Difficile rapporto tra dirigenti e potere politico negli enti locali: la riforma e' ancora una chimera.

Un caso di antisindacalità (osservazioni a Trib. Lecce 2/5/02, Colluto Est.)

Il caso del Comune di Gallipoli, deciso dalla ordinanza del Tribunale di Lecce che si annota, riveste un notevole interesse; innanzi tutto per il problema giuridico che ha risolto e poi per i risvolti sul piano delle relazioni sindacali.
E' bene, però, fare un breve cenno dei fatti, per rendere tutto più comprensibile.
Il Comune di Gallipoli fine del 1998 deliberò la nuova macrostruttura, anche per adeguarsi alle ultime norme emanate in sede di completamento della riforma del pubblico impiego. Venne così deliberato un nuovo Regolamento per il funzionamento degli Uffici e Servizi. In quella occasione, data la portata degli atti che si ponevano in essere, il confronto sindacale arrivò sino ad interessare anche la fissazione dei criteri generali per la mobilità interna; questi criteri furono inseriti nel Regolamento.
Alla fine del 2001 i nuovi organi politici (maggioranza di centro destra) succeduti ai precedenti (di centro sinistra), dopo le consultazioni amministrative del maggio 2001, varano una nuova macrostruttura, ispirata ad un diverso modello di organizzazione del lavoro; viene stravolto l'intero assetto precedente e ne viene creato uno nuovo.
Dopo l'approvazione di tutti gli atti dovuti, secondo l'iter di legge, ai primi di gennaio del corrente anno il Direttore Generale-Segretario Generale del Comune, sulla base della nuova macrostruttura, con una propria determinazione effettua lo spostamento di oltre venti unità lavorative, assegnandole a compiti e funzioni diverse da quelle ricoperte prima, sia pure nell'ambito della categoria di appartenenza; in alcuni casi addirittura spostando un ragioniere addetto all'ufficio ragioneria presso l'ufficio di polizia urbana, con il solo compito di caricare sul pc le multe, e sostituito (nel suo posto in ragioneria) da un infermiere di una casa di riposo, oppure spostanda una laureata di Ctg D3 responsabile per oltre venti anni del servizio commercio all'Ufficio legale, diretto da una neo assunta di Ctg. D2, e con compiti meramente esecutivi.
E' avvenuto che sia i singoli impiegati sia la FP CGIL di Lecce abbiano impugnato l'atto del Direttore-Segretario per antisindacalità (il sindacato), per abuso di diritto, discriminazione sindacale e politica e demansionamento (i singoli). In particolare il sindacato ha lamentato la mancata informazione sulla mobilità interna ex art. 8 del decreto, al fine di chiedere la concertazione; il Comune ha replicato che il sindacato è stato informato sul progetto di ristrutturazione di tutti i servizi dell'ente e che le scelte di macrostruttura lasciavano intendere che ci sarebbe stata la mobilità; la partecipazione del sindacato alla discussione sulla macrostruttura avrebbe assorbito, secondo l'opinione dei nuovi amministratori e del Manager, qualsiasi altra informazione e concertazione.
Va tenuto presente, e questo è un particolare molto importante, che tutti gli atti 'politici' posti in essere dall'Amministrazione (dall'approvazione del programma politico-amministrativo- sino alla determinazione dirigenziale sulla mobilità, sono stati ispirati all'attuazione di un preciso patto politico che le forze di centro destra hanno stretto con il proprio elettorato: smantellare l'organizzazione del lavoro dell'Ente ed emarginare tutti quei dirigenti ed impiegati 'rei' di essere simpatizzanti, elettori, sostenitori delle forze di dentro sinistra e, soprattutto, iscritti alla FP CGIL. Questo intendimenti, come è stato dimostrato in causa, e riconosciuto come fondato dal Tribunale che ha dichiarato antisindacale e discriminatoria la condotta del Comune, risultano da dichiarazioni pubbliche, mai smentite, del Sindaco e dei suoi Assessori; la volontà di impedire un corretto svolgimento delle relazioni sindacali, a danno della CGIL e solo della CGIL, invece di attenuarsi dopo l'ordine del Tribunale di riprendere le trattative, con la concertazione sui criteri generali della mobilità, sta trovando ulteriore conferma nella circostanza che il Comune di Gallipoli, invece di rispettare l'ordine del Giudice, va dichiarando, con affermazioni sulla stampa del Sindaco, mai smentite, di voler continuare a punire tutti 'gli uomini' del vecchio Sindaco, e con una serie di atti elusivi dell'autorità del pronunciamento giudiziale, che ben potrebbero integrare il reato penale di cui all'art. 388 c.p. (violazione dolosa dell'ordine dell'Autorità Giudiziaria).
A quanto consti è il primo caso, dopo la riforma, di una condotta antisindacale rozza e arrogante che si presenta come un vero e proprio 'regolamento di conti' e che si rifà alle tante 'liste di proscrizione' che la nuova classe politica di centro destra va stilando ed attuando in tanti campi della vita del paese.La FP CGIL ha avvertito subito il significato fortemente lesivo delle prerogative sindacali sui luoghi di lavoro del comportamento del Comune ed ha impostato una strenua iniziativa di difesa degli interessi collettivi propri e dei singoli lavoratori. Dopo una battaglia giudiziaria aspra e combattuta, segnata anche da cocenti battute d'arresto nei ricorsi dei singoli lavoratori e nel secondo ricorso per condotta antisindacale (di cui più avanti), per scarsa sensibilità da parte di altri Giudici del lavoro del Tribunale di Lecce sulle questioni sottoposte al loro vaglio e/o per applicazione formalistica ed asettica di principi giuridici che andrebbero sempre contestualizzati, finalmente è arrivata la decisione sul problema della discriminazione politica e sindacale.
Da questo punto di vista l'ordinanza del Tribunale di Lecce costituisce un precedente molto significativo che va diffuso e difeso per la novità e per i principi di diritto che sono stati affermati.
Tornando alle questioni giuridiche, va precisato che la FP CGIL di Lecce volutamente ha presentato due distinti ricorsi: uno per violazione dei diritti di informazione del sindacato in materia di fissazione dei criteri generali della mobilità interna e l'altro sulla discriminazione politica e sindacale; una scelta che si è rivelata fortunata perché vi era il rischio che problematiche più specificatamente amministrativistiche, quali quelle legate all'interpretazione dell'art. 8 del contratto, per l'attuale minore dimestichezza del Giudice Ordinario del lavoro, più sensibile, per cultura ed esperienza, a questioni privatistiche come quelle della discriminazione politica e sindacale tout court, creassero confusione e rendessero meno netti i contorni dell'altra questione (l'epurazione degli iscritti alla CGIL e dei sostenitori dell'ULIVO).
E' avvenuto infatti che nel ricorso per violazione dell'art. 8 del contratto, i Magistrati sono stati portati fuori strada dalle capziose e fumose argomentazioni formalistiche del Comune; la questione è ancora aperta perché la CGIL ha proposto opposizione.
Ora rispetto a questa problematica la FP CGIL ha ritenuto lesivo delle proprie prerogative e lesivo dei principi affermati nell'art. 8 del contratto il comportamento dell'Ente; e tanto sulla base di alcune semplici osservazioni:
1) a voler seguire il ragionamento dell'Ente, nella nuova strutturazione dell'ente e dei suoi servizi, con assegnazione del personale individuato solo per categoria e non nominativamente, vi dovrebbe essere un legame così stretto tra il posto e la persona da rendere immediatamente percepibile la persona fisica che sarebbe stata mobilitata (rammentiamo a noi stessi che l'atto generale è atto politico, il provvedimento di mobilità è atto gestionale, quindi si presuppone per ciò stesso che vi debbano essere sempre due atti distinti, ciascuno con una propria vita e morte (sia per gli esiti sia per il soggetto che deve decretarne la nullità); dall'atto generale che approva la macrostruttura questa correlazione matematica non è per niente ravvisabile;
2) data la natura intrinsecamente diversa dei due atti, appositamente il legislatore ha previsto in una norma l'obbligo di informare il sindacato sui criteri generali che si intendono adottare nella mobilità interna, al fine di consentire la concertazione sugli stessi; diversamente opinando non si comprende l'utilità dell'art. 8. Sempre seguendo l'ente nel suo ragionamento, se fosse vero, il legislatore avrebbe dovuto espressamente prevedere una deroga all'art. 8 nell'ipotesi in cui il tema dei criteri generali della mobilità è oggetto della informazione e discussione in sede di approvazione della macrostruttura. Questo il legislatore non lo dice e quindi non si può fare;
3) ad ogni buon conto è certo che nella proposta della nuova macrostruttura non si parla mai dei criteri;
4) il sindacato ed i singoli hanno lamentato che una cosa è prevedere un nuovo assetto del personale ed altra cosa è il criterio per il quale debba essere Tizio e non Caio a spostarsi da questo Ufficio ad un altro.
Una cosa è la struttura (che si attua con atti politici di valenza generale) un'altra cosa è la mobilità (che si attua con singoli atti di gestione, di natura privatistica). Ora il legislatore ha disciplinato sia il momento della formazione dell'atto a valenza generale dove la presenza del sindacato ha uno specifico significato sia il momento gestionale dove è il sindacato, ricevuta la informazione, che sceglie di fare o non fare la concertazione;
4) Ancora: il Direttore Segretario Generale ha motivato i singoli spostamenti in base al solo criterio della professionalità; sta di fatto che:
4a) non richiama il fondamento normativo e/o regolamentare su cui si fonda tale scelta;
4b) non dà conto delle ragioni per cui si è privilegiato quel criterio invece di altri;
4c) tenuto conto che il nuovo regolamento fa salve le norme del vecchio non in contrasto, e che nel vecchio erano espressamente ed analiticamente specificati i criteri generali a cui i responsabili avrebbero dovuto attenersi prima di dare corso alla mobilità interna, si rileva che la vecchia disciplina, non in contrasto con la nuova macrostruttura che non contiene alcuna disciplina sulla mobilità, è stata violata: sia perchè il criterio della professionalità è uno dei quattro esistenti sia perchè non viene spiegato perchè proprio quel criterio e non un altro dei quattro.
Sembra a chi scrive che l'Ente abbia fatto ricorso ad un meccanismo molto sofistico per operare la mobilità interna senza confrontarsi con chi è depositario del potere di controllo in questa materia; probabilmente proprio in un'ottica di resa dei conti, nel succedersi di parti politiche avverse nella gestione della cosa pubblica. Se è così penso che dobbiamo aspettare molto per vedere attuata la riforma, che voleva proprio emancipare i dirigenti dal potere politico, sottraendoli al clientelismo.