziale delle istanze condizionò il riconoscimento stesso del diritto all'oblio.

Nelle ordinanze che concessero l'autorizzazione alla RAI per la riproduzione dei filmati venne messa in discussione da un lato, la configurabilità del diritto all'oblio, dall'altro, il presupposto sostanziale di tale situazione giuridica, ossia il venir meno, per il trascorrere del tempo, del ricordo di vicende passate.

Le ordinanze di accoglimento, invece, furono il risultato del bilanciamento tra diritti della personalità e libertà di manifestazione del pensiero: i giudici di merito, infatti, riconobbero il diritto all'oblio affermando, in primo luogo, che il decorso del tempo avesse determinato l'esclusione di vicende passate dal circuito divulgativo e, in secondo luogo, che il diritto in questione fosse configurabile come situazione giuridica autonoma trasversalmente legata al diritto alla riservatezza e alla protezione dell'identità personale.

Il punto di svolta verso il definitivo riconoscimento del diritto "ad essere dimenticati" si ebbe con la nota sentenza del 1998 n. 3679 della Corte di Cassazione: i giudici di legittimità, applicando il suesposto schema di bilanciamento sono giunti ad affermare l'esistenza di un autonomo diritto all'oblio definendone in modo analitico i tratti distintivi. In particolare, la giurisprudenza ha individuato un ulteriore elemento, da aggiungere al c.d. decalogo del giornalista, la cui presenza rende legittima la cronaca giornalistica facendo venir meno la facoltà in esame.

L'elemento da tenere presente in tale circostanza è l'attualità della notizia: in mancanza di essa, deve essere valutata, al momento della nuova diffusione, la rilevanza sociale dell'informazione. La passata pubblicazione, infatti, non costituisce da sola elemento sufficiente a configurare una legittima espressione del diritto di cronaca. Pertanto, questa valutazione determina la prevalenza o meno del diritto a essere dimenticati.

Nel caso in cui, poi, sia presente un interesse pubblico alla nuova diffusione il divulgatore non sarà esonerato dal far presente gli eventuali cambiamenti che l'identità dell'individuo abbia subito con il passare del tempo.

La Corte di Cassazione ha affermato che il diritto all'oblio si sostanzia nel giusto interesse di ogni individuo a non restare esposto per un periodo indeterminato agli ulteriori danni arrecati al suo onore e alla sua reputazione dalla reiterata diffusione di notizie risalenti, a meno che i fatti sopravvenuti siano idonei a rendere nuovamente attuale l'informazione.

L'introduzione del requisito dell'attualità della notizia ha comportato la definitiva configurazione dei tratti distintivi del diritto all'oblio: da un lato, il decorso di un notevole lasso temporale tra la prima e la seconda pubblicazione e, dall'altro, l'inesistenza di un'utilità sociale alla rievocazione delle vicende passate.

La giurisprudenza, pertanto, ha fondato la propria opera di bilanciamento sulla ponderazione dell'interesse sociale alla notizia, al fine di risolvere gli eventuali contrasti tra diritto ad essere dimenticati e libertà di manifestazione del pensiero.

Presupposto fondamentale di tale valutazione è l'esame del fattore temporale. Quest'ultimo, infatti, diviene elemento relazionale il cui esame congiunto con la gravità del fatto e il ruolo svolto dall'interessato nella vicenda permette di stabilire se sia legittimo il sacrificio del diritto individuale all'oblio a favore della finalità pubblica dell'informazione.

Dall'analisi dei singoli elementi della vicenda deriva, inoltre, la possibilità di individuare quali siano i soggetti interessati e quale tutela possa essere loro accordata in ragione della qualità e del ruolo svolto nei fatti di cronaca.

Infine, stante il carattere naturalistico del "fattore tempo" e la mancanza di un dato normativo, la giurisprudenza ha accertato per ogni fattispecie concreta la sussistenza dell'attualità della notizia evitando di stabilire aprioristicamente termini di prescrizione della memoria.

Il diritto all'oblio su Internet: archivi giornalistici on-line

L'avvento delle nuove tecnologie ha imposto un ripensamento del concetto tradizionale di diritto all'oblio, che si è dovuto necessariamente confrontare con le potenzialità comunicative di Internet.

A fronte delle peculiari caratteristiche della realtà virtuale e delle conseguenze che esse hanno avuto sul concetto di informazione, appare oggi impossibile parlare di un diritto a essere dimenticati.

La capacità conservativa della memoria digitale rispetto a quella umana ha determinato, infatti, un notevole cambiamento del valore della comunicazione da un punto di vista sia quantitativo sia qualitativo: la rete consente di archiviare un numero pressoché infinito di dati e, cosa ancora più importante, rende l'accesso ad essi libero e immediato.

Da ciò deriva un fenomeno di decontestualizzazione delle informazioni che permangono in una dimensione atemporale, slegate dalla loro fonte originaria e da qualsiasi successiva evoluzione del quadro informativo di riferimento.

Nella memoria globale di Internet il presente e il passato finiscono così per convergere all'unisono, andando a configurare una realtà che non distingue tra "ciò che è stato" e "ciò che è". L'ipertrofia della memoria digitale ha delineato un nuovo scenario di applicazione del diritto all'oblio.

In tale contesto, è emerso il conflitto tra il diritto in esame e la c.d. libertà informatica: quest'ultima, nella sua più evoluta configurazione, va considerata da un lato come libertà di comunicare, informarsi ed essere informati mediante l'utilizzo di strumenti tecnologici avanzati, dall'altro, come diritto di partecipazione attiva alla società attraverso la diffusione on-line del proprio pensiero.

Pertanto, modificatosi il concetto stesso di manifestazione del pensiero e di pubblicazione della notizia, il diritto all'oblio si è scontrato con quello all'informazione

Questione esemplificativa della tensione suddetta può essere individuata nel trasferimento on-line da parte delle testate giornalistiche dei loro archivi storici. In tale ipotesi, infatti, viene in considerazione l'immissione in rete di articoli già divulgati giacenti all'interno degli archivi giornalistici e non la reiterata pubblicazione di notizie riguardanti fatti passati.

La posizione del Garante

In un primo momento il Garante per la protezione dei dati personali ha cercato di rispondere all'esigenza di individuare nuove tecniche di tutela del diritto all'oblio on-line, considerando che l'immissione di informazioni in rete, non solo è protetta dalla libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost., ma anche dalla libertà di ricerca e di critica storica ex art. 9 Cost.

Ferma restando la possibilità per gli interessati di richiedere ed ottenere la cancellazione dei dati dagli archivi online nel caso in cui il primo trattamento (la pubblicazione dell'articolo contenente il dato) sia stato svolto in violazione di legge (ad esempio la divulgazione delle generalità della vittima di violenze sessuali), il Garante ha escluso l'aggiornamento, considerandolo "un intervento modificativo e/o integrativo del contenuto di un articolo che, nato come espressione di libera manifestazione del pensiero, è legittimamente conservato per finalità di documentazione, all'interno di un archivio che, benché informatizzato, svolge pur sempre la medesima funzione degli archivi cartacei".

L'Autorità di protezione dei dati personali ha, perciò, disposto a carico degli editori l'obbligo di deindicizzare dai motori di ricerca esterni i soli articoli contestati relativamente ai quali si fosse riconosciuta la sussistenza del diritto all'oblio.

La notizia è stata considerata conoscibile solo mediante l'utilizzo del motore di ricerca interno al sito in cui si trova l'archivio.

Nella fattispecie, il Garante ha ritenuto che la deindicizzazione delle notizie dai motori di ricerca esterni, da un lato, rispondesse al principio di essenzialità dell'informazione, dall'altro, alla protezione della rinnovata dimensione sociale dell'individuo.

Per quanto riguarda, invece, vicende giudiziarie non ancora concluse, l'Autorità di protezione dei dati personali non ha riconosciuto il diritto all'oblio (rectius: alla deindicizzazione): ha ritenuto fosse opportuna la conoscibilità dei fatti continuando a sussistere l'interesse pubblico all'informazione.

La recente sentenza della Corte di Cassazione

Con la recente sentenza n. 5525 del 2012 la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sul conflitto tra diritto all'oblio e libertà di manifestazione del pensiero in rete.

Il caso oggetto della decisione della Suprema Corte ha riguardato la permanenza di una notizia, già pubblicata nel 1993, all'interno dell'archivio on-line di una nota testata giornalistica. L'informazione, avente ad oggetto l'imputazione di un personaggio politico per corruzione, non menzionava il successivo svolgimento della vicenda, risultando mancante di qualsiasi riferimento ai procedimenti giudiziari che avevano sancito in un caso l'assoluzione, nell'altro l'estinzione per prescrizione del reato.

Pertanto, l'interessato ha agito prima dinanzi al Garante, poi di fronte al Tribunale di Milano sostenendo che dalla continua riproposizione su Internet della notizia derivasse un danno alla sua immagine e alla sua reputazione. Tale presunta lesione fondava la richiesta dell'interessato all'aggiornamento dell'informazione datata.

Entrambi gli organi aditi hanno rigettato l'istanza fondando la propria convinzione sul fatto che in assenza di alcuna ripubblicazione della notizia non potesse configurarsi il diritto all'oblio.

Inoltre, hanno sostenuto che la permanenza su Internet dell'informazione rispondeva a fini storico-documentaristici che l'aggiornamento avrebbe disatteso, comportando una modifica del documento originario.

Infine, stante il carattere di personaggio pubblico dell'interessato, è stato messo in discussione lo stesso riconoscimento del diritto all'oblio nei suoi confronti sussistendo un interesse pubblico all'apprendimento di notizie relative alla sua storia personale oltre che giudiziaria.

I giudici di legittimità, al fine di risolvere il conflitto tra diritti costituzionalmente tutelati, hanno offerto una soluzione diversa, contraddicendo quanto stabilito dai giudici di merito.

La Corte di Cassazione ha posto alla base dello schema logico argomentativo seguito in decisione un principio fondamentale affermatosi nell'ordinamento italiano.

Con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 196 del 2003, l'individuo è divenuto compartecipe nel trattamento dei propri dati personali, Infatti, come si legge in sentenza, la concezione statica del diritto alla riservatezza ha ceduto il posto ad una concezione dinamica, la quale si sostanzia nell'esercizio dei diritti di cui all'art. 7 della citata Legge.

In ragione di ciò, l'interessato ha diritto all'aggiornamento, o meglio alla contestualizzazione delle informazioni, al fine di proteggere la sua attuale identità personale. In particolare, la notizia risalente deve essere collegata al successivo quadro informativo in modo tale da modificare o completare l'informazione originaria.

La Corte Suprema, affermata l'esistenza del diritto all'oblio nei termini suddetti, ha posto attenzione alla differenza intercorrente tra archivio cartaceo e Rete Internet sottolineando come quest'ultima, in quanto priva di strutturazione, finisca per appiattire e decontestualizzare le notizie oggetto di immissione negli archivi on-line.

Pertanto, i giudici di legittimità hanno stabilito che l'informazione dovesse essere aggiornata nonostante la conservazione della notizia in Rete fosse legittimata da finalità documentaristico-storiche.

Secondo la Corte, infatti, la sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza della notizia, derivante dall'attività politica svolta dall'interessato, non esonera il titolare dalla narrazione del successivo svolgimento della vicenda, altrimenti "la notizia, originariamente completa e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera".

Inoltre, avuto riguardo alle finalità di conservazione e all'interesse ad essa sotteso, la Corte non ha escluso la possibilità del soggetto di richiedere la cancellazione stessa della notizia dall'archivio.

La giurisprudenza di legittimità ha inteso tutelare, da un lato, l'identità personale del soggetto cui va riconosciuto il diritto all'oblio, dall'altro la collettività, titolare del diritto di ricevere una corretta informazione. Quest'ultimo si sostanzia, infatti, in obblighi di informazione a carico delle testate giornalistiche, la violazione dei quali genera falsi affidamenti nei terzi.

La Corte di Cassazione ha concluso, ritenendo sussistente in capo ai titolari del sito sorgente, ossia gli editori, un obbligo di aggiornamento da effettuarsi mediante la predisposizione di un sistema idoneo a indicare eventuali svolgimenti delle vicende oggetto della notizia. Gli utenti non dovranno, perciò, individuare all'interno del "mare di Internet" informazioni complementari alla notizia originaria.

Successivamente alla decisione della Corte di Cassazione non si sono fatte attendere pronunce conformi all'orientamento espresso dai giudici di legittimità. In primo luogo, il Garante per la protezione dei dati personali ha accolto due ricorsi, imponendo agli editori di aggiornare le notizie risalenti contenute nei propri archivi, per giunta già de-indicizzate.

In secondo luogo, è venuta in considerazione una sentenza del Tribunale di Milano.

Il caso di specie presenta numerose analogie con il noto caso descritto in precedenza: nella fattispecie l'attore ha lamentato la violazione del proprio diritto all'oblio derivante dalla perdurante conservazione in un archivio giornalistico on-line di un articolo degli anni '80 che lo descriveva come usuraio ed evasore.

Il giudice adito rilevato che i fatti imputati all'interessato non erano rispondenti al vero e che non vi era un interesse pubblico alla conoscenza dell'informazione, ha optato per l'obbligo di cancellazione della notizia dall'archivio in Rete.

L'organo giudicante ha ritenuto sussistente la prevalenza dell'interesse alla tutela dell'identità personale dell'individuo e in ragione di ciò ha accordato la tutela che, nella sentenza del 2012, la Corte Suprema aveva solo ipotizzato.

La Corte di Giustizia e il "right to be forgotten"

Il diritto all'oblio ha assunto notevole importanza anche all'interno dello spazio giuridico europeo. Prova di ciò è la recente sentenza della Corte di Giustizia C-131/12, che si è pronunciata suscitando non poche perplessità e dibattiti in materia di diritto ad essere dimenticati.

La questione sottoposta ai giudici europei riguardava la possibilità da parte degli individui di richiedere ai motori di ricerca la rimozione, dai loro risultati, di collegamenti a pagine web lesive del diritto all'oblio.

Nella fattispecie la Corte di Giustizia ha dovuto affrontare talune questioni giuridiche al fine di individuare un equo bilanciamento tra diritto all'oblio e diritto di immettere on-line qualsivoglia informazione. Anzitutto, la configurazione dell'attività svolta dai motori di ricerca come trattamento dei dati personali ai sensi della Direttiva 95/46/CE. L'art. 2, lett. b), infatti, non annovera espressamente l'indicizzazione, la memorizzazione e la messa a disposizione on-line di informazioni reperite presso pagine web gestite da terzi.

In secondo luogo, la possibilità di considerare il motore di ricerca, nel caso di specie Google, responsabile del trattamento dei dati personali suesposto ai sensi dell'art. 2, lett. d), della Direttiva.

Infine, l'individuazione del fondamento giuridico in virtù del quale gli individui possano chiedere direttamente ai motori di ricerca la rimozione dai risultati delle pagine contenenti dati personali dei soggetti. In particolare, considerando i diritti dell'interessato di cui agli artt. 12, lett. b) e 14, c. 1, lett. a).

Alle suddette questioni ha dato risposta l'Avvocato generale Jääskinen individuando una soluzione di equilibrio tra gli interessi contrapposti.

Il ragionamento logico argomentativo seguito nelle sue conclusioni si fonda sul riconoscimento dell'attività di indicizzazione come trattamento dei dati personali. L'Avvocato generale ha ritenuto che l'attività svolta dai motori di ricerca rientri nell'ampia definizione data dalla Direttiva 45/96/CE. A tal fine nulla rileverebbe la circostanza che la natura dei dati trattati rimanga sconosciuta al fornitore dei servizi di ricerca on-line essendo tale profilo rilevante solo per stabilire se il search engine sia da considerare responsabile del trattamento.

Pertanto, in merito alla seconda questione giuridica, l'Avvocato europeo ha concluso che, tranne in alcuni casi, non fosse imputabile al motore di ricerca alcuna responsabilità. Presupposto di quest'ultima, infatti, è la consapevolezza del soggetto di svolgere un trattamento con finalità strettamente connesse alla natura dei dati personali. Elemento che, nella fattispecie, non è presente, avendo l'attività di indicizzazione carattere meccanico ed essendo il search engine nell'impossibilità di discernere quali dati siano oggetti di tale attività.

Riguardo alla terza questione giuridica, l'Avvocato generale ha sostenuto che i diritti dell'interessato fossero esercitabili nei limitati casi in cui il motore di ricerca fosse da ritenersi responsabile del trattamento, tra cui, ad esempio, il caso in cui il gestore della pagina web indicizzata si attivi al fine di ottenerne l'esclusione dai risultati del search engine.

I giudici europei hanno offerto soluzione diversa, nonostante l'Avvocato generale avesse individuato un equo contemperamento tra le esigenze dei fornitori di servizi on-line, degli interessati e degli utenti che reperiscono in Rete informazioni.

La recente pronuncia condivide con la soluzione presentata da Jääskinen un solo profilo, ossia l'equiparazione dell'attività di indicizzazione al trattamento di dati personali.

Secondo la Corte, invece, il search engine può essere considerato a tutti gli effetti responsabile del trattamento, spettando ad esso la determinazione delle sue finalità e modalità. Diversamente, si rischierebbe di contraddire il tenore della Direttiva e la finalità da essa perseguita, consistente in un' efficace e completa tutela degli interessati.

Pertanto, i giudici europei ampliano la definizione di responsabile al fine di garantire la protezione dei soggetti on-line, dimenticando, però, che a tale figura sono connessi una serie di obblighi, la cui attribuzione rischia di modificare il ruolo finora svolto dai motori di ricerca. Inoltre, la Corte afferma che la responsabilità in questione sia indipendente dalla circostanza che il terzo gestore della pagina web si sia attivato al fine di escluderla dai risultati di ricerca, e pertanto il search engine è responsabile a prescindere dal fatto che il titolare del trattamento originario chieda o meno la deindicizzazione.

La Corte ha ritenuto che gli interessati possano rivolgersi direttamente ai motori di ricerca ai sensi dell'art. 12 lett. b), secondo cui l'interessato ha diritto di ottenere la cancellazione, la rettifica e il blocco dei dati nel caso in cui il trattamento non sia conforme ai principi della Direttiva, in particolare "a causa del carattere inesatto e incompleto dei dati". Quest'ultimo inciso è stato interpretato, dai giudici europei, in senso esemplificativo e non esaustivo, permettendo, perciò, di estendere le ipotesi in cui i soggetti possano utilizzare i rimedi previsti dalla Direttiva. Pertanto, la difformità del trattamento ai principi di cui agli artt. 6 e 7, è stata ritenuta dalla Corte elemento sufficiente a legittimare la richiesta di rimozione dei link a pagine web.

Consapevoli che tale valutazione possa determinare uno squilibrio a favore degli interessati, i giudici europei hanno, però, stabilito che la rimozione dei link sia subordinata alla considerazione degli interessi in gioco, da valutare caso per caso, esaminando per quali scopi venga effettuato il trattamento. Quindi, non solo dovrà essere esaminata l'incidenza dei motori di ricerca sul diritto al controllo dei dati personali degli individui, ma allo stesso modo andrà considerato il diritto della collettività a reperire informazioni in Rete.

In ultima analisi, la Corte di Giustizia ha considerato la portata dei diritti di cui all'art. 12 lett. b), stabilendo in quali casi venga in considerazione un trattamento incompatibile con i principi della Direttiva, tale da configurare il diritto all'oblio degli interessati. A tal fine, l'incompatibilità potrà anche essere "derivata" da un trattamento originario che diventi, per il decorso del tempo, "illecito" non essendo più rispondente ai principi di cui agli artt. 6 e 7.

La Corte ha concluso a favore di una valutazione, caso per caso, delle fattispecie al fine di individuare quale sia la soluzione più equilibrata. Da un lato, per tutelare i diritti di cui agli artt. 7 e 8, dall'altro, al fine di evitare che nel caso in cui vi sia un preminente interesse pubblico all'accesso delle informazioni, prevalgano le esigenze personali dell'interessato.

Nonostante comporti il riconoscimento a livello europeo del diritto all'oblio, non più limitato agli ordinamenti nazionali, la sentenza presenta una serie di aspetti quantomeno poco chiari: il search engine diviene da semplice intermediario on-line titolare diretto dei dati personali contenuti nelle pagine indicizzate da esso, con la conseguenza che, in assenza di parametri certi, spetterà al motore di ricerca la valutazione degli interessi contrapposti. Ed infatti, in ragione di ciò Google ha costituito una commissione di esperti che esamini le richieste. L'intervento attivo da parte del motore di ricerca volto a tutelare il diritto all'oblio è sicuramente degno di nota ma i criteri utilizzati dal comitato predisposto da Google non avranno forza di legge e pertanto si rischierà di creare una situazione di maggiore incertezza giuridica.

Da ultimo, è opportuno evidenziare che la rimozione dei collegamenti, non ancorata a criteri predeterminati, può comportare la perdita della memoria collettiva. Diversamente dai giudici italiani che hanno limitato le richieste all'oblio alle testate giornalistiche, la pronuncia europea amplia le ipotesi di tutela facendo riferimento a qualsiasi pagina web indicizzata: il rischio, perciò, è rappresentato dalla perdita di informazioni contenute, ad esempio, all'interno di discussioni in Rete.

Conclusioni

Il diritto a essere dimenticati, nonostante sia stato sempre e solo riferito al diritto alla riservatezza, oggi assume la conformazione di fattispecie multiforme, strettamente legata alla privacy e alla tutela dell'identità personale dell'individuo.

Il cammino percorso dal diritto all'oblio ha determinato l'arricchimento del significato iniziale di tale situazione giuridica, che ora si afferma come diritto alla contestualizzazione o meglio, diritto a essere ricordati correttamente.

L'elemento più importante che emerge dalla nuova qualificazione del diritto all'oblio è il fine ultimo cui è preposto. L'obbligo di aggiornare dati che, legittimamente pubblicati un tempo, siano ora riproposti su archivi on line, risponde a due ordini di ragioni: da un lato, l'esigenza di tutelare l'identità personale del soggetto, dall'altro, la necessità di garantire il legittimo affidamento che terzi possano fare su notizie non aggiornate.

Da ciò si può, perciò, dedurre la novità più rilevante del nuovo diritto all'oblio, che diviene strumento tramite il quale non solo tutelare l'interesse dell'individuo, ma anche quello della collettività, essendo fondamentale, infatti, garantire a quest'ultima la protezione del diritto a conoscere.

Esigenze diverse trovano, perciò, il giusto contemperamento: il diritto all'oblio viene opportunamente bilanciato con il diritto alla memoria, inteso come interesse dei cittadini a ricevere un'informazione rispondente alla realtà.

Va da ultimo segnalato però, che nonostante la giurisprudenza nazionale abbia raggiunto una valida posizione di equilibrio tra le due fattispecie, sussistano ancora alcune criticità, in particolare, in mancanza di criteri certi tramite i quali stabilire le modalità di aggiornamento o contestualizzazione delle informazioni on-line sarà possibile rispondere a successive evoluzioni tecnologiche?

Tali interrogativi acquisiscono nuova forza in ragione di quanto stabilito dal giudice europeo nella sentenza sopra descritta. È, infatti, in tale contesto che viene in considerazione la necessità di delimitare in modo certo i confini del diritto all'oblio. Lasciare alla giurisprudenza o agli operatori on-line il compito di stabilire volta per volta determinati elementi caratterizzanti il diritto a essere dimenticati comporta incertezza giuridica, all'interno di un contesto tecnologico economico in continuo movimento.