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Il diritto ad essere dimenticati. Il dovere di ricordarlo.

Scritto da Giulia Perrone

"Il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento da esso effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi", così esordisce il comunicato stampa relativo alla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea pronunciata lo scorso 13 maggio in merito ad una particolare richiesta di tutela della privacy.

Il caso oggetto di attenzione risale al 1998, quando l'abitazione del cittadino spagnolo Mario Costeja González fu messa all'asta a causa di una situazione di grave difficoltà finanziaria e il quotidiano locale "La Vanguardia" riportò la notizia nelle proprie pagine, diffondendola in maniera del tutto lecita attraverso un articolo di trentasei parole. Nel 2010, trascorsi ormai anni dall'accaduto e risolti i problemi economici, lo stesso González presentò un reclamo all'Agenzia Spagnola di Protezione dei Dati (AEPD), contro l'editore di La Vanguardia, da una parte, e contro Google Spain e Google Inc. dall'altra, lamentando una violazione del diritto alla privacy dovuta alla persistenza dei propri dati negli archivi online del quotidiano e tra i risultati forniti dal motore di ricerca Google. La richiesta aveva ad oggetto l'eliminazione o l'occultamento degli stessi, ritenendone la menzione oramai priva di qualunque rilevanza.

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, investita della questione, pur statuendo che l'azione del quotidiano era stata fondata su motivi di interesse pubblico, ha accolto l'istanza del ricorrente, riscontrando una violazione della privacy da parte di Google.

"Quanto alla questione se il gestore di un motore di ricerca debba o no essere considerato come il «responsabile del trattamento» dei dati personali effettuato da tale motore nell'ambito di un'attività come quella oggetto del procedimento principale, occorre ricordare che l'articolo 2, lettera d), della direttiva 95/46 definisce detto responsabile come «la persona fisica o giuridica, l'autorità pubblica, il servizio o qualsiasi altro organismo che, da solo o insieme ad altri, determina le finalità e gli strumenti del trattamento di dati personali».

Orbene, è il gestore del motore di ricerca a determinare le finalità e gli strumenti di tale attività e dunque del trattamento di dati personali che egli stesso effettua nell'ambito dell'attività medesima, ed è di conseguenza lui a dover essere considerato come il «responsabile» di tale trattamento a norma del citato articolo 2, lettera d)."

I giudici della Corte hanno fondato il proprio ragionamento sul rispetto della direttiva 95/46/CE inerente alla "tutela della persona fisica con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati" e sono giunti ad affermare il principio in base alla quale ogni cittadino europeo ha il diritto di richiedere alla società di gestione del motore di ricerca la deindicizzazione delle informazioni personali ritenute "non adatte, irrilevanti o non più rilevanti" e di ottenerne la rimozione, prevedendo, in caso di inadempimento, il possibile ricorso all'Autorità giudiziaria nazionale. Considerato il contenuto generico della sentenza, saranno gli stessi utenti a valutare la sussistenza dei criteri su cui fondare ogni richiesta e la domanda effettuata è tendenzialmente destinata a ricevere soddisfazione positiva. È da precisare, tuttavia, che l'obbligo di eliminazione avrà luogo esclusivamente all'interno degli indici del motore di ricerca e che esso sussiste "anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita."

L'ingente numero di richieste che ogni giorno giungono all'attenzione di Google è solo uno dei problemi generati dalla pronuncia. A fronte delle stesse, infatti, si deve verificare se vi sia un diritto effettivo in capo all'interessato a che "l''informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome", a prescindere da un eventuale pregiudizio derivante dall'inclusione della stessa in tale elenco. Tale valutazione, però, è lasciata alla discrezionalità di Google, che dovrà anche accertare che non vi sia un "interesse del pubblico preponderante" a escludere la possibilità di eliminazione del dato, correndo il notevole rischio di una disparità di trattamento tra le domande.

I giudici di Lussemburgo hanno limitato la questione entro i confini del caso e nel contesto di un presente in cui Google detiene il 90% del mercato europeo. I motori di ricerca oggi meno utilizzati, però, potrebbero esercitare un ruolo più incisivo in futuro. Quid iuris nel caso in cui il loro peso crescesse in maniera significativa?

Previsioni a parte, oggi chiunque può inoltrare al colosso di Mountain View la propria volontà di eliminare dagli indici di ricerca (esclusivamente) di Google ogni risultato che contenga dati personali, ritenuto "inadeguato, irrilevante o non più rilevante, o eccessivo in relazione agli scopi per cui è stato pubblicato.". Sarà sufficiente compilare il modulo messo a disposizione degli utenti a partire dal 30 maggio scorso e reso noto attraverso un post sul blog ufficiale e un'intervista rilasciata da Larry Page al Financial Times.

"Una chiara vittoria per la protezione dei dati personali", ha dichiarato il Commissario della Giustizia dell'Unione Europea, Viviane Reding, nel commentare il risultato raggiunto.

Una conclusione dall'eco dirompente, questo è certo, che ha voluto rivendicare riservatezza nei confronti di quegli stessi ingranaggi dai quali ha tratto spesso una buona memoria.