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Il conflitto di interessi e i problemi di disciplina della revisione contabile

Scritto da Giuseppe Carriere

SOMMARIO:1. Introduzione: quali interessi, quale conflitto; 2. Conflitti intrinseci e disciplina delle incompatibilità; 3. Profili critici; 4. Conflitti estrinseci e oggetto sociale esclusivo; 5. Inadeguatezza della disciplina e proposte di riforma.

           

 

 

1. Introduzione: quali interessi, quale conflitto 

 

La questione centrale  che si agita intorno al controllo contabile esercitato da un revisore o, soprattutto, da una apposita società, il suo nocciolo duro consiste, di  là del riferimento soggettivo e morfologico alla società di revisione,  nella identificazione e nella disciplina dei conflitti d’interesse in un modo o nell’altro originati dall’incontro, formalmente cooperativo, tra due organismi superindividuali, tra due centri di imputazione riassuntivi di una specifica normativa costituente lo statuto di soggetti di diritto giustapposti alle persone fisiche, appunto tra due persone non fisiche ma astrattamente “giuridiche”.

Di conseguenza, la intuitiva sottesa complicazione risiede nella circostanza che, diversamente da quanto accade nelle relazioni patrimoniali tra persone fisiche, il contratto con comunione di scopo costitutivo della società non compone in via negoziale gli interessi in conflitto dei paciscenti, ma solo li struttura e modella “per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili” (art. 2247 cod. civ.); ciò anche in quanto obiettivo principale di questo particolare atto d’autonomia non è certo quello di soddisfare una volta per tutte i confliggenti interessi in gioco quanto, per dirla con il linguaggio dell’analisi economica del diritto, di internalizzare le transazioni nell’impresa ad un costo inferiore a quello che le parti avrebbero dovuto sopportare se le stesse transazioni fossero state concluse attraverso il mercato (COASE, La natura dell’impresa: l’origine, il significato, l’influenza, ne Impresa, mercato e diritto, BOLOGNA, 1995, p. 97ss.). Gli interessi economici non trovano perciò definitiva soluzione come, ad esempio, nel caso di una vendita o di una permuta conclusa tra due persone fisiche, ma continuano irrimediabilmente a confliggere durante societate. Soci di maggioranza e di minoranza; amministratori; dipendenti dell’impresa; investitori singoli e collettivi rappresentano note categorie di riferimento di interessi giustapposti. Non esiste, tranne che nelle versioni, estreme quanto utopiche, delle teorie istituzionalistiche, un interesse “della società” omologo all’interesse del venditore persona fisica che possa trovare composizione nel contratto per la elementare considerazione che non esiste in rerum natura  una società, una sorta di “omone” che rappresenti il sottostante, reale riflesso della indicata finzione giuridica. L’imputazione alla persona giuridica è infatti un’imputazione incompleta. Essa “determina l’elemento materiale del comportamento di cui si tratta, ma non anche quello personale” (F. d’ALESSANDRO, Persone giuridiche e analisi del linguaggio, in Studi in memoria di T. ASCARELLI, I, MILANO, 1969, p. 281). Ciò spiega le specifiche prescrizioni tese a fornire, stante la incerta soluzione di un conflitto “che continua a rappresentare una minaccia per la pace sociale” (S. RUPERTO, Gli atti con funzione transattiva, MILANO, 2002, p. 86), composizione legale a talune di queste situazioni contrapposte (es: artt. 2373; 2391 cod. civ.), trasformandole da conflitti economici in conflitti giuridici (N. IRTI, Norma giuridica e processo civile, in Norme e fatti. Saggi di teoria generale del diritto, MILANO, 1984, p. 319). Esse si aggiungono alla disciplina generale della rappresentanza contrattuale (art. 1394 cod. civ.). Spiega altresì la centralità del tema riguardo ai principali istituti del diritto societario e le difficoltà a individuare soluzioni definitive o, almeno, stabili, vista la variabilità e la controvertibilità economica, oltre che storica e sociale, degli interessi in gioco.  

Queste basilari considerazioni, rese per di più in termini estremamente sommari, mi sembrano  utili a introdurre, sul piano metodologico, una scomposizione concettuale della categoria degli interessi in conflitto nell’ipotesi dell’affidamento del controllo legale dei conti ad una società di revisione ai fini della verifica di adeguatezza dei presidi assicurati dall’ordinamento giuridico per regolarli. Ora, è ricorrente la bipartizione della fattispecie conflitto di interessi nei due sottoinsiemi comunemente noti come conflitto d’interesse intrinseco e conflitto d’interesse estrinseco (M.C. MERANI, Il conflitto d’interesse nell’intermediazione mobiliare, in Giur. sist. dir. civ e comm., TORINO, 1991, p. 803 ss.). Il primo denota la fisiologica contrapposizione delle utilitates che ciascuna parte della trattativa intende perseguire ed è risolto, almeno nelle negoziazioni individuali, con la conclusione del contratto. Correttezza, lealtà, diligenza sono gli strumenti approntati, in via generale, dall’ordinamento onde evitare che gli egoismi dei paciscenti snaturino il contenuto sostanziale dell’accordo e la sottostante allocazione dei rischi e delle responsabilità ritenuti meritevoli di tutela. Il secondo impinge nella connotazione polifunzionale della controparte, dove lo svolgimento di plurime attività da parte di un medesimo soggetto può determinare il perseguimento di un interesse diverso da quello che questi avrebbe dovuto seguire se avesse svolto in via esclusiva una sola attività. Questa seconda figura di conflitto d’interesse è tipica, ad esempio, dell’intermediazione mobiliare. Viene tradizionalmente (e, forse, tralaticiamente) contrastata da specifiche, puntuali discipline. Forme di separazione amministrativa e contabile tra i diversi comparti dell’impresa del tipo chinese wall  e regole di comportamento definite dal legislatore (comunitario e domestico) costituiscono i principali strumenti tesi a governare (o, almeno, contenere) la patologia del fenomeno (per ulteriori, più diffusi riferimenti mi permetto di rinviare al mio Statuto dell’impresa d’investimento e disciplina del contratto nella riforma del mercato finanziario, MILANO, 1997, soprattutto p. 56 ss.). Diversamente da questa tipologia di contratti, l’affidamento della revisione contabile alla omonima società ha il potenziale (e dirompente) effetto di esaltare entrambe le categorie di conflitti, generando una sorta di conflitto di interessi al quadrato. Esaspera i conflitti intrinseci allorché una qualsiasi delle rappresentanze di interessi consustanziale alla (e)  società (soci, amministratori, sindaci, dipendenti) abbia rapporti d’affari (finanziari o di altra natura) con la società di revisione o viceversa; esaspera anche quelli estrinseci allorché la società di revisione intrattenga un duplice rapporto con la committente: di controllo dei conti e, al tempo stesso, di consulenza nei più diversi settori di interesse imprenditoriale, dalla consulenza fiscale a quella legale (sulla revisione contabile, i suoi obiettivi, la sua natura v., per tutti, S. FORTUNATO, La certificazione del bilancio, NAPOLI, 1985; uso, nel testo, il riferimento alla “commissione” in senso evidentemente atecnico, ritenendo il rapporto qualificabile, sul piano contrattuale, in termini di prestazione d’opera intellettuale che abbisogna, per perfezionarsi, di apposita accettazione da parte della società a ciò incaricata dall’assemblea. Cfr. sul punto, funditus, V. DONATIVI, Commento all’art. 159 TUF, ne AA. VV, Commentario al Testo unico dell’intermediazione finanziaria, a cura di G. ALPA e F. CAPRIGLIONE, PADOVA, 1998, p. 1461 ss. e P. BALZARINI, Commento all’art. 159 TUF, ne AA.VV., La disciplina delle società quotate, a cura di P. MARCHETTI e L.A. BIANCHI, MILANO, 1999, p. 1865 ss.).

Se corretta è l’impostazione prescelta, l’analisi dovrà essere svolta con riferimento ad entrambi gli insiemi al fine di verificare, nel contesto ordinamentale  vigente, previsioni e lacune in materia di disciplina dei conflitti d’interesse relativi alla revisione contabile.

 

 

2. Conflitti intrinseci e disciplina delle incompatibilità 

 

Prendendo le mosse dai conflitti di interesse intrinseci, per coerenza sistematica e rigore di analisi è appena il caso di avvertire che l’ulteriore specificazione delle regole dovrà consistere nella imputazione delle stesse alla composizione di conflitti endosocietari interni alla società committente ovvero alla società di revisione, essendo di tutta evidenza il carattere biunivoco, reciproco di rapporti della specie. E’ poi di piana evidenza che divieti e incompatibilità stabiliti a carico della società non potranno non riverberare i propri effetti anche nei confronti della società di revisione, determinando l’univoco risultato di precludere la costituzione di rapporti in forte odore di inaffidabilità.

Sotto il versante in rassegna, vengono principalmente in considerazione le norme che, nel sancire regimi di incompatibilità tra situazioni giuridiche predefinite, risolvono in radice il conflitto onde assicurare una revisione contabile scevra da sospetti e in grado di conferire pubblica fede al giudizio sul bilancio. Quindi, riguardo  alle società quotate, l’art. 160 del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico dell’intermediazione finanziaria, d’ora innanzi TUF), che esclude possa essere da queste conferito l’incarico a società di revisione che si trovino in una delle situazioni di incompatibilità stabilite con regolamento del Ministro della giustizia, sentita la Consob. Non essendo  stata emanata la disciplina secondaria, continua a trovare applicazione, sulla scorta della regola di ultrattività disegnata dall’art. 214 del TUF, l’art. 3 del d.p.r. 31 marzo 1975, n. 136. La norma fa riferimento a  incompatibilità derivanti da rapporti contrattuali e partecipativi in essere con (da parte del) la società di revisione, nonché  a situazioni di vincoli in senso lato parentali, di dipendenza, di titolarità di cariche sociali tra soci, amministratori, sindaci e direttori generali della società di revisione e omologhi soggetti della società committente (nn. 1 – 3). Sancisce, a carico degli stessi soggetti, l’incompatibilità per effetto di altre situazioni “che ne comprometta(no) comunque l’indipendenza nei confronti della società” (n. 4).  Contempla altresì la regola del c.d. cooling – off period, cioè la preclusione del passaggio dalla società di revisione alla committente prima di tre anni dalla cessazione della carica o del rapporto di dipendenza presso la società di revisione.

 Affianca ora questa disposizione l’art. 2409 – quinquies del codice civile, introdotto dal d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 contenente la riforma della disciplina delle società di capitali e delle società cooperative. Diversamente dalla norma di legge speciale, la portata della prescrizione codicistica abbraccia tutte le società per azioni (tanto nel modello base quanto in quello relativo alla società che faccia ricorso al mercato del capitale di rischio), uniche eccezioni essendo rappresentate proprio dalla società quotata e dalla relativa disciplina contenuta nell’art. 160 del TUF (arg. ex art. 2325 – bis, co. 2, cod. civ.) che peraltro, almeno sotto il profilo lessicale, dovrà essere coordinata con la nuova norma di diritto comune, nonché dalle società per azioni che non facciano ricorso al mercato del capitale di rischio, non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato e abbiano optato per l’adozione dell’ordinario modello di amministrazione e controllo. In questo caso il controllo contabile è infatti demandato al collegio sindacale, peraltro costituito da revisori contabili (art. 2409 – bis, co. 3). Come del resto l’intera riforma, l’art. 2409 – quinquies entrerà in vigore solo a partire dal 1° gennaio 2004. La norma, rubricata alle “cause di ineleggibilità” (recte, incompatibilità) “e di decadenza” prevede, in aggiunta alla disciplina imperativa, alla incompatibilità legale (che, nel caso di società di revisione, trova applicazione con riferimento ai soci della stessa e ai soggetti incaricati della revisione), che lo statuto societario possa contemplare “altre cause di ineleggibilità o di decadenza, nonché cause di incompatibilità” e “ulteriori requisiti concernenti la specifica qualificazione professionale del soggetto incaricato del controllo contabile” (co. 2). E’ stato opportunamente osservato che “non sembra difficile immaginare che uno statuto possa prevedere cause di incompatibilità per tutti coloro che abbiano rapporti finanziari o di lavoro con amministratori o sindaci delle società del gruppo; ovvero che abbiano rapporti personali con sindaci delle società del gruppo; o, addirittura, che siano in rapporti personali, finanziari o di lavoro con i soci della società o con quelli delle società del gruppo” (G. DI CECCO, Commento all’art. 2409 – quinquies, ne AA.VV., La riforma delle società, a cura di M. SANDULLI e V. SANTORO, I, TORINO, 2003, p. 653). Quanto alla disciplina legale, essa fondamentalmente consiste in una serie di prescrizioni tese ad evitare il cumulo delle cariche di sindaco e revisore esterno della società, di sue controllanti o controllate, e a sanzionare con la decadenza il revisore che si trovi in una delle condizioni stabilite dal precedente art. 2399, co. 1, cod. civ.

 

 

3. Profili critici

 

Ad avviso di una letteratura giuridica largamente maggioritaria, la disciplina sulle incompatibilità è ampia e, almeno apparentemente, idonea a contrastare il fenomeno sotto il versante dei conflitti di interesse intrinseci. E’ stato, in verità, opportunamente osservato (Commissione di studio istituita presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze) che il divieto all’assunzione di cariche nella società conferente posto in capo al socio, all’amministratore, al sindaco o al dipendente  della società di revisione potrebbe essere esteso alla società controllante e alle controllate della conferente in ipotesi di gruppo o, come si dice oggi, di “direzione e coordinamento” tra società. Rimane tuttavia questa una critica specifica, sicuramente di rilievo, ma certo non in grado di revocare in dubbio l’impianto complessivo del sistema.

Trovo invece, proprio in virtù dell’impostazione generale  innanzi esposta, l’assetto delle regole italiane sulle incompatibilità potenzialmente carente riguardo a tutta una serie di conflitti concretamente prefigurabili. Ciò, da un lato, in quanto la rigidità della disciplina, la ipostatizzazione ex ante e una volta per tutte di una serie astratta e generale di casi in cui ricorre una presunzione assoluta di incompatibilità “di posizione” riveniente dallo stato giuridico posseduto (parentela, condivisione di cariche sociali etc.) non appare,  per definizione, in grado di comprendere tutta una serie di situazioni soggettive estranee a quelle tassativamente elencate. Soprattutto, dall’altro, in quanto il conflitto strutturalmente insiste su rapporti, contrattuali o partecipativi, inter societari piuttosto che infra societari mentre, nella nostra prospettiva, gli interessi confliggenti sono concretamente riferibili a singole categorie di soggetti più che alla formula normativa che li riassume. Vero è che, con disposizione generalissima, il n. 4 dell’art. 3 d.p.r. 136/1975 fa anche riferimento a soci, amministratori, sindaci, direttori generali della società di revisione che “si trovino in altra situazione” (diversa cioè da quelle precedentemente elencate) “che ne comprometta, comunque, l’indipendenza nei confronti della società”. Ma tale norma, oltre a riferirsi a categorie di soggetti comunque predeterminate che possono non ricoprire l’intera gamma delle situazioni di sospetto (si pensi, ad esempio, ai dipendenti), appare, nella sua formulazione, estremamente vaga, in grado di trasformare la dimostrazione dell’assenza di indipendenza in una sorta di probatio diabolica. Occorre allora ripensare alla tecnica normativa idonea ad assicurare l’auspicato obiettivo che l’incarico della revisione contabile possa essere scevro da sospetti circa la ricorrenza di interessi privati collaterali o, addirittura, dominanti rispetto all’interesse pubblico dell’attestazione obiettiva del bilancio. La recente esperienza statunitense, codificata dal Sarbanes – Oxley Act del 30 luglio 2002, è nel senso di prevedere l’adeguamento costante, elastico, delle regole sulla incompatibilità attraverso l’allocazione in capo al neo istituito Public Company Accounting Oversight Board dei poteri di allargare la serie di incompatibilità  e, all’incontro, di “dispensare dal divieto…persone, emittenti, società pubbliche di revisione sulla base delle circostanze del singolo caso di specie se e nella misura in cui tale esenzione sia necessaria o idonea a tutelare l’interesse pubblico e gli investitori”. La stessa Raccomandazione della Commissione del 16 maggio 2002 sull’indipendenza dei revisori contabili prevede l’esclusione in capo al revisore legale, alla società di revisione, a qualsiasi membro del team incaricato, nonché a qualsiasi socio, di ogni interesse finanziario e di ogni relazione d’affari con la società conferente o la sua direzione aziendale, rimettendo ai singoli Stati la determinazione concreta degli interessi della specie e gli strumenti con cui farvi fronte.

 Nihil sub sole novi, ove solo si abbia presente che la intima ratio della delegificazione contemplata dall’art. 160 del TUF tramite l’affidamento al Ministro della giustizia del potere regolamentare di determinazione della cause di incompatibilità consiste proprio nell’adeguamento continuo e costante, tramite delega legislativa, della fattispecie legale alla realtà economica e fenomenica, altrimenti difficilmente governabile nella suo continuo cambiamento. La norma è tuttavia rimasta priva di concreta attuazione. Sarebbe auspicabile, anche con riferimento alle linee evolutive di altri ordinamenti, che venisse finalmente attivata. Il concorso, in chiave di complementarità, del potere regolamentare con quello statutario ex art. 2409 – quinquies, co. 2, cod. civ. e con altre fonti negoziali del diritto, di autodisciplina, appare, in prospettiva, in grado di assicurare un importante presidio contro conflitti della specie.

 

 

4. Conflitti estrinseci e oggetto sociale esclusivo

 

Conflitti d’interesse estrinseci. La principale tutela sembra risiedere nella limitazione dell’oggetto sociale della società di revisione, assicurata dall’art. 6 del d. lgs. 27 febbraio 1992, n. 88, lett. a), alla “revisione e alla organizzazione contabile di aziende”. Ciò esclude il formale esercizio di attività, quali la consulenza fiscale, giuridica, finanziaria etc., potenzialmente in grado, se svolte insieme alla revisione contabile, di determinare una sorta di  auto – controllo e così di negare in radice l’affidabilità del controllo dei conti. Non è tuttavia sufficiente ad evitare che, quando la società di revisione appartenga ad una più vasta “rete” di società o studi professionali, il conflitto riemerga indirettamente attraverso la prestazione alla società committente di servizi di consulenza da parte di una delle società o studi professionali del network economico (cfr. F. GALGANO, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, PADOVA, 2003, p. 424).

La Consob è opportunamente e meritoriamente intervenuta al fine di contenere situazioni della specie. In particolare, con due Comunicazioni, rispettivamente del 18 aprile 1996 e del 20 aprile 2001, ha precisato che “le società conferenti non dovranno avvalersi della consulenza o di altre prestazioni professionali fornite da società o studi che intrattengono rapporti in via continuativa con la società di revisione"; ha raccomandato alle società conferenti “di evitare di nominare alle cariche sociali soggetti che facciano parte delle suddette società”; ha stabilito che il collegio sindacale riferisca all’assemblea convocata per il bilancio, ai sensi dell’art. 153 del TUF, l’eventuale conferimento di incarichi a soggetti legati alla società di revisione da rapporti continuativi e i relativi costi. Al fine di ovviare agli inconvenienti causati dall’assenza di una disciplina primaria del fenomeno, la menzionata Commissione di studio istituita per l’esame dell’idoneità dell’ordinamento interno a fornire al mercato una rappresentazione veritiera della situazione economica, finanziaria e patrimoniale delle imprese quotate (c.d. “Commissione Galgano”) propone, anche sulla scorta delle indicazioni contemplate nella menzionata Raccomandazione C.E.,  una serie di soluzioni basate sia sulla trasparenza informativa che su formali divieti.

Procedendo per ordine, a me sembra che la limitazione dell’oggetto sociale rappresenti una soluzione solo apparentemente esaustiva. Rientra nella tradizione più remota dell’ordinamento domestico, dalla vecchia legge bancaria del ’36 in poi, si iscrive in un diverso contesto di diritto dell’economia e appare in  contrasto con la dimensione polifunzionale delle attività d’impresa, propria della società post – industriale. Quando, nella legislazione nuova, è stata riproposta, ha spesso causato questioni interpretative e, talvolta, palesi inefficienze. Ricordo, ad esempio, la norma dell’art. 80 del TUF, la espressa limitazione dell’oggetto sociale in guisa di esclusività dello stesso ivi contemplata per le società di gestione accentrata di strumenti finanziari; le sottese difficoltà ermeneutiche di rendere la società Monte Titoli destinataria dell’attività di settlement per il regolamento titoli ex art. 69 dello stesso TUF; la soluzione (o la finzione?) di concepire tale attività come accessoria rispetto alla principale (ed esclusiva) pur di non determinare, con il divieto, consistenti svantaggi competitivi a carico del “sistema paese”. Non è casuale che non trovi riscontro, riguardo alle problematiche in oggetto, nella disciplina di alcun paese europeo (eccezion fatta per Francia e Belgio), né negli U.S.A. e che non venga contemplata nella più volte richiamata Raccomandazione della Commissione. Può determinare  discriminazioni “di ritorno” nella concorrenza tra gli ordinamenti senza, peraltro, assumere valore definitivo  nella sterilizzazione del fenomeno, visto che tramite il ricorso alla “rete” sono possibili alterazioni della indipendenza della società di revisione largamente equiparabili a quelle sottese alla polifunzionalità delle attività svolte. A fronte di benefici di dubbia consistenza possono essere sopportati costi potenzialmente molto elevati. Il vero problema non è perciò limitare l’oggetto sociale, vietare alla società di revisione l’esercizio di altre attività, quanto piuttosto impedire che tali attività, se incompatibili con il requisito dell’indipendenza, vengano offerte allo stesso committente insieme alla revisione del bilancio. Mi sembrano, in fondo, queste le linee portanti delle disciplina comunitaria e del Sarbanes – Oxley Act.

 

 

5. Inadeguatezza della disciplina e proposte di riforma

 

Con riferimento al più volte ricordato fenomeno della “rete”, la “Commissione Galgano” formula proposte idonee ad assicurare, tramite una sapiente combinazione di istituti di trasparenza e rigidi divieti, importanti presidi alla patologia di questa forma di aggregazione tra imprese. Mi limito a ricordare la previsione dell’obbligo, in capo alla società di revisione, di comunicare all’atto dell’incarico la articolazione della “rete” di appartenenza e quella delle cariche sociali; la diffusione al mercato, quale fatto rilevante,  della “rete” di appartenenza della singola società di revisione; la pubblicità dei compensi percepiti dalla società di revisione e da altre società della “rete” da parte dello stesso committente; soprattutto il divieto in capo alla società sottoposta a revisione di conferire incarichi diversi da questo alla società che procede alla revisione e ad altre società della rete. Quest’ultima previsione soddisfa, all’evidenza, le ragioni che sono alla base della limitazione dell’oggetto sociale senza limitare l’attività della società di revisione.  Sotto profili più  generali, la proposta contiene il ricorso al “braccio violento della legge” ai soli casi in cui il mero affidamento al mercato non sembra sufficiente a contrastare eventuali deviazioni da standard ordinari di indipendenza, enfatizzando per il resto sanzioni reputazionali a carico della società di revisione in ipotesi di comportamenti meno che commendevoli rispetto a fatti rilevanti, quali l’appartenenza alla “rete”, doverosamente pubblicizzati. Ed è questa una soluzione assolutamente condivisibile e manifestamente compatibile con un maturo assetto di mercati evoluti, cioè aperti alla concorrenza, nei quali la partita si giochi anche sul piano delle fonti, non necessariamente statuali, atte a governare fenomeni complessi. L’adozione, da parte della Comunità europea, dello strumento giuridico della Raccomandazione fornisce, in fondo, concreta testimonianza dell’opportunità di affidare al pluralismo delle fonti di produzione del diritto, ad una sorta di “rete” di norme giuridiche, il compito di contrastare forme plurali di società e imprese attraverso cui eludere le leggi dei singoli paesi.