È reato tenere un cane in condizioni incompatibili con la sua natura

Riflessioni sulla sentenza della Cassazione n. 8547/2002

In un clima di crescenti iniziative di sensibilizzazione per il rispetto degli animali, anche attraverso forme di 'pubblicità progresso' promosse dalle Autorità istituzionali competenti, interviene una recente pronuncia della Cassazione, che va ad aggiungersi alle numerose altre emesse in questi anni sul tema del maltrattamento degli animali.
La sentenza di cui si tratta, precisamente la n. 8547/2002, è stata pronunciata a seguito del ricorso proposto avverso una decisione del Tribunale in composizione monocratica di Forlì, dal proprietario di un cane condannato al pagamento di lire 3.000.000 di ammenda per violazione dell'articolo 727 c.p.
In particolare il signor P. B. era stato denunciato da un volontario responsabile del Corpo delle Guardie zoofile del comune, per l'aver tenuto un cane da caccia in una cuccia fatta con delle cassette sconnesse, chiuso in una capanna di circa sei metri molto maleodorante e buia anche nelle ore diurne. Il Giudice, avendo accertato la corrispondenza al vero dei fatti esposti, aveva ritenuto integrati gli estremi del reato contravvenzionale di maltrattamento di animali, previsto appunto dall'articolo 727 c.p. La Cassazione a sua volta, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di tale decisione, ha ritenuto corretta l'applicazione dei principi di diritto e logica ed incensurabile la motivazione che aveva portato a ritenere i comportamenti del signor P. B. non compatibili con la natura dell'animale.
Giova a tal proposito richiamare il tenore letterale dell'articolo 727 c.p. (così come modificato dall'articolo 1 della legge 22 novembre 1993 n. 473), il quale punisce chiunque incrudelisce verso gli animali senza necessità o li sottopone a strazio o sevizie o comportamenti e fatiche insopportabili per le loro caratteristiche [...] o li detiene in condizioni incompatibili con la loro natura [...].
Per giungere alla sua decisione, la Cassazione ha argomentato che la nozione di maltrattamento di animali, ricavabile dall'art. 727 c.p., non va individuata solo con riferimento alla violenza fisica, ma comprende anche aspetti comportamentali ed ambientali di carattere sia commissivo che omissivo. Per quanto riguarda invece l'elemento soggettivo del reato, la Suprema Corte ha tracciato un distinguo tra l'ipotesi dell'incrudelimento, che può essere ragionevolmente configurabile solo in presenza del dolo, da quella della detenzione degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura, che invece può ragionevolmente configurarsi anche a titolo di colpa (conformemente al principio generale secondo cui delle contravvenzioni si risponde, indifferentemente, a titolo di dolo o colpa). Anche sotto tale punto di vista, quindi, la decisione del tribunale di Forlì nei confronti del signor P.B. appariva corretta, a nulla rilevando l'atteggiamento psicologico con il quale i fatti provati erano stati posti in essere.
Una tale pronuncia, senz'altro importante nel percorso di crescita della tutela dei diritti degli animali, e sicuramente rispettosa della ratio dell'articolo 727 c.p., è in fondo il frutto di una serie di interventi legislativi e giurisprudenziali sul tema del maltrattamento degli animali. Basti pensare al fatto che l'articolo 727 c.p. è stato collocato tra le contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi, e che nella sua originaria formulazione esso era costruito come un reato fondato sul senso di pietà verso gli animali e punito con un'ammenda da lire ventimila a lire seicentomila. Poi, grazie ad una maggiore sensibilità sociale verso i diritti degli animali, anche le interpretazioni degli operatori del diritto hanno assunto toni di apertura verso una maggiore tutela di essi. La prima pronuncia giurisprudenziale in tal senso è stata quella della Pretura di Amelia, nel 1987, con la quale si è introdotto il concetto di maltrattamento - dolore, focalizzando così l'essenza del reato sul maltrattamento in sé e non sul sentimento di ribrezzo che il comportamento tenuto nei confronti degli animali avrebbe potuto causare alle persone eventualmente presenti.
A questa decisione è seguita, il 14 marzo 1990, la sentenza della Cassazione n. 184162, con cui si è affermato che l'articolo 727 c.p. tutela gli animali in quanto esseri viventi dotati di sensibilità psico-fisica e capaci di reagire agli stimoli del dolore, e che pertanto sono punibili non solo comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà verso gli animali, ma anche comportamenti che incidono, senza giustificazione, sulla sensibilità dell'animale producendo dolore. Sono intervenute poi nello stesso altre decisioni, fino ad arrivare alla riforma introdotta dalla legge 473/1993, che oltre ad aver previsto un inasprimento delle sanzioni, ha costruito per il reato di maltrattamento di animali una fattispecie molto più articolata. Essa, come si è già accennato, oggi punisce una serie di comportamenti, anche posti in essere mediante omissione, che tutelano gli animali in sé, come essere viventi, che non solo non devono essere oggetto di sevizie e crudeltà, non devono essere adoperati per lavori, giochi o spettacoli insostenibili per la loro natura (comportamenti che tra l'altro è previsto siano valutati non in senso oggettivo, ma tenendo conto delle caratteristiche dei singoli animali), ma devono essere anche custoditi in condizioni che con essa siano compatibili.