Diritto di cronaca e diritto di critica

Quali i limiti della loro efficacia scriminante?

Nella società dell'informazione sempre più spesso la libertà di manifestazione del pensiero, intesa nel duplice senso di diritto di informare e diritto di essere informati, viene a confliggere con altri valori che, seppure costituzionalmente riconosciuti e tutelati, subiscono pregiudizio dal suo indiscriminato esercizio.
Il diritto alla privacy, il diritto alla riservatezza, il diritto all'identità e alla dignità personale, il diritto all'onore e alla reputazione sono suscettibili di lesione per opera di un'attività di informazione che con essi entri in contrasto. Da tale conflitto tra interessi di pari rango emerge, predominante, la libertà di manifestazione del pensiero, ma la sua potenziale carica offensiva impone limiti di esercizio al fine di un equo bilanciamento di valori, specie quando gli stessi siano penalmente tutelati attraverso la previsione di adeguate fattispecie incriminatrici.
In tal caso, il principio di non contraddittorietà dell'ordinamento impone che condotte astrattamente idonee a ledere beni giuridici penalmente tutelati, pur integrando gli estremi di reato, non costituiscono reato se altre norme dell'ordinamento le facoltizzano, escludendone così l'antigiuridicità.
Nell'ipotesi che ci riguarda, l'informazione è un diritto il cui esercizio può ledere l'onore e la reputazione della persona, integrando gli estremi del reato di ingiuria e di diffamazione, ma, rispondendo esso stesso all'interesse costituzionale di libertà di manifestazione del pensiero, non può de plano essere perseguito penalmente, pena l'illogicità e l'incoerenza dell'ordinamento.
Dunque, l'antigiuridicità della condotta è esclusa in virtù della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p. (esercizio del diritto), ma solo al ricorrere di date condizioni che ne garantiscono il corretto esercizio e che escludono ingiusti pregiudizi di altri diritti.
Il diritto di cronaca, perciò, figlio della libertà di manifestazione del pensiero, giustifica una condotta ingiuriosa o diffamatoria, purché sia esercitato entro determinati limiti che la giurisprudenza, nel corso degli anni, ha così enucleato:
1. i fatti narrati devono rivestire interesse per l'opinione pubblica, secondo il principio della pertinenza;
2. l'esposizione dei fatti accaduti deve essere corretta in modo che siano vietate gratuite aggressioni all'altrui reputazione, secondo il principio della continenza;
3. i fatti accaduti devono corrispondere rigorosamente ai fatti narrati, secondo il principio della verità.
Dal diritto di cronaca si distingue il diritto di critica, che non si concretizza nella narrazione di fatti, bensì "nell'espressione di un giudizio o più genericamente di un'opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su un'interpretazione necessariamente soggettiva di fatti e comportamenti" (Cass., sez.V, 14/4/2000).
Ciò porterebbe a contrastare l'opinione di chi vuole applicare anche al diritto di critica tutti i limiti imposti al diritto di cronaca ai fini dell'efficacia scriminante e a sostenere la tesi, accolta anche da parte di giurisprudenza, di riconoscere, quali unici limiti del diritto di critica, la continenza e la pertinenza (escludendo, così, la verità), potendo scusare penalmente soltanto la critica che, seppure non rispondente esattamente al vero, non sia mirata a colpire sul piano individuale senza alcuna finalità di pubblico interesse (limite della pertinenza) e non sia condotta in termini che trascendono nel campo dell'aggressione e della gratuita contumelia (limite della continenza).
Ma, c'è di più. A volte la S.C. si è spinta ancora oltre, richiamando il solo limite della pertinenza: la critica non può che essere condotta con toni aspri e polemici, specie se proviene da soggetti personalmente colpiti dai fatti denunciati, oggetto della stessa.
A questo punto, una riflessione si impone: il diritto di critica nasce come specificazione del diritto di cronaca, entrambi estrinsecazione della libertà di manifestazione del pensiero e, perciò, entrambi esimenti condotte penalmente illecite al ricorrere delle condizioni sopra esposte, ma la loro intrinseca differenza strutturale (attività di giudizio, il primo; di narrazione, il secondo) fa sì che i limiti della continenza, verità e pertinenza, applicabili tutti ad entrambi, siano diversamente valutati quando attengano alla critica: perché la manifestazione di un giudizio abbia efficacia penalmente scriminante deve, fermo restando il limite della pertinenza, pur sempre concretizzarsi in un dissenso motivato, cioè supportato da appigli concreti (anche se non rigorosamente verificati, come richiesto per il diritto di cronaca; limite della verità) e tradursi in una civile esposizione della propria opinione, seppure in toni aspri e polemici (ma non contenuti e distaccati, come, ancora una volta, richiesto per il diritto di cronaca; limite della continenza).
Dunque, il diritto di critica è sottoposto agli stessi limiti del diritto di cronaca, anche se in forma decisamente più sfumata.
Quid iuris se la critica è manifestata non già da un giornalista, referente per antonomasia della disciplina fin qui esaminata, ma da un privato cittadino che, assumendosi leso in una sua qualche posizione giuridica, ne denunci il pregiudizio, esponendo il suo dissenso per mezzo della stampa o di altro mezzo di comunicazione?
E' facile immaginare casi di disservizi subiti dagli utenti nella prestazione di servizi pubblici, ritualmente denunciati alle autorità competenti e resi noti anche al pubblico attraverso idonei canali informativi: si corre il rischio di una incriminazione per diffamazione?
Il diritto di critica, a differenza del diritto di cronaca, generalmente attribuito a chi esercita professionalmente attività di informazione, attiene ad ogni individuo, titolare comunque del diritto di esprimere il suo giudizio che, anche in tal caso, può avere efficace scriminante soltanto entro i limiti su esposti.
E' esemplificativa la vicenda del cittadino che immetteva in internet un messaggio di posta elettronica, inviandolo ad un gruppo di discussione (newsgroup), con il quale esponeva con toni forti e dissenzienti la sua negativa esperienza con un istituto di credito. Il Tribunale, in quella circostanza, ha avuto modo di riconoscere in capo al cittadino il diritto di critica che, legittimamente esercitato con il messaggio de quo, dati il carattere di interesse pubblico dell'argomento trattato, la continenza sostanziale dell'intervento, la cui forma espositiva non era stata certamente volgare o offensiva, e la considerazione dei fatti allegati come veri o putativamente tali, impediva all'istituto di credito di vantare alcuna pretesa sia in sede civilistica (inibitoria e risarcimento del danno) che in sede penalistica (condanna per diffamazione) - Tribunale di Roma, 4 luglio 1998 - .