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La diffamazione a mezzo della stampa: profili risarcitori e violazione della privacy

Scritto da Gianluca Savino

Basta sfogliare un quotidiano qualsiasi, accendere la tv e sintonizzarsi su uno dei tanti rotocalchi di approfondimento politico o, ancora, visto che siamo nella società dell'informazione, navigare su internet su siti di attualità, per rendersi conto del linguaggio e dei metodi usati sia dalla moderna politica che dal giornalismo contemporaneo.
Si assiste, infatti, ad un fenomeno di imbarbarimento culturale che di riflesso investe il mondo del diritto.
La diffamazione a mezzo stampa è reato previsto dal codice penale, per il quale sono previste delle sanzioni.
Tuttavia, nell'impeto tumultuoso nel quale si imbattono, di volta in volta, personaggi politici, dello sport o dello spettacolo, qualcuno, di tanto in tanto (sempre più spesso!) rimane "scottato" o come vittima o come carnefice di mirabolanti controversie giudiziarie.
Internet, che si dice, ha migliorato la qualità di vita di molte persone, ha di contro, reso più facile la consumazione di alcuni reati. Per cui, il delitto di diffamazione a mezzo stampa è oggi facilitato nella sua consumazione dall'uso della navigazione in rete. Cosicché, le diverse pubblicazioni di articoli, foto e pettegolezzi di varia natura che vengono esercitati attraverso rubriche, blog e quant'altro, ha provocato una sorta di effetto boomerang nei confronti di chi perseguiva successo ed ha trovato sanzioni.
Ma c'è di più! Grazie al cielo oggi abbiamo anche una attenta legislazione in materia di trattamento di dati personali (D.Lgs. 196/2003, Codice in materia di trattamento dei dati personali), per effetto della quale sono anche aumentate le voci di danno che giustificano le richieste di risarcimento.
Da tutto ciò, si è venuta a configurare quella sorta di figura giuridica "ibrida" che è costituita dalla diffamazione a mezzo stampa, la quale trova giustificazione e limite nelle norme della Carta Costituzionale ma, anche, previsione e copertura nelle norme del codice penale, del codice civile ed ora anche nel codice della privacy; a metà strada, quindi, tra reato ed illecito civile, con una potenzialità configgente e pericolosa.
L'articolo 21 della Costituzione tutela la libertà di espressione del pensiero esercitata attraverso la parola, lo scritto e con ogni altro mezzo di diffusione. Questa vasta forma di tutela si estende anche alla libertà di dare informazioni o notizie, cioè alla libertà di cronaca e di informazione attraverso i media.
Tuttavia, la libertà di informazione, anche se costituzionalmente tutelata, può confliggere con altri valori tutelati costituzionalmente, a volte in maniera esplicita, come il caso del concetto di buon costume, altre volte in maniera implicita, come per esempio, agli artt. 2 e 3 cost., che, non di meno, ne contengono (non espressamente) la libera autonomia di tale diritto, in quanto mirano ad assicurare pari dignità sociale a tutti i cittadini.
Sovente, entrano in conflitto, il diritto ad informare ed i diritti della personalità quali quelli all'onore o alla riservatezza. Tale scontro tra valori costituzionalmente tutelati si sostanzia frequentemente nel reato diffamazione (articolo 595 del Codice Penale).
Il giudicante chiamato ad accertare la sussistenza del reato di diffamazione da parte, per esempio, di un giornalista ai danni di una persona, dovrà valutare con ragionevolezza il contemperamento tra esigenze contrapposte, ovvero, da una parte il diritto di cronaca (diritto ad informare e diritto ad essere informati) e, dall'altra, il diritto al rispetto della reputazione.
Tale tipo di indagine, dovrà essere improntata su elementi quali:
• la notorietà del personaggio ricorrente;
• l'utilità sociale delle informazioni che lo riguardano;
• la verità di tali informazioni (o quanto meno la sussistenza della scriminante del diritto di cronaca, ovvero, la verità putativa: concetto relativo di verità, legato alla diligenza del giornalista che ricostruisce quella versione dei fatti con la massima accuratezza e diligenza rispetto alle fonti disponibili nel momento della ricostruzione.);
• la continenza, ossia la forma misurata e non eccedente nell'offesa gratuita dell'esposizione dei fatti.
Il reato di diffamazione a mezzo stampa è perseguibili a querela di parte ed è punito con la reclusione fino ad un massimo di tre anni.
Tuttavia, si vuole in questa sede sottolineare come, nonostante la portata potenzialmente configgente, in numerosi casi di diffamazione, la giustizia civile non si scontra con quella penale ma anzi supplisce ad essa, la integra mirabilmente.
In altre parole possiamo dire che, il danneggiato, ha la facoltà di agire in sede civile anziché adire le vie penali; piuttosto che chiedere l'applicazione al reo della sanzione penale, può rinunciare a ciò ed agire, direttamente, per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito.
Per quel che concerne l'autore del reato, significativa è la previsione dell'art. 11 della legge n. 47 del 1948, il quale prevede per i reati a mezzo stampa, una responsabilità civile in solido, sia degli autori del reato che del proprietario della pubblicazione e dell'editore.
Le offese alla reputazione personale o artistica o professionale realizzate attraverso la diffusione di notizie o foto diffamatorie, possono comportare rilevanti danni tanto alla vita di relazione ed ai rapporti personali, quanto a quella professionale (si pensi, per esempio, ad eventuali perdite di changes per occasioni di lavoro).
Pertanto, al fine di rendere tutela agli interessi personali e professionali, l'ordinamento, ha previsto una serie di strumenti di protezione della reputazione che possiamo così sintetizzare.
a) Il diritto di rettifica: da poter esercitare quando la notizia diffusa con il mezzo della stampa risulta essere non rispondente al vero o lesiva della sua dignità.
Con la legge n. 223/1990, tale principio è stato esteso anche per la rettifica di notizie diffuse attraverso il mezzo televisivo o radiofonico.
Il diritto di rettifica dei dati personali è previsto anche dal D,Lgs. 196/2003 c.d. legge sulla privacy), secondo la quale ogni soggetto può esercitare il diritto di ottenere l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, qualora vi abbia interesse, l'integrazione dei propri dati personali. In caso di rifiuto espresso o tacito, ovvero di risposta non soddisfacente, ci si può rivolgere alternativamente all'autorità giudiziaria o al Garante per la protezione dei dati personali per ottenere l'attuazione in via coattiva di tali diritti.
b) La denuncia penale.: poiché la lesione dell'onore e della reputazione rappresenta un reato punito dal codice penale, chi subisce atti diffamatori può, come accennato, inoltrare alla competente autorità giudiziaria una denuncia – querela al fine di dare impulso ad un processo penale a carico del colpevole e costituirsi parte civile ai fini del risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti.
b) La tutela cautelare civile ( artt. 669 bis e seguenti) : si esprime anticipatamente rispetto alla lesione dell'onore e della reputazione e si concretizza nella c.d. azione inibitoria, atta a conseguire una pronuncia giudiziale idonea ad impedire ad un soggetto di compiere un comportamento illecito, ovvero di interromperlo se è già in atto. Lo scopo è quello di impedire che il fatto lesivo della reputazione abbia inizio o di interrompere l'esecuzione se l'attività è già in atto. Ulteriore finalità è quella di rimuovere gli effetti già, eventualmente, prodotti ed impedire altri pregiudizi per il futuro (per esempio, attraverso il sequestro del mezzo materialmente utilizzato per recare offesa alla reputazione e all'onore).
c) Il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali: ci si riferisce al risarcimento del danno c.d. 'per equivalente', che consiste nella attribuzione al danneggiato di una somma di danaro utile a compensare il pregiudizio sofferto. Si ricorre a tale forma risarcitoria, per lo più, quando non è possibile ricorrere al risarcimento in forma specifica per l'impossibilità di fare regredire la situazione al momento precedente, utilizzando, magari, strumenti processuali cautelari come quelli sopra citati.
Per quanto riguarda questa forma di riparazione del danno patito, esso stesso presuppone, una suddivisione in:
- danno patrimoniale: quando si verifica una perdita o un mancato guadagno (c.d. danno emergente e lucro cessante);
- danno non patrimoniale: nel caso in cui la circostanza illecita reca con sé anche situazioni quali sofferenze, risentimento, turbamenti della personalità, dolore, stress, imbarazzo, preoccupazione, menomazione delle potenzialità relazionali, etc.
Bisogna inoltre tenere presente che i comportamenti diffamatori a mezzo stampa configurano un 'trattamento di dati personali' ai sensi del D.Lgs. 196/2003.
Il D.Lgs. 196/2003, infatti, prescrive il risarcimento dei danni per trattamento illecito dei dati personali, prevedendo una forma singolare in ordine all'aspetto probatorio.
Essa stabilisce che chi cagiona danni per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento degli stessi ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile, ovvero con l'inversione dell'onere della prova.
L'art. 2050 precisa, infatti, che «chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno».
In altre parole, l'attività di trattamento di dati personali (al pari di chi usa combustibili o materiale rischioso) è equiparata all'esercizio di una attività pericolosa e determina un'inversione dell'onere della prova per effetto della quale il danneggiato dovrà solo provare l'esistenza del danno, mentre la colpa del danneggiante si presume, a meno che quest'ultimo non provi di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno stesso.
Pertanto, per concludere il nostro discorso sui profili risarcitori che prendono vita a seguito del reato di diffamazione, ci serviremo di un esempio, forse un po' scolastico, ma utile per comprendere la portata fortemente "stringente" della disposizione appena sopra riportata.
Immaginiamo l'ipotesi di un giornalista che pubblica notizie diffamatorie su un soggetto qualsiasi e che tali notizie si rivelino non propriamente rispondenti a verità.
Ebbene tale condotta integra una responsabilità per trattamento illecito di dati personali da parte del cronista, a cui spetterà (a lui e non alla persona offesa) l'onere di provare di avere compiuto tutte le verifiche necessarie prima della pubblicazione della notizia (ovvero tutte le precauzioni per evitare il danno) in quanto, la diligenza omessa nel verificare la fonte della notizia è stata idonea ad arrecare pregiudizio alla persona in questione.
Si tratta, naturalmente, molto spesso di una probatio diabolica, per cui, ringraziamo il legislatore per aver introdotto una codice a protezione dei dati personali e speriamo che, tutto ciò, induca in futuro ad una maggiore cautela nell'uso delle informazioni personali.