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La crisi d’identità del documento informatico: riflessioni sulla forma scritta, “firmata” non sottoscritta nel commercio elettronico internazionale.

Scritto da Andrea Lisi

..ovvero l'evoluzione della sottoscrizione autografa nei rapporti "privatistici" telematici...

 

Fa bene, a volte, rileggere alcuni passi della letteratura e provare a reinterpretarli alla luce delle innovazioni tecnologiche che travolgono tutte le nostre certezze sociali, economiche, giuridiche. E così alcune suggestive parole di Baldassarre Castiglione ([1]) sul significato dello “scritto” assumono sfumature nuove, innovative e impensate per il periodo in cui sono state elaborate dall’autore: “lo scrivere non è altro che una forma di parlare, che resta ancor poi che l’uomo ha parlato; e quasi un’immagine, o più presto vita delle parole; e però nel parlare, il qual, subito uscita che è la voce, si disperde, son forse tollerabili alcune cose che non sono nello scrivere”…voler ancora ritenere che la manifestazione di volontà contenuta in un messaggio di posta elettronica possa non essere ricondotta giuridicamente alla “forma scritta” fa sorridere un po’ se si riflette sulla forza evocativa e poetica di certe parole…

In verità, il recente animato dibattito sul valore formale dell’e-mail quale documento “scritto” ai sensi del novellato art. 10 DPR 445/2000 ([2]), andrebbe più correttamente analizzato alla luce dell’evoluzione e crisi della sottoscrizione autografa nel commercio internazionale e nel commercio internazionale elettronico.

Le contrattazioni moderne, infatti, da tempo utilizzano in maniera sempre più consueta documenti dichiarativi non sottoscritti, frutto delle innovazioni in campo “meccanico” o “telematico” (dal telegramma al telex, fino al telefax e alla electronic mail) ([3]). Questo fenomeno globale imposto dagli scambi commerciali internazionali è stato più volte definito in dottrina come “crisi della sottoscrizione” e “aformalismo della macroeconomia” ([4]).

Con la “virtualizzazione”  dell’accordo telematico il sistema tradizionale legato alla visione del  documento - quale res rappresentativa di un fatto ([5]), imputabile giuridicamente attraverso la sottoscrizione – è entrato irrimediabilmente in crisi e si è pertanto reso indispensabile trovare nuove nozioni più elastiche di documento che tenessero conto delle innovazioni della prassi e rendessero giuridicamente ammissibili le moderne tecniche di attribuzione della paternità dello “scritto”, prescindendo dai meccanismi tipici legati alla sottoscrizione. Si è arrivati, così, alle suggestive e “futuribili” conclusioni di chi si è spinto ad affermare che “il flusso degli elettroni nel computer è il nuovo inchiostro, i bits il nuovo alfabeto e la memoria della macchina la nuova carta” ([6]) o ancora che “la scrittura è un concetto ampio comprendente qualsiasi dichiarazione incorporata in un supporto materiale destinato a  durare nel tempo. Non contano né il tipo di alfabeto né il tipo di supporto.” ([7])

In questo modo, il documento informatico diventa documento scritto, a prescindere dal supporto che lo contiene.([8])

“La parola dell'uomo deve viaggiare presto  e lontano, e non può portare a lungo con sé il fardello della sottoscrizione autografa. La tecnologia  fornisce mezzi sempre più semplici ed economici per realizzare questo fine: dapprima il telefax, poi i testi elaborati in forma digitale attraverso programmi che girano su personal computer e viaggiano con la posta elettronica ed Internet”. ([9])

Ovviamente la parificazione di un documento informatico, come l’e-mail, alla “forma scritta” pone problemi innegabili e simili a quelli già noti relativi alla rilevanza formale e probatoria di telefax e telegramma o telex (profili probatori di avvenuta trasmissione e ricezione per il primo, mancanza di sottoscrizione per i secondi). ([10])

Problematiche queste che riguardano, quindi, i profili probatori di tali documenti e non la loro natura formale di “documento scritto” e che vengono a cadere e ad evaporare pressate dalle esigenze della pratica contrattuale internazionale e dell’aformalismo nella negoziazione tra privati. Problematiche che vanno risolte probabilmente in maniera diversa rispetto alle certezze dogmatiche della “tradizione” e cercando di tenere separati gli ambiti legati alle esigenze di “certificazione”, tipici dei rapporti della P.A., da quelli dell’e-commerce internazionale. ([11]).

Una conferma a questo ragionamento la si ritrova nelle più sofisticate e importanti elaborazioni dottrinali in materia di contrattualistica comunitaria e internazionale: The Principles Of European Contract Law 2002 ([12]) e  The UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts ([13]). I Principi UNIDROIT pubblicati nel 1994 e i Principi di diritto europeo dei contratti (PECL) possono essere considerati come il più prestigioso e riuscito “esperimento di codificazione” di un emergente regime giuridico sovranazionale e comunitario delle “transazioni” internazionali ([14]).

L’obiettivo è stato quello di individuare i principi comuni alla maggior parte dei sistemi giuridici esistenti e di elaborare una normativa anazionale applicabile ai contratti internazionali e comunitari “che potesse semplificare i rapporti giuridici che coinvolgono, per loro natura, più ordinamenti che spesso sono molto diversi fra loro”. ([15])

I PECL e i Principi UNIDROIT sono stati elaborati quasi contemporaneamente da membri delle due commissioni di redazione in parte identici (in seno all’Unione Europea ([16]) e nell’ambito dell’UNIDROIT – International Institute for the Unification of Private Law) e le norme di cui gli uni e gli altri sono costituiti sono risultate in buona parte uguali nella sostanza: l’unica rilevante differenza è che mentre Principi Unidroit mirano a creare un quadro comune nella prassi commerciale internazionale (e sono molto utilizzati nella contrattazione internazionale e, quindi, ben conosciuti nei lodi arbitrali internazionali), i Principi PECL, invece, si rivolgono più genericamente ai contratti “civili”. ([17])

Fatte queste dovute premesse sui PECL e sui Principi UNIDROIT, verifichiamo come questi prestigiosi regimi giuridici “anazionali” hanno risolto la particolare problematica della “forma scritta” nelle dichiarazioni contrattuali.

Nell’art. 1.10 Definitions dei Principi UNIDROIT si legge testualmente: in these Principles “writing” means any mode of communication that preserves a record of the information contained therein and is capable of being reproduced in tangible form. Quindi per “forma scritta” si intende qualsiasi forma di comunicazione che conservi la documentazione delle informazioni contenute e sia riproducibile in forma tangibile. ([18]) Non si fa alcun cenno, quindi, alla sottoscrizione, in piena adesione a principi internazionali ormai universalmente riconosciuti e resi evidenti nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci  (Convenzione delle Nazioni Unite dell’11 aprile 1980), nella quale si includono nella nozione dello “scritto” tutte le comunicazioni, anche quelle a mezzo telegrafo e fax (art. 13 della Convenzione). Nel commento “ufficiale”([19]) ai Principi Unidrot, infatti, si legge “a writing includes not only a telegram and a telex, but also any other mode of communication that preserves a record and can be reproduced in tangible form”.

Altrettanto espliciti sono i PECL, i quali all’art 1.301 (ex art. 1.105) - Meaning of Terms punto 6) espressamente affermano che  “written” statements include communications made by telegram, telex, telefax and electronic mail and other means of communication capable of providing a readable record of the statement on both sides; anche in questo caso, la forma “scritta” si intende riferita ai telegrammi, telex, telefax, posta elettronica e ogni altro strumento di comunicazione in grado di  produrre un documento suscettibile di lettura dall’una e dall’altra parte. ([20])

Ma come si possono piegare alle esigenze della prassi commerciale le tradizioni giuridiche basate sul documento cartaceo che “appartiene” da sempre ad un soggetto solo se da questi sottoscritto? Come già spiegato in altre occasioni ([21]), l’appartenenza del documento, cartaceo o informatico che sia, è stata individuata attraverso altri meccanismi, legati maggiormente all’innovazione tecnologica, a quel senso di appartenenza nuovo che si trova nel potere di gestione dello strumento di trasmissione ed è assolutamente slegato dalle ragioni di sicurezza e, quindi, di “evidenza probatoria” di quel documento (necessariamente affidata, quest’ultima al libero apprezzamento del giudice caso per caso).

Ci riportiamo ancora una volta alle parole di R. Sacco ([22]), per spiegare questo concetto: “l’elaborazione del valore giuridico del messaggio trasmesso per telex è agli inizi. Il telex memorizza un messaggio, senza identificare il mittente. Il messaggio però identifica l’apparecchio trasmittente. In altre parole: il telex non dice con sicurezza chi ha inviato il messaggio, ma dice chi è l’utente (più esattamente: chi ha titolo per l’uso) e, quindi, chi è responsabile dell’apparecchio trasmittente […]. La dichiarazione per telex individua il soggetto di un potere giuridico cui accompagna di norma un potere di fatto([23]).

Quindi, telegramma, telex, telefax, e-mail sono accumunati dal fatto di poter creare, in maniera, più o meno sicura, un nuovo tipo di appartenenza del documento al soggetto che l’ha redatto; in qualche modo essi individuano il soggetto che aveva un potere di fatto, un controllo sullo strumento di trasmissione. ([24])

In questo senso tali documenti possono rientrare senz’altro nella categoria giuridica della “forma scritta”, creando con l’autore dello “scritto”, un legame nuovo, dettato da nuove regole scaturite dall’innovazione tecnologica  e che, quindi, portano a “firmare” i documenti prescindendo, in particolari casi, dalla loro sottoscrizione.

Giustamente il legislatore comunitario ha, quindi, considerato - per quanto riguarda nello specifico il documento informatico -  la categoria “firma elettronica” prescindendo dalla “tecnica” utilizzata per creare l’associazione del documento al suo titolare e questo con l’ovvia intenzione di lasciare libertà ai privati nel commercio elettronico (in modo che si possano trovare nel tempo anche nuove soluzioni tecnologiche più appropriate alle esigenze della prassi commerciale) ([25]). In questo modo possono rientrare tra i documenti firmati elettronicamente tutti quei documenti che permettano, in maniera più o meno sicura, l’associazione del documento ad un soggetto: tra questi può  certamente rientrare l’e-mail!

La firma elettronica leggera ha così una sua autonoma rilevanza rispetto alla firma digitale e non va confusa con la stessa: essa, pur non assicurando normalmente, con sicurezza paragonabile a quellla della firma digitale ([26]), l’immodificabilità e la provenienza del documento, comunque permette di “associare” (o meglio attribuire) un documento ad un soggetto (nè più nè meno di un comune telefax o telex).

L’equiparazione della “forma scritta” al telefax e alla posta elettronica la ritroviamo (inaspettatamente) anche nella recentissima Direttiva “relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi” , definitivamente approvata il 29.01.04 ([27]), laddove negli artt. 1 (definizioni) e 42 (regole applicabili alle comunicazioni)  sono  contenuti i principi fondamentali della disciplina delle nuove modalità di comunicazione: in tali articoli, si precisa preliminarmente che i termini “scritto” o “per iscritto”  designano un insieme di parole o cifre che può essere letto, riprodotto e poi comunicato e che può includere informazioni trasmesse e archiviate con mezzi elettronici, ossia con mezzi che utilizzano apparecchiature elettroniche di elaborazione (compresa la compressione numerica) e di archiviazione dei dati, tramite diffusione, trasmissione e ricezione via filo, via radio, attraverso mezzi ottici o altri mezzi elettromagnetici. A fronte di un siffatto quadro definitorio l’articolo 42 prosegue affermando che “tutte le comunicazioni e tutti gli scambi di informazioni di cui al presente titolo possono avvenire, a scelta dell’amministrazione aggiudicatrice, per posta, mediante fax o per via elettronica”.

Il legislatore comunitario sembra confermare, pertanto, (anche per alcuni rapporti di natura “privatistica” tra P.A e cittadino e/o impresa) una piena equiparazione formale tra comunicazione elettronica e comunicazione scritta: equivalenza formale che si ritrova più volte ripetuta nel nell’ordinamento giuridico italiano, europeo, internazionale nel momento in cui si è accostata l’e-mail al telefax, al telegramma, al telex.



(* ) Avvocato in Lecce, Studio Legale Lisi. Titolare, con il dr. Davide Diurisi, dello Studio associato D.&L., consulenza ICT&International Trade. Curatore del portale http://www.scint.it/. Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritto del commercio internazionale e diritto delle nuove tecnologie. Direttore Scientifico del Corso di Alta Formazione in Diritto&Economia del Commercio Elettronico Internazionale

 ([1]) Baldassarre Castiglione (Casatico 1478, Toledo 1529), intellettuale della media nobiltà dell’epoca e autore de Il Cortegiano.

 ([2] ) Il dibattito ha preso il via dalla pubblicazione sul web del decreto ingiuntivo n. 848/03 emesso dal Tribunale di Cuneo sulla base della sola produzione di uno scambio di e.mail dalle quali si deduceva un riconoscimento di debito (e successivamente analogo decreto - decreto ingiuntivo n. 89/04 – è stato emesso dal Tribunale di Bari). E’ seguito un animato dibattito tra chi sosteneva che l’e-mail dovesse ritenersi documento “scritto” idoneo a soddisfare i requisiti di cui agli artt. 633-634 c.p.c. e chi, invece, negava allo stesso documento qualsiasi valenza probatoria e formale. Si ricordano, da una parte, i contributi dottrinali di: V. Amendolagine, sempre a commento del decreto del Tribunale di Cuneo, dal titolo “Il valore probatorio dell'e-mail nel ricorso per ingiunzione di pagamento” apparso di recente su Diritto e Giustizia on line, Giuffrè editore, 2004, e dello stesso autore  Dopo il Tribunale di Cuneo, anche quello di Bari si pronuncia a favore dell’accoglimento di un ricorso per ingiunzione di pagamento proposto sulla base di una ricognizione di debito trasmessa da una parte (creditore) all’altra (debitore) attraverso la posta elettronica”, su Diritto e Giustizia on line, Giuffrè Editore, 2004; S. Camerini, “Provider e e-mail probatorie”, pubblicato dal Consulente Legale Informatico alla pagina http://www.consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=61; D. Scialdone, “L’e-mail soddisfa il requisito legale della forma scritta?”, pubblicato su Jei – Jus e Internet alla pagina http://www.jei.it/infogiuridica/notizia.php?ID_articoli=306; F. Sarzana di Sant’Ippolito, “Firma elettronica e documenti contabili”, su Punto Informatico alla pagina http://punto-informatico.it/p.asp?i=46951; M. Cuniberti, “E-mail e requisito di forma scritta”, pubblicato su SCiNT alla pagina http://www.scint.it/news_new.php?id=409; e ancora A. Lisi,  In giudizio una e-mail è valida?”,  su Punto Informatico alla pagina http://punto-informatico.it/p.asp?i=46663; A. Lisi, “L’e-mail è forma scritta?”, su Altalex alla pagina http://www.altalex.it/index.php?idnot=250; A. Lisi  Essere o non essere: i moderni dubbi amletici di una e-mail anonima”, pubblicato su Diritto&Diritti alla pagina http://www.diritto.it/articoli/dir_tecnologie/lisi3.html. Dall’altra parte si ricordano i due scritti molto polemici di M. Cammarata e E. Maccarone, “Un messaggio e-mail non è prova scritta”, su Interlex alla pagina http://www.interlex.it/docdigit/provascritta.htm e “Il diritto come guida, la tecnica come supporto”, sempre su Interlex alla pagina http://www.interlex.it/docdigit/provascritt2.htm. Meritano di essere ricordate le posizioni “intermedie” di coloro che attribuiscono un qualche valore di “documento informatico”  all’e-mail, ma non di “documento firmato elettronicamente”: L. de Grazia, “Firma Elettronica Non Avanzata. Una personale opinione sulla c.d. firma elettronica debole”, pubblicato su Diritto&Diritti alla pagina http://www.diritto.it/articoli/dir_tecnologie/firma_elettronica.pdf;  G. Rognetta, “E-mail e prova scritta secondo l'art. 10 Tuda”, pubblicato su Diritto&Diritti alla pagina http://www.diritto.it/articoli/dir_tecnologie/rognetta2.html.

 ([3]) Così D. Ricciardi, Tesi di laurea, Introduzione a  La cd. Firma Digitale” pubblicata su StudioCelentano, alla pagina http://www.studiocelentano.it/publications_and_thesis/Ricciardi/index.htm. 

 ([4]) N. Irti, “Idola libertatis”, Milano, 1985, 24 ss;

 ([5]) La definizione, come è noto, si deve a F. Carnelutti, “La prova civile”, Padova, 1915, p. 184. Tale nozione è stata poi specificata in  “cosa rappresentativa di un fatto giuridicamente rilevante”, da L. Carraro, “Diritto sul documento”, Padova, 1941. In verità, il genio di Carnelutti si era già spinto oltre, arrivando ad ipotizzare l’irrilevanza della materia che costituisce il documento: “qualunque materia, atta a formare una cosa rappresentativa può entrare nel documento: tela, cera, metallo, pietra e via dicendo” (F. Carnelutti, in “Novissimo dig. It.”, voce Documento (teoria moderna), p. 86. Adesso la teoria deve  fare un passo oltre e, nell’abisso del vuoto immateriale fatto di bit, deve ipotizzare un documento informatico che prescinda dal suo supporto. Alcune norme ancora questo passo non l’hanno fatto (si veda, ad esempio, l'art. 491 bis del c.p.:  "per documento informatico si intende qualunque supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria o programmi specificamente destinati ad elaborarli"), mentre altre normative l’hanno fatto sino ad un certo punto, legando troppo lo sviluppo del documento informatico alle certezze del documento amministrativo (ovviamente si fa riferimento al D.P.R. 445/2000).

 ([6]) R. Borruso, “Computer e diritto”, II, Milano, 1988, 218 ss.

 ([7]) E. Giannantonio, “Manuale di diritto dell'informatica”,  Padova, 1997, 385.

 ([8]) Così, diventano documenti scritti, secondo una nozione più ampia ed aggiornata di scrittura, non solo i documenti informatici in senso ampio, ma anche quelli in senso stretto. I secondi sono quelli conservati nella memoria dell'elaboratore e non possono essere resi manifesti se non attraverso la stessa macchina mostrando a video il testo o l'immagine o facendo ascoltare il suono riprodotto. Mentre i primi sono quelli formati dall'elaboratore attraverso i suoi dispositivi di output: stampante, video ecc.. Questi ultimi possono dunque essere resi su un supporto materiale - che può essere la carta della stampante, un microfilm ecc. - e, una volta formati, possono essere utilizzati senza l'ausilio della macchina. Così G. RANA, “Il valore probatorio del documento elettronico”, pubblicato su Diritto&Diritti alla pagina http://www.diritto.it/articoli/dir_tecnologie/rana.html#_ftn12.

 ([9]) G. Rana, “Il valore probatorio del documento elettronico”, pubblicato su Diritto&Diritti alla pagina già cit. . Così anche T. E. Frosini, “Telematica ed informatica giuridica”, in Enc.del Dir., XLIV, Milano, 1992, 60.

 ([10]) Così G. Pascuzzi, “Il diritto nell’era digitale”, Bologna, 2002, p.79. Per un approfondimento si consiglia dello stesso Pascuzzi,Telex e telefax”, in Digesto civ., vol. XII, Torino, 1999. 

 ([11]) Come già spiegato in altre occasioni, (A. LISI,  In giudizio una e-mail è valida?”, già cit.) “ciò che ha un senso nei rapporti tra Pubbliche Amministrazioni e tra Pubbliche Amministrazioni e privati non necessariamente deve avere un senso nei rapporti ‘più liberi’ tra privati…” e ancora (sempre A. LISI, “L’e-mail è forma scritta?”, su Altalex, già cit.) “occorre sempre ricordare che le esigenze del commercio, e soprattutto del commercio internazionale, sono certamente diverse dalle esigenze sottese ai rapporti che legano P.A. e cittadini. E infatti :

a) Tutte le norme che prevedono l'invio obbligatorio di e.mail con firma digitale riguardano particolari rapporti tra privati e pubbliche amministrazioni e, quindi, mirano a garantire maggiori esigenze di certezza dell'imputabilità e sicurezza del traffico telematico (dal 3 novembre 2003 la firma digitale è obbligatoria: per l'invio telematico degli atti societari ai registri camerali - DL 236/02 - DM 20/3/2003; dal 1.gennaio 2004 per l'invio della fattura ‘europea’ via e-mail - direttiva 2001/115/CE, art. 2; per le notificazioni dei trattamenti di dati personali al Garante - DLgv 196/03, art. 38 ...).

b) Il T.U. 445/2000 è stato pensato per ricomprendere tutte le disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa: anche se contiene principi poi applicabili a privati ha questo ‘vizio d'origine’.

c) La direttiva 1999/93/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 1999 sulle firme elettroniche è, invece, una direttiva che non pensava ad un unico quadro unitario per privati e pubbliche amministrazioni nell'utilizzo di sistemi che garantissero in qualche modo l'autenticazione e la sicurezza dei dati informatici trasmessi attraverso le reti telematiche (e, infatti, qui ritroviamo l'ampia definizione di firma elettronica leggera attuata dal nostro legislatore con il d.lgs. n. 10/2003 e mod. del 445/2000).

d) Nel d.lgs n. 70/2003 (attuativo della direttiva 2000/31/CE), pensato, invece, per il solo commercio elettronico tra privati (e solo in via ‘sussidiaria’ per le P.A.), non si parla mai di firme elettroniche per la conclusione dei contratti e non si nega la validità di contratti conclusi e ricevuti via e.mail (basta leggere e confrontare - anche con ragionamento a contrario - gli articoli 12-13 del decreto).

Da ciò si deduce che manca in Italia un coordinamento tra le norme che regolano i rapporti tra PA e cittadino e le norme che regolano il mero commercio elettronico tra privati. Per il commercio elettronico tra privati non è necessario imporre sistemi di validazione e sicurezza identici a quelli indispensabili per i rapporti che si consumano con la PA.”

Da ultimo, si segnala come nello stesso “Codice della privacy” (D.Lgs. 196/2003) si opera una importante differenza nella regolamentazione dei rapporti tra privati e rapporti cittadino-ente pubblico: infatti, mentre l’art. 9 specifica che la richiesta per l’esercizio dei propri diritti rivolta dall’interessato al trattamento di dati personali al titolare può essere effettuata “mediante lettera raccomandata, telefax o posta elettronica”, invece la notificazione del titolare al Garante nei casi di cui all’art. 37 dello stesso Codice è validamente effettuata solo se trasmessa telematicamente, con firma digitale (ai sensi dell’art. 38). Si ricorda ancora che nel gennaio scorso è stata pubblicata sulla G.U. la Direttiva 27 novembre 2003 per l’utilizzo della posta elettronica nelle pubbliche amministrazioni, emanata dal Ministro per l’innovazione tecnologica di concerto con il Ministro per la funzione pubblica. Anche in questo caso, nei rapporti “interni” (che ci azzardiamo a definire “privatistici”) della P.A. si consiglia l’utilizzo della posta elettronica, quale valido mezzo di trasmissione di documenti informatici, a prescindere da dissertazioni su firma elettronica o digitale.

 ([12]) Trattasi delle Parti I, II  e III dei “The Principles of European Contract Law 2002” (acquisibili sul web all’indirizzo http://www.jus.uio.no/lm/eu.contract.principles.parts.1.to.3.2002/toc). Per una traduzione in italiano effettuata con grande passione, accuratezza e precisione dal Prof. C. Castronovo si veda http://host.uniroma3.it/facolta/giur/materiale_didattico/elenco%20dispense/PRINCIPI.htm . Per approfondimenti si consiglia sempre del Prof. C. Castronovo, “Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto europeo dei contratti” in Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti (a cura di G. Vettori), Padova 1999, p.854-872 (Italian version of  Contract and the Idea of Codification in the Principles of European Contract Law, in Festskrift til Ole Lando, Copenhagen 1997, p. 109-124) e “I Principi di diritto europeo dei contratti e l’idea di codice” in Rivista del diritto commerciale e delle obbligazioni, 1995, I, p. 21-38.

 ([13]) Acquisibili alla pagina web http://www.unidroit.org/english/principles/pr-main.htm . Per una traduzione in italiano si consiglia quella contenuta sul “Manuale di diritto commerciale internazionale” del Prof. F. Bortolotti, Vol. 1, Padova, 2001, p. 909 e ss. E’ scaricabile, inoltre, una traduzione in italiano dei Principi UNIDROIT all’indirizzo http://www.unidroit.org/english/principles/pr-main.htm. Per un breve approfondimento sui Principi Unidroit e sulla loro funzione nella prassi del diritto commerciale internazionale si consiglia la lettura di V. Massari, “L’efficacia dei Principi Unidroit nella contrattualistica internazionale” pubblicato su Diritto & Diritti cartaceo n. 10 Marzo 2002 e acquisibile alla pagina http://www.lapraticaforense.it/articolo.php?idart=100.

 ([14]) In verità, “I Principi non tendono ad essere applicati soltanto ai contratti internazionali. Gli articoli che li compongono sono principi generali del diritto dei contratti” (O. Lando, “Principles of European Contract Law. A First Step towards a European civil Code?”, in Rev. dr. aff. int. 1997, p. 196).

 ([15]) V. Massari, op. cit.

 ([16]) All'inizio degli anni ottanta una commissione, costituita su sollecitazione della Comunità europea e per iniziativa di Ole Lando, professore alla Business School di Copenhagen, formata da insigni giuristi e professori dei vari Paesi della Comunità, ora Unione, europea, ha cominciato ad elaborare i Princìpi di diritto europeo dei contratti e delle obbligazioni.

 ([17]) “Benché con M.J. BONELL, An International Restatement of Contracts Law, Irvington, N.Y. 1994, p. 32, deve essere rilevato che per i Principi UNIDROIT la limitazione ai contratti commerciali non è intesa ad assumere la distinzione tradizionale in alcuni ordinamenti giuridici tra contraenti  o contratti ‘civili’ e ‘commerciali’; l’idea è, piuttosto, quella di escludere dall’ambito di applicazione dei Principi UNIDROIT i contratti dei consumatori” così C. Castronovo, Il contratto e l’idea di codificazione nei Principi di diritto europeo dei contratti, cit., nota 15, p. 11.

 ([18]) Traduzione di F. Bortolotti, cit, p. 910

 ([19]) Acquisibile alla pagina web  http://www.unidroit.org/english/principles/chapter-1.htm .

 ([20]) Come da traduzione di C. Castronovo, cit.

 ([21]) Ci si riporta per un approfondimento a quanto già scritto in “Essere o non essere: i moderni dubbi amletici di una e-mail anonima”, cit. in nota 2. 

 ([22]) Autore già citato in “Essere o non essere: i moderni dubbi amletici di una e-mail anonima”, cit.

 ([23]) Dall’opera Trattato di Diritto Privato - diretto da Pietro Rescigno – Vol. II Obbligazioni e Contratti – ed. Utet 1982 p. 242.

 ([24]) Secondo una autorevole corrente dottrinale, il telefax dovrebbe coincidere solo e soltanto con una sorta di copia fotografica di un’altra scrittura, la quale potrebbe essere munita di sottoscrizione o meno  e, quindi,  esso avrebbe la stessa efficacia dell’originale, se la sua conformità non è disconosciuta o attestata da pubblico ufficiale (così S. Patti, Prova documentale, in Commentario del Codice civile Scialoja-Branca, artt. 2699-2720, Bologna-Roma, 1996, pp. 151 s.). Ad avviso di chi scrive, invece, il telefax assume una sua autonomia funzionale nel momento in cui viene trasmesso, creando comunque quella “appartenenza” del documento, intrinseca nel potere di fatto che l’autore del documento ha con lo strumento di trasmissione utilizzato.

 ([25]) La firma elettronica, si ricorda, è definita dal nostro legislatore come l'insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica (art. 2, lett. a, d.lgs. 10/2002). Per la firma elettronica leggera non sono previsti, pertanto, dal legislatore sistemi di validazione e di certificazione (necessari, invece, per le firme elettroniche avanzate). I cd. metodi di autenticazione informatica sono invece genericamente tutto quell'insieme di strumenti elettronici e delle procedure per la verifica indiretta dell'identità, secondo la definizione fornita dal D.Lgs. 196/2003 all'art. 4 comma 3 lett. c) - quali ad esempio, l'uso di password o di codici di identificazione personale, così come qualsiasi altro metodo che permetta in maniera diretta (o indiretta) un’identificazione (a prescindere da qualsiasi valutazione sulla sicurezza di quella identificazione, perché tali valutazioni riguardano il profilo probatorio e sono, quindi, affidate al prudente apprezzamento del giudice). E, infatti, il significato “tecnico” e generalmente accettato di sistemi di authentication per le firme elettroniche è: “A technical definition of authentication is the process of establishing whether someone or something is who or what its identifier states it is. An authentication process may be enabled by:

-something you know, like a PIN or password;

-something you have, as with smartcards, challenge-response mechanisms, or public-key certificates;

-something you are, as with positive photo identification, fingerprints, and biometrics”.

 ([26]) Rimane da riferire, ancora una volta, che firma digitale e elettronica sono ontologicamente diverse dalla sottoscrizione: “l’utilizzo del termine ‘firma digitale’, come pedissequa traduzione dell’inglese ‘digital signature’, appare potenzialmente foriero di pericolosi fraintendimenti, poiché dal punto di vista sistematico si tratta più di un ‘sigillo’ che di una ‘firma’” (così M Cammarata e E. Maccarone, “La firma digitale sicura”, Milano, 2003, p. 70). Il fatto di ritenere – giustamente - la firma digitale un “sigillo” ci fa percepire ancora di più  il senso della nostra discussione, avvicinando questo strumento alla “certificazione pubblica” piuttosto che ai normali strumenti utilizzati negli scambi commerciali tra privati. Tutti i dubbi e le critiche feroci sollevati in merito al secondo comma dell’art. 10 del D.P.R. 445/2000 (come modificato dal D. Lgs. n. 10/2002) vengono meno se si considera che il legislatore, in questo caso, ha ritenuto di dover tenere separati il piano formale dal piano probatorio. Infatti, il legislatore attribuisce semplicemente al documento con firma elettronica leggera (o semplice) il valore della “forma scritta”, ma non conferisce un valore preciso allo stesso dal punto di vista dell’efficacia probatoria (dovrà essere il giudice di volta in volta e in base alle circostanze concrete a valutare liberamente quel documento). Come già riferito in precedenti articoli, infatti, anche nel caso di documento cartaceo la presenza della sottoscrizione in calce al documento prova semplicemente la provenienza della dichiarazione, ma non la sua integrità e soprattutto autenticità e, cioè, la corrispondenza tra chi appare sottoscrittore e chi effettivamente l'ha sottoscritto (e, quindi, in pratica la corrispondenza tra colui che appare come autore della dichiarazione e chi effettivamente ne è stato l'autore). La prova dell'autenticità, potrà formarsi fuori dal processo tramite “autenticazione” ex art. 2703 c.c., o all'interno del processo tramite riconoscimento espresso o tacito della sottoscrizione. (si ringrazia in proposito R. Ferorelli, per quest’ultima riflessione maturata in una vivace discussione in seno alla Mailing List del Centro Studi di Informatica Giuridica di Bari).

 ([27]) Direttiva C.E. 3 febbraio 2004 – (testo approvato dal Parlamento europeo il 29 gennaio 2004 e dal Consiglio il 3 febbraio 2004, non ancora pubblicato sulla GUCE – Dir. rif. 2000/0115 (COD), PE-CONS 3696/03). Testo acquisibile alla pagina http://www.lexitalia.it/leggi/direttivace_2004-02-03.htm.