La brevettabilità dei business methods degli Stati Uniti

1. Inquadramento della materia e definizione di business method.

La possibilità di brevettare metodi commerciali, business methods nel lessico anglosassone, è ad un tempo prodotto e concausa di una più generale tendenza del diritto industriale odierno, etichettata da alcuni autori con il nome di “deriva protezionistica”[1]. L’affiorare di nuovi settori dal mare della tecnica, lo sviluppo delle cosiddette “information technologies” e l’esplosione del fenomeno internet, e delle infinite possibilità che esso offre ai “naviganti della rete”, hanno indotto il legislatore ad adattare alle nuove fattispecie i tradizionali istituti di tutela delle opere estetico-intellettuali e tecnologiche previsti dall’ordinamento. Il tutto seguendo un'unica direttrice: quella della “costante e multiforme tendenza all’ampliamento della protezione esclusiva”[2]. Inquadrare il fenomeno nella giusta cornice aiuta a comprendere le scelte operate della giurisprudenza.
Sebbene, in assenza di una definizione positiva
[3], il concetto di “metodo commerciale” si limiti ad essere poco più che un contenitore privo di contenuto, la dottrina è riuscita a riempire con sufficiente precisione tale vuoto: l’espressione “business method”, in sintesi, abbraccia al suo interno tecniche contrattuali e contabili, sistemi remunerativi, di vendita ed organizzativi, nonché metodi pubblicitari[4]
Oltreoceano i metodi commerciali sono stati considerati, tradizionalmente, insuscettibili di brevettazione. Questa soluzione affonda le sue radici nella sentenza adottata dalla Corte d’Appello nel lontano caso Hotel Security Checking v. Lorraine del 1908
[5]. Nella fattispecie, oggetto del contendere era un sistema di prenotazione di alberghi in grado di limitare sensibilmente il rischio di truffe. La Corte affermò che “non costituisce procedimento brevettabile un sistema per condurre transazioni commerciali se non in connessione con i mezzi utilizzati per attuarlo” poiché un tale sistema “non è un’arte” (il corsivo è nostro). Una siffatta terminologia può essere meglio compresa se solo consideriamo che, sino alla stesura del Patent Act del 1952, la Section 101 del Titolo 35 dell’U.S.C., articolo fondamentale in tema di brevettazione, utilizzava la parola “arte” in luogo di “procedimento”.  
L’interpretazione data dalla Corte era perfettamente consistente sia con una giurisprudenza, ormai consolidata negli Stati Uniti, che riteneva insuscettibili di brevettazione le entità qualificabili come leggi di natura, fenomeni naturali e idee astratte
[6], sia con le precedenti decisioni adottate dall’USPTO in materia di rilascio dei brevetti[7].
La cosiddetta “Hotel Security rule” è stata seguita pedissequamente sino all’avvento degli elaboratori elettronici. A partire dagli anni ’70, infatti, la separazione (unbundling) tecnica e commerciale delle componenti hardware del computer da quelle software ha posto, immancabilmente, il problema della tutela di queste ultime. La lunga querelle legata alla brevettabilità del software, appena scalfita dall’emanazione del Computer Software Amendment Act del 1980 che sanciva l’inclusione dei programmi per elaboratore nell’alveo del paradigma autoriale, si è trascinata, in un clima di crescente favore nei confronti del brevetto, sino alla seconda metà degli anni ’90. Ad essa è legata inscindibilmente la questione inerente la possibilità di brevettare i metodi commerciali.

2. Disposizioni della legge brevettuale statunitense.

Prima di avventurarci su questo sentiero, tuttavia, è opportuno considerare brevemente quanto suggerito dalla legislazione americana in tema di definizione del concetto di invenzione. A tal proposito, la disposizione che più da vicino ci interessa è la Section 101 del Titolo 35 (Patent Act) dell’U.S.Code. Stando alla lettera della legge si considera suscettibile di brevettazione ogni trovato nuovo ed utile che sia inscrivibile in una delle quattro categorie (procedimenti, macchine, manifatture e composti di sostanze) in essa elencate e che sia in possesso dei requisiti previsti dalle successive Sections 102, 103 e 112 in tema di novità, non-ovvietà e sufficiente descrizione dell’invenzione[8].
Partendo dal dettato della § 101, una costante giurisprudenza ha ritenuto non-brevettabili le entità escluse dalle tipologie inventive previste che, è bene precisarlo, possono ricondursi, in sintesi, alla tradizionale distinzione tra invenzioni di prodotto (machine, manifacture, composition of matters) e di procedimento (process). Questa certezza, tuttavia, è stata lentamente erosa dagli spazi di brevettabilità che il software andava conquistando a partire dall’inizio degli anni ‘80.

3. La tutela del software: copyright contro brevetto.

Dopo un iniziale periodo di incertezza, i dubbi relativi al regime giuridico da impiegare per la tutela dei programmi per elaboratore sembravano essersi dissolsi con l’inclusione del software all’interno del paradigma autoriale. L’utilizzo del copyright, come strumento di tutela dei programmi per computer, offriva ai creatori di software una protezione apparentemente più ampia. La maggior durata del periodo di esclusiva connaturato al diritto d’autore rispetto a quella prevista dal brevetto (70 anni dalla morte dell’autore contro 20 dalla data di deposito della domanda di brevetto), la possibilità di ottenere tutela prescindendo da un atto di deposito formale dell’opera[9], la minor “selettività all’ingresso” richiesta dal regime autoriale per accedere alla protezione[10], i poteri piuttosto ampi e penetranti concessi al titolare dei diritti di esclusiva[11], nonché i cd “diritti connessi”, sono alcune delle ragioni che hanno condotto all’adozione del paradigma autoriale[12].
Non va sottovalutato, inoltre, il ruolo svolto dall’assenza, nell’ambito del regime del diritto d’autore, degli obblighi di disclosure connaturati al sistema brevettuale e racchiusi nelle disposizioni di cui alla § 112 del Patent Act. Per meglio comprendere l’entità del vantaggio concorrenziale connesso all’assenza di obblighi di rivelazione dell’opera occorre tener presente la tecnica di realizzazione dei programmi per elaboratore. Questi, infatti, vengono in  un primo momento redatti in un linguaggio comprensibile per l’uomo (il cosiddetto “codice sorgente”) e, in un secondo momento, vengono convertiti, attraverso l’uso di programmi appositi (i cd. “compilatori”), in una lingua intelligibile per la macchina (il “codice oggetto”). L’attività di reverse engineering volta a risalire al codice sorgente partendo dal codice oggetto non consente, generalmente, di ottenere una copia perfetta del primo, producendo, in tal modo, un software privo di alcune delle istruzioni originariamente impartite dal programmatore
[13]. E’ facile intuire quanto possa essere importante, in chiave concorrenziale, mantenere segreto il codice sorgente.
Sebbene, dunque, il paradigma autoriale sembrasse maggiormente idoneo a tutelare gli interessi delle software houses, il tempo ha dimostrato come la protezione offerta dal copyright ed incentrata sulla mera forma espressiva delle creazioni fosse straordinariamente debole se confrontata con quella garantita dal regime brevettuale
[14]. Quest’ultimo, infatti, permettendo di tutelare le soluzioni inventive sottese al trovato, offre maggiori garanzie, oltre che armi più efficaci[15], contro l’attività di contraffazione da parte di terzi. Questo testimonia l’interesse mai sopito dei programmatori per il brevetto.

4. L’evoluzione dell’orientamento della giurisprudenza americana in tema di protezione del software.

La strada che conduceva verso la brevettabilità del software, tuttavia, si è rivelata ricca di ostacoli. La Corte Suprema, in particolare, ha mostrato un atteggiamento piuttosto restrittivo in materia, come testimoniano i celebri casi Gottshalk v. Benson del 1972[16] e Parker v. Flook del 1978[17]. Nelle sentenze in parola, applicando un’insegnamento ampiamente seguito all’epoca[18], è stata sancita la non-brevettabilità dei programmi per elaboratore, i quali sono stati accostati a meri algoritmi matematici che, come abbiamo avuto modo di vedere, sono tradizionalmente considerati come insuscettibili di brevettazione.
Un primo spiraglio è stato aperto dal caso Diamond v. Diehr
[19] del 1981 in cui la Corte Suprema, discostandosi dall’orientamento espresso in precedenza, ha ammesso la brevettabilità di un’invenzione avente ad oggetto un software applicato al processo di vulcanizzazione della gomma.
Partendo dal leading case sopraccitato, gli anni ’80 sono stati forieri di cambiamenti. Nello specifico, la progenie del caso Diehr ha condotto all’elaborazione di una nuova teoria interpretativa, definita come “Freeman-Walter-Abele test
[20], articolata su due passaggi dei quali uno (il secondo) puramente eventuale. In sintesi, l’insegnamento di tale dottrina si sostanziava nella ricerca di un’applicazione pratica dei trovati aventi ad oggetto programmi per elaboratori (data dalla capacità di un’invenzione di produrre trasformazioni fisiche esterne al computer), la quale poteva rinvenirsi esclusivamente nel caso in cui specifici elementi di output fossero stati inclusi all’interno delle rivendicazioni[21].

5. Una finestra sul mondo dei metodi commerciali: il caso Merrill Lynch

E’ giunto il momento di aprire una finestra sul settore dei metodi commerciali: mentre impetuosi venti di cambiamento sconvolgevano il mondo del software, nuove e fresche correnti iniziavano a circolare nel campo dei business methods, dove l’aria era rimasta immota per oltre un cinquantennio. Già nel 1968 con il caso Howards[22] la Court of Customs and Patent Appeals (C.C.P.A.) aveva evitato, con evidente imbarazzo, di pronunciarsi circa la possibilità di brevettare i metodi commerciali[23].
Nel 1983, con il caso Merrill Lynch
[24], una corte americana tornava a confrontarsi con un business method. Nel caso di specie, l’attore aveva intentato causa allo scopo di invalidare il brevetto ottenuto dal convenuto, un colosso della finanza statunitense, per il suo “Cash manager Account”. Tale trovato, rivendicato sia sotto forma di metodo che di apparato, era costituito essenzialmente da un programma per elaboratore che permetteva lo svolgimento di più attività di carattere finanziario. Attraverso la combinazione, in un unico software, di un conto di intermediazione mobiliare, diversi fondi comuni di investimento in titoli di credito e un conto di credito, l’invenzione consentiva di ottenere benefici economici grazie alla possibilità di spostare in modo automatico i capitali tra i vari conti, in modo tale da mettere a frutto somme altrimenti inoperose. Nonostante le argomentazioni dell’attore fossero imperniate sulla non-brevettabilità dei metodi commerciali le Corti chiamate a pronunciarsi sul caso (quella distrettuale del Delaware, prima, e la Corte d’Appello per il Circuito Federale – C.A.F.C.[25] – poi) preferirono tralasciare gli effetti prodotti dal trovato concentrandosi, piuttosto, sulle caratteristiche dello stesso, dichiarando valido, infine, il brevetto del convenuto in quanto l’invenzione non si sostanziava in un mero algoritmo matematico[26]. Ancora una volta la giurisprudenza evitava di pronunciarsi circa l’eccezione alla brevettabilità costituita dai metodi commerciali: la Hotel Security rule restava in piedi.

6. Il test del “useful, concrete and tangible result”.

Il caso Alappat del 1994[27] segnava, per ciò che riguarda il settore del software, una svolta di notevole importanza. Con il caso Diehr la Corte Suprema aveva ammesso la brevettabilità delle invenzioni di apparato nelle quali una parte delle funzioni fosse stata eseguita da un programma per elaboratore; con la decisione in parola la C.A.F.C. si spinse più avanti. Nella fattispecie la Corte, accogliendo le tesi del convenuto, ritenne brevettabile un trovato costituito da un computer ordinario ed un software in grado di eseguire la conversione di dati e di visualizzarli sul monitor in quanto l’elaboratore, nel momento in cui il programma veniva caricato su di esso, poteva considerarsi come una macchina “special purpose” in grado di ottenere un risultato “utile, concreto e tangibile”. In altre parole, il caso Alappat segnava l’abbandono del Freeman-Walter-Abele test in favore di un esame incentrato sugli effetti dell’invenzione e sulla sua capacità di produrre un risultato utile. E’ bene precisare che un effetto si definisce “utile, concreto e tangibile” non solo quando il trovato sia in grado di ottenere una trasformazione fisica[28], ma anche quando esso sia in grado di raggiungere il fine prefissato (useful result), in modo riproducibile (concrete result) ed a condizione che il risultato così ottenuto non sia astratto (tangibile result)[29].

7. La brevettabilità dei metodi commerciali: il caso “State Street”.

Siamo nel 1998 quando la Corte distrettuale del Massachussets, prima, e la C.A.F.C., poi, vengono investite della questione relativa alla brevettabilità di un’invenzione concernente, ad un tempo, un software ed un metodo commerciale: siamo giunti al celebre caso “State Street[30]. Oggetto del contendere era un’invenzione in grado di permettere la gestione finanziaria di un unico portafoglio di investimenti, organizzato in forma societaria, costituito dai fondi di più soggetti[31]. Dopo aver tentato, infruttuosamente, di ottenere una licenza sul trovato, l’attore aveva intentato causa nella speranza di far invalidare il brevetto del convenuto. Partendo dalla convinzione che il trovato avesse ad oggetto un metodo commerciale ed un programma per elaboratore, due entità tradizionalmente considerate non-brevettabili, la Corte distrettuale aveva inizialmente avallato le tesi dell’attore ritenendo l’invenzione insuscettibile di brevettazione.
In appello, la C.A.F.C. si pronunciò in modo assolutamente imprevedibile. Per ciò che attiene i programmi per elaboratore la Corte d’Appello, riprendendo l’utility test di cui al caso Alappat, sancì il definitivo accantonamento del Freeman-Walter-Abele test, pronunciandosi a favore della brevettabilità delle invenzioni capaci di produrre un risultato “utile, concreto e tangibile”. Nel caso di specie la Corte ritenne che la trasformazione di informazioni (rappresentanti somme di denaro) nel prezzo finale delle azioni del fondo comune fosse in grado di produrre un siffatto risultato. In questo senso, dunque, stante il fatto che, seguendo l’insegnamento di cui al caso Alappat, il trovato costituiva un’applicazione pratica di un algoritmo matematico, la Corte ritenne priva di fondamento una esclusione dalla brevettabilità dell’invenzione per la mera presenza di un programma per computer
[32].   
La pronuncia della C.A.F.C., tuttavia, era destinata a lasciare il segno anche per quanto stabilito in materia di business methods. La Corte, infatti, colse l’occasione per pronunciarsi sull’esclusione dei metodi commerciali dall’area del brevetto sostenendo che, stante l’ampia formulazione della § 101 volta ad abbracciare un vasto numero di trovati, essi andassero considerati al pari delle altre invenzioni
[33]. In sintesi, secondo la visione della Corte d’Appello, il solo fatto di avere per oggetto un metodo commerciale non era un motivo sufficiente per negare il brevetto ad un trovato in grado di produrre un risultato utile, concreto e tangibile ed in possesso dei requisiti di brevettabilità di cui alle § 102, 103 e 112.

8. Da AT & T v. Excel a Ex Parte Lundgren.

Nel solco tracciato dal caso State Street si andato consolidando un orientamento della C.A.F.C. volto ad aprire spazi ancor più consistenti alla brevettabilità dei business methods. In questo senso di particolare interesse è la sentenza emanata dalla Corte d’Appello nel caso AT & T Corp. v. Excel Communications, Inc.[34] in quanto il trovato oggetto della contesa era stata rivendicato esclusivamente come metodo e non anche, a differenza che in State Street, come apparato. Si badi bene che, sebbene il metodo brevettato dovesse essere necessariamente attuato attraverso specifici mezzi tecnici, questi non erano contenuti nelle rivendicazioni. Il giudice, riformando la decisione della Corte inferiore[35], ritenne che l’invenzione fosse in grado di produrre un risultato “utile, concreto e tangibile” e che, dunque, fosse suscettibile di brevettazione[36].
Alla luce delle decisioni della C.A.F.C., dunque, i metodi commerciali possono considerarsi brevettabili, al pari delle altre invenzioni, in presenza dei normali requisiti di brevettabilità e, prima ancora, in presenza di un risultato utile, concreto e tangibile. Stando all’orientamento della Corte d’Appello, la capacità di produrre un tale risultato rappresenta il mezzo necessario per scavalcare l’ostacolo alla brevettabilità costituito dalla § 101 e dalle tipologie inventive da essa elencate.
Nel 2005 la Divisione dei ricorsi dell’ufficio brevettuale statunitense ha abbattuto l’ultimo tabù con la decisione adottata nel caso Lundgren
[37]. La querelle legata all’invenzione di Carl Lundgren si trascina sin dal 1993, anno in cui è stata depositata la domanda di brevetto recante il titolo “method for compensating a manager”. In sintesi, il trovato che, si badi bene, non veniva attuato per il tramite di alcun tipo di mezzo tecnico, consentiva di ricavare il giusto compenso per un dirigente d’azienda, confrontando la redditività dell’impresa da lui guidata con quelle delle concorrenti ed applicando un algoritmo matematico: siamo, alfine,  in presenza di un metodo commerciale tout court.
In un primo tempo, la Divisione d’esame aveva respinto la domanda di brevetto, ritenendo il trovato insucettibile di brevettazione in quanto non appartenente ad un ramo della tecnologia. A tal proposito è bene rammentare che in entrambi i casi  State Street e AT & T il metodo commerciale veniva attuato grazie all’aiuto di mezzi tecnici e, nello specifico, di un elaboratore elettronico. La Commissione di ricorso dell’ufficio brevetti (il Board of Patent Appeals and Interferences) si è interrogata sulla sussistenza di un technological arts test nell’ambito delle procedure d’esame. Un test siffatto, formulato per la prima volta nel 1970
[38], era stato raramente seguito dalla giurisprudenza americana anche se, pochi anni prima della decisione Lundgren, era stato lo stesso Board of Appeals ad applicarlo nell’ambito del caso Bowman[39]. Seguendo l’orientamento espresso dalla C.A.F.C. nelle decisioni sopraccitate e ritenendo non-vincolante il precedente caso Bowman, la Commissione di ricorso ha ritenuto, da un lato, che il metodo in esame fosse capace di produrre “un risultato utile concreto e tangibile” (cosa che, ad onor del vero, non era stata messa in dubbio neppure in sede d’esame) e, dall’altro, che la presenza di un technological arts test  in grado di scongiurare la brevettazione di trovati non attuati tramite mezzi tecnici fosse da escludersi[40]. Questo orientamento dell’USPTO si riflette oggi nelle Guidelines dell’ufficio brevetti[41].
Resta da valutare se l’orientamento in parola verrà avallato dalla giurisprudenza ordinaria. Allo stato attuale delle cose, da una lettura combinata delle decisioni adottate nei casi State Street,  AT & T e Lundgren, possiamo concludere che, negli Stati Uniti, i business methods sono brevettabili a prescindere da una loro attuazione per il tramite di specifici mezzi tecnici purché siano soddisfatte le condizioni previste dalle § 102, 103 e 112 (requisiti di brevettabilità) e, soprattutto, purché il trovato sia in grado di produrre un risultato utile, concreto e tangibile, condizione, quest’ultima, necessaria e sufficiente per scavalcare l’ostacolo alla brevettabilità posto dalla § 101.  

9. Risvolti economici della brevettabilità dei business methods.

Sebbene, a livello legislativo, un sistema di common law come quello statunitense si riveli tanto flessibile da permettere un cambiamento tanto repentino quanto netto, a livello economico le conseguenze potrebbero rivelarsi ben più pesanti. Innanzitutto è opportuno sottolineare che, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, il numero di domande di brevetto depositate presso l’USPTO ed aventi ad oggetto metodi commerciali è aumentato esponenzialmente[42], tanto da convincere l’ufficio brevettuale a creare una classe di esame specifica per i business methods (la Class 705) e ad adottare, nel 2000, misure volte a migliorare le procedure d’esame delle domande di brevetto concernenti metodi commerciali[43].
In assenza, è bene precisarlo, di studi empirici sul fenomeno, buona parte della dottrina, in special modo quella più attenta ai risvolti in campo economico, ha apertamente criticato l’orientamento espresso dalla C.A.F.C. Nello specifico, diversi autori hanno vaticinato un progressivo aumento della litigiosità
[44] connesso, oltretutto, alla concessione di un gran numero di brevetti “facili” da parte dell’ufficio brevetti americano[45]. L’aumento dei casi trascinati dinanzi alle sedi giudiziarie comporta un progressivo aumento dei costi, già piuttosto onerosi, del sistema brevettuale, con conseguente detrimento, in special modo, delle piccole-medie imprese, spesso incapaci di affrontare gli alti costi richiesti dalla brevettazione[46].
Accanto a questo effetto, parte della dottrina ha sottolineato come, in presenza di un regime brevettuale maggiormente “permissivo”, le imprese presenti sul mercato tendano ad adottare un’atteggiamento più aggressivo, rimpinguando il proprio portafogli brevettuale nel tentativo di limitare il più possibile l’attività della concorrenza, impegnata, dal canto suo, a destreggiarsi attraverso fitte “foreste di brevetti”
[47]. Questo comportamento implica un pernicioso effetto frenante sull’innovazione dal momento che, in tal modo, le piccole-medie  imprese troverebbero notevoli difficoltà a ritagliarsi una fetta di mercato[48].
Accanto a queste considerazioni si pongono poi le perplessità di quella parte della dottrina più concentrata sulla validità e la legittimità delle scelte operate dalla C.A.F.C. Secondo la quasi totalità degli autori, infatti, il sistema brevettuale dovrebbe avere, come finalità ultima, quella di stimolare l’innovazione
[49]. Questo effetto avrebbe una scarsa utilità in un settore, quello dei metodi commerciali, in cui l’innovazione è sempre avanzata con notevole velocità anche in assenza di diritti esclusivi[50]. In secondo luogo, altri autori hanno appuntato le proprie critiche sulla validità dei brevetti rilasciati dall’USPTO, ritenendo che gran parte dei trovati descritti nelle domande di brevetto fossero, in realtà, una mera attuazione, attraverso mezzi elettronici, di metodi commerciali-economici-finanziari già noti e che, dunque, avrebbero dovuto considerarsi insuscettibili di brevettazione per mancanza di originalità in base al disposto della § 103[51].
In sintesi, secondo gran parte della dottrina l’inclusione dei metodi commerciali all’interno del paradigma brevettuale potrebbe rivelarsi una scelta pericolosa, in special modo in presenza di una brevettazione massiccia e di un sistema eccessivamente rigido che, in tal modo, porterebbe in questo specifico settore un indesiderabile effetto di blocco
[52].

10. Conclusioni.

Concludendo, sulla scia delle decisioni della giurisprudenza americana che andavano ritagliando spazi sempre più consistenti alla brevettabilità del software si è posto il problema della brevettazione dei metodi commerciali. Il progressivo assottigliamento delle differenze tra entità escluse dalla brevettazione ed applicazione pratica di tali entità, connesso all’elevazione del criterio dell’utilità come strumento in grado di superare l’ostacolo all’ottenimento del brevetto rappresentato dalle tipologie inventive di cui alla § 101, ha favorito il sorgere della questione inerente la brevettazione dei business methods attuati attraverso mezzi tecnici quali l’elaboratore. In seguito alla decisione della C.A.F.C. in State Street e in forza di quanto affermato nei successivi casi AT &T e Lundgren, i metodi commerciali sono oggi brevettabili al pari delle altre invenzioni. A partire dalla seconda metà degli anni ’90 l’USPTO è stato travolto da un’ondata di domande di brevetto aventi ad oggetto metodi commerciali, la qual cosa ha indotto l’ufficio brevettuale ad adottare misure volte a migliorare le procedure d’esame. La concessione massiccia di esclusive a siffatti trovati potrebbe avere, tuttavia, pericolosi risvolti economici. Negli ultimi tempi però, come rilavano alcuni autori, il trend positivo registrato negli ultimi anni sembra essersi invertito; la causa di ciò potrebbe risiedere proprio nella saturazione del settore, oggi invaso da un gran quantitativo di brevetti spesso concessi ad invenzioni rappresentanti la mera trasposizione su mezzi telematici di metodi commerciali già noti[53].

 

******

[1] A tal proposito si veda Ricolfi M., La Tutela della Proprietà Intellettuale fra Incentivo all’Innovazione e Scambio Ineguale, in Riv. Dir. Ind., 2002, 1, p. 516 e ss.

[2] Così Ghidini G., Prospettive Protezionistiche nel Diritto Industriale, in Riv. Dir. Ind., 1995, 1, p. 73.

[3] Non va dimenticato, tuttavia, il Business Methods Improvement Act, presentato nel 2001 al Congresso degli Stati Uniti. Il disegno di legge, poi decaduto, ha rappresentato il primo tentativo di definizione del concetto di metodo commerciale. Sempre per ciò che attiene agli U.S.A., va sottolineata l’importanza rivestita dalla Class 705, nell’ambito della quale vengono esaminate le invenzioni aventi ad oggetto business methods.

[4] Di Cataldo V., Le Invenzioni e i Modelli, Milano: Giuffrè, 1990, p. 34.

[5] Hotel Security Checking Co. v. Lorraine Co., 160 F 467, (2d. Cir. 1908).

[6] Esempi di leggi di natura, fenomeni naturali e idee astratte sono rispettivamente: la formula della relatività di Einstein; l’elettricità, il calore del sole, un minerale presente in natura et similia; un algoritmo matematico. Queste esclusioni dall’area brevettuale sono state ribadite in tempi relativamente recenti dalla decisione Diamond v. Chakrabarty, 447 U.S. 303 (1980).

[7] Secondo quanto riportato dagli archivi dell’USPTO, la concessione di brevetti ad invenzioni appartenenti, latu sensu, al settore economico-finanziario-commerciale risale addirittura ai primi anni di vita del sistema brevettuale americano (il primo Patent Act venne adottato nel 1790). In questi casi, tuttavia, il metodo commerciale era stato costantemente rivendicato in connessione ad elementi meccanici che ne permettevano l’attuazione; ne sono un esempio i brevetti concessi ad Herman Hollerith nel 1899 per un metodo ed un apparato deputati al “miglioramento dell’arte e del sistema di calcolo dei dati statistici” basati, essenzialmente, sull’uso di un punzonatore meccanico di schede. Per approfondimenti si veda l’USPTO White Paper del 2000, disponibile al sito http://www.uspto.gov/web/menu/busmethp/index.html .

[8] “Whoever invents or discovers any new and useful process, machine, manufacture, or composition of matter, or any new and useful improvement thereof may obtain a patent therefore, subject to the requirements of this Title”. Title 35, § 101 U.S.C.

[9] Anche il deposito presso il Registry of Copyrights, infatti, ha valore meramente dichiarativo e non, a differenza di quanto può dirsi per il deposito delle domande di brevetto presso l’USPTO, costitutivo.

[10] Mentre il regime brevettuale impone sia la novità dell’opera che la sua originalità, quest’ultima intesa come non-ovvietà dell’invenzione per il tecnico medio, il paradigma autoriale richiede la mera provenienza dell’opera dall’autore. In altre parole si configura come originale qualsiasi opera non riprodotta pedissequamente da lavori altrui.

[11] Si pensi al potere concesso al titolare dei diritti esclusivi di vietare il noleggio della propria opera.

[12] Per ulteriori approfondimenti si veda Ghidini G., Profili Evolutivi del Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, Milano: Giuffrè editore, 2001.

[13] A questo proposito si veda Ghidini G. & Falce V., Open Source, General Public Licence e Incentivo all’Innovazione, in AIDA, 2004, 13, 3-11.

[14] Magelli S., Innovazione Informatica e Diritti di brevetto, in Galli C., Le Nuove Frontiere del Diritto dei Brevetti, Torino: Giappichelli, 2003, p. 72.

[15] Ci riferiamo al sequestro e all’inibitoria.

[16] Gottshalk v. Benson, 409 U.S. 63 (1972).

[17] Parker v. Flook, 437 U.S. 584 (1978).

[18] Ci riferiamo alla cd. “mental step doctrine” in base alla quale tutto ciò che poteva essere eseguito semplicemente mediante l’ausilio di carta e penna non era da considerarsi brevettabile. Per approfondimenti si veda Wrenn G.J., Federal Intellectual Property Protection  for Computer Software Audiovisual Look and Feel: The Lanham, Copyright and Patent Acts, 1989, disponibile al sito: http://www.law.berkeley.edu/journals/btlj/articles/vol4/Wrenn/HTML/text.html .

[19] Diamond v. Diehr, 450 U.S. 175 (1981).

[20] Questo nome trae origine dai casi in cui un siffatto test è andato elaborandosi: In Re Freeman, 573 F.2d 1237, 197 USPQ 464 (C.C.P.A. 1978), In Re Walter, 618 F.2d 758, 205 USPQ 397 (C.C.P.A. 1980), In Re Abele, 684 F.2d 902, 214 USPQ 682 (C.C.P.A. 1982). Per approfondimenti sul Freeman-Walter-Abele test si veda Giannantonio E., Manuale di Diritto dell’Informatica 2, Padova: Cedam, 1997, p. 157 e ss.

[21] Si pensi, a titolo esemplificativo, alla pressa per lo stampaggio della gomma di cui al suddetto caso Diehr.

[22] In Re Howards, 394 F.2d 869 (1968).

[23] “Our affirmance of this round of rejection (based on lack of novelty) makes it unnecessary to consider the issue of whether a method of doing business is inherently patentable”. In Re Howards, 394 F.2d 869 (1968).

[24] Paine, Webber, Jackson & Curtis v. Merrill Lynch, Pierce, Fenner & Smith, Inc., 564 F. Supp. 1358, 218 USPQ 212 (D.Del. 1983).

[25] A partire dal 1982 (con il Federal Courts Improvement Act) la CAFC sostituì la precedente C.C.P.A. con analoghe competenze.

[26] Per approfondimenti sul caso Merrill Lynch si veda Baumaister C., La Brevettabilità dei Business Methods, 2003, disponibile al sito: http://images.to.camcom.it/f/PatLib/Ba/Baumaister.pdf .

[27] In Re Alappat, 33 F.3d 1526 (Fed. Cir. 1994).

[28] Come sancito dalla Corte Suprema nel caso Diehr.

[29] Per ulteriori concetti sul concetto di risultato utile, concreto e tangibile si vedano le Guidelines dell’USPTO: USPTO, Interim Guidelines for Examination of Patent Applications for Patent Subject Matter Eligibility, 2005, disponibile al sito: http://www.uspto.gov/web/offices/pac/compexan/interim_guide_subj_matter_eligibility.html .

[30] State Street Bank & Trust Co. v. Signature Financial Group, 149 F.3d 1368 (Fed. Cir. 1998).

[31] Nel 1993 l’USPTO aveva concesso il brevetto al gruppo Signature Financial (U.S. Patent no. 5,193,056) per il suo “data processing system for hub and spoke financial services configuration”.  

[32] Ricordo che, secondo un tradizionale orientamento della giurisprudenza americana, le applicazioni pratiche delle entità escluse dalla brevettazione (leggi di natura, fenomeni naturali, idee astratte) possono costituire valido oggetto di brevetto. In tal proposito si veda quanto sostenuto dalla Corte Suprema nel caso Mackay Radio & Telegraph Co. v. Radio Corp. of America, 306 U.S. 86 (1839): “while a scientific truth, or the matematical expression of it, is not a patentable invention, a novel and useful structure  created with the aid of knowledge or scientific truth may be”. Analogamente in Diehr: “it is now commonplace that an application of a law of nature or mathematical formula to a known structure or process may be well deserving of patent protection”. 

[33] “The (lower) Court relied on the judicially-created, so-called business exception to statutory subject matter in section 101. We take this opportunity to take this ill-conceived exception to rest. (…) Since the 1952 Patent Act, business methods should have been subject to the same legal requirements for patentability as applied to any other process or method”. State Street Bank & Trust Co. v. Signature Financial Group, 149 F.3d 1368 (Fed. Cir. 1998), 1375.

[34] AT & T Corp. v. Excel Communications, Inc., 172 F.3d 1352 (Fed. Cir. 1999).

[35] La Corte distrettuale del Delaware aveva optato per la non-brevettabilità del trovato in quanto avente ad oggetto un mero algoritmo matematico incapace di produrre effetti o trasformazioni fisiche. L’invenzione, sostanzialmente, consisteva in un metodo per la registrazione delle chiamate a lunga distanza e per il calcolo delle tariffe da applicare agli utenti.

[36] Permettendo la differenziazione delle tariffe telefoniche l’invenzione produceva, nell’opinione della Corte, un risultato utile e non astratto che facilitava la fatturazione delle chiamate a lunga distanza. AT & T Corp. v. Excel Communications, Inc., 172 F.3d 1352 (Fed. Cir. 1999), 1358. 

[37] Ex Parte Lundgren, Appeal no. 2003-2088 (Bd. Pat. App. & Int. 2005).

[38] In Re Musgrave, 431 F.2d 882 (C.C.P.A. 1970).

[39] Ex Parte Bowman, 61 USPQ 2d 1669 (Bd. Pat. App. & Int. 2001).

[40] Per approfondimenti sulla questione si veda l’articolo scritto da Sheinfeld R. C. & Bagley H. P., Ex Parte Lundgren Expands Patentable Subject Matter, in New York Law Journal, 2005, 234, 100, disponibile al sito: http://www.barkerbotts.com/files/Pubblication/5c4654186b7941febaf201bdca8dd5f1/Presentation/PubblicationAttachment/27d0d0a0-720f-407d-84ea-06817f04ebfd/NYLJ_11-23-05.pdf .

[41] USPTO, Interim Guidelines for Examination of Patent Applications for Patent Subject Matter Eligibility, 2005, disponibile al sito: http://www.uspto.gov/web/offices/pac/compexan/interim_guide_subj_matter_eligibility.html .

[42] Per avere un’idea più precisa si vedano, a titolo esemplificativo, i dati forniti dallo stesso USPTO e riportati in: Coggins W., Business Methods Still Experiencing Substantial Growth – Report of Fiscal Year 2001 Statistics, 2002, disponibile al sito: http://www.uspto.gov/web/menu/pbmethod/fy2001strport.html .

[43] USPTO, White Paper, 2000, disponibile al sito http://www.uspto.gov/web/menu/busmethp/index.html .

[44] Questi timori hanno trovato conferma in alcune cause attuali aventi ad oggetto metodi commerciali come i noti casi Amazon.com v. Barnesandnoble.com e  Priceline.com v. Microsoft.

[45] Così Merges R., As many as Six Impossible Patents Before Breakfast, in Berkeley Technology Law Journal, 1999, 14, 377 e ss.

[46] Per approfondimenti si vedano Lerner J., Two Edged Sword: The Competitive Implications of Financial Patents, 2003, disponibile al sito: http://www.frbatlant.org/news/conferen/fm2003/lerner.doc ; Hall B. H., Business Method Patents, Innovation and Policy, in Berkeley University, Department of Economics, Working Paper no. E03-331, 2003, p. 3 e ss; Lesavich S., Are All Business Method Patents “One Click” Away from Vulnerability?, 2002, disponibile al sito: http://www.hightech-iplaw.com/jmbm.pdf -

[47] Questo fenomeno si presenta con maggiore intensità in settori caratterizzati da un’innovazione di tipo “incrementale”. Qui, infatti, il prodotto viene spesso tutelato attraverso una fitta rete di brevetti, ciascuno preposto alla difesa di una piccola porzione del prodotto stesso. Tale fenomeno è noto in dottrina con il nome di “patent thickets”. A questo proposito si veda Bessen J., Patent Thickets: Strategic Patenting of Complex Technologies, 2002, disponibile al sito: http://www.researchoninnovation.org/holdup.pdf . E bene precisare che, per innovazione di tipo incrementale si intende un’innovazione in cui ciascun progresso poggi, necessariamente, su un’invenzione precedente, apportando un contributo spesso modesto allo stato della tecnica. A questo proposito si veda Bessen J. & Maskin E., Sequential Innovation, Patents and Imitation, Working Paper Department of Economics, Massachussets Institute of Technology, n. 00-01 January 2000, disponibile al sito: http://www.researchoninnovation.org/patent.pdf .

[48] Kingston W., Making Patent Useful to Small Firms, in I.P.Q., 2004, 4, p. 369 e ss.

[49] Per tutti si veda Vanzetti A., Introduzione. In Difesa dei Brevetti, in Galli C., Le Nuove Frontiere del Diritto dei Brevetti, Torino: Giappichelli, 2003, p. 3 e ss.

[50] Merges R., As many as Six Impossible Patents Before Breakfast, in Berkeley Technology Law Journal, 1999, 14, p. 582.

[51] Bagley M. A., Internet Business Model Patents: Obvious by Analogy, in Michigan Telecommunications and Technology Law Review, 2001, 7, p. 265 e ss.

[52] Per un approfondimento sulla pericolosità di un sistema brevettuale eccessivamente garantista si veda Mazzoleni R. & Nelson R. R., The Benefits and Costs of a Strong Patent Protection: A Contribution to the Current Debate, in Research Policy, 1998, 27, p. 273 e ss.

[53] Mansani L., La Brevettabilità dei Metodi Commerciali e delle Invenzioni Attuate per Mezzo di Elaboratori Elettronici, in A.A.V.V., Studi di Diritto Industriale in Onore di Adriano Vanzetti, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, vol. 2, 2004, Milano: Giuffrè editore, p. 949.