Jei - Jus e Internet

Il primo organo di informazione giuridica su internet per gli operatori del diritto - in linea dal 1996

Minori e giornalismo: l’evoluzione del binomio dalla Carta di Treviso al Codice della Privacy

Scritto da Francesco Saverio Cavaceppi

L'art. 52 del Codice Privacy (D.Lgs. 196/03), al comma V, segna il punto di arrivo della volontà di riconoscere al minore una tutela rafforzata in tema di diritto alla riservatezza. L'articolo, infatti, sancisce che: "Chiunque diffonde sentenze o altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado è tenuto ad omettere in ogni caso [...] le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l'identità dei minori".

In realtà, già dalla fine degli anni ottanta con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, inteso come l'adolescente avente un'età inferiore a diciott'anni, si intendeva sensibilizzare gli Stati firmatari ad adottare, nei rispettivi ordinamenti, concrete misure legislative per evitare che l'attività giornalistica penetrasse in maniera invasiva la vita del minore, in considerazione delle sue scarse capacità difensive.

Prima che il Parlamento italiano recepisse la Convenzione di New York con legge del 27 maggio 1991, n. 176, depositata presso le Nazioni Unite il 5 settembre 1991, l'Ordine italiano dei Giornalisti, insieme alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) e in collaborazione con "Telefono Azzurro", il 5 ottobre 1990 varava la Carta di Treviso, che è un manifesto contro lo sfruttamento mediatico del minore.

Il fulcro principale del protocollo può essere sintetizzato nella seguente affermazione: "la tutela della personalità del minore si estende anche [...] a fatti che non siano specificamente reati (suicidio di minori, questioni relative ad adozione e affidamento, figli di genitori carcerati, etc.) in modo che sia tutelata la specificità del minore come persona in divenire, prevalendo su tutto il suo interesse ad un regolare processo di maturazione che potrebbe essere profondamente disturbato o deviato da spettacolarizzazioni del suo caso di vita, da clamorosi protagonismi o da fittizie identificazioni".

La lungimiranza del documento consiste nell'estensione della tutela del minore anche a quelle circostanze che non costituiscano delle fattispecie criminose, elevandolo, così, a valore assoluto e superando, quindi, la vecchia concezione di lesività del diritto di cronaca in situazioni che vedevano il minore esecutore o vittima di un reato.

Questo rafforzamento di tutela è stato concepito in ragione del fatto che la cronaca, il più delle volte, danneggia lo sviluppo psicofisico del minore. Da ciò deriva che anche il codice di deontologia dei giornalisti, seguendo l'indirizzo fornito dalla Carta di Treviso, impedisce, attraverso l'art. 7, l'identificazione del minore, ciò in pieno contrasto con l'art 6 dello stesso codice che sancisce il ben noto principio dell'essenzialità dell'informazione, che in caso di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale consente la qualificazione dei protagonisti.

L'identificabilità, sempre seguendo l'indirizzo della Carta di Treviso, va applicata in un ambito territoriale circoscritto, ossia il luogo interessato dalla quotidianità del minore, quindi il suo "domicilio".

Con il "Vademecum" del 1995, con cui si è aggiornato e approfondito il protocollo, si è stabilito il comportamento che il giornalista deve assumere per impedire l'identificazione del minore, sancendo che: "va evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con facilità portare alla sua identificazione, quali le generalità dei genitori, l'indirizzo della abitazione o della residenza, la scuola, la parrocchia o il sodalizio frequentati, e qualsiasi altra indicazione o elemento".

La diffusione della notizia, quindi, si considererà rispettosa della privacy del minore quando non abbia facilitato la raccolta d'informazioni da parte della popolazione locale. Solo così la stessa, divulgata perché d'interesse pubblico, non può essere considerata la causa dell'identificazione del minore.

Quando quest'ultimo, però, diventa protagonista attivo della cronaca nera si rafforza un'interpretazione dell'art. 7 del codice deontologico che permetterebbe al giornalista di pubblicarne le generalità, essendo l'armonico sviluppo della sua personalità già compromesso dall'enorme gravità del fatto. Interpretazione che è lo stesso articolo a suggerire in quanto il divieto di pubblicazione sussiste solamente al fine di tutelare la personalità del minore.

La pubblicazione, in tali casi, delle sue generalità sarebbe ammessa purché non enfatizzi quei particolari che possano provocare effetti di suggestione o emulazione (Vademecum 1995, punto 6).

Fatta eccezione per i casi appena indicati, in linea di principio la pubblicazione è permessa purché la stessa sia davvero nell'interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla Carta di Treviso (art. 7 comma III del codice di deontologia).

Ciò può accadere, ad esempio, in caso di minore rapito o scomparso oppure quando la pubblicazione sia "tesa a dare positivo risalto a qualità del minore e/o al contesto familiare e sociale in cui si sta formando": principio, questo, ribadito dal Garante per la protezione dei dati personali nella Decisione del 6 maggio 2004, secondo cui deve ritenersi lecita "la diffusione d'immagini che ritraggono un minore in momenti di svago e di gioco". Ciò non toglie, come precisato dallo stesso Garante, che resta "l'obbligo per il giornalista di acquisire l'immagine stessa correttamente, senza inganno e in un quadro di trasparenza, nonché di valutare, volta per volta, eventuali richieste di opposizione da parte del minore o dei suoi familiari".

L'ultima modifica apportata alla Carta di Treviso è avvenuta nel 2006 laddove, al paragrafo 10, viene specificato che le norme "vanno applicate anche al giornalismo on line, multimediale e ad altre forme di comunicazione giornalistica che utilizzino innovativi strumenti tecnologici per i quali dovrà essere tenuta in considerazione la loro prolungata disponibilità nel tempo".

Appare evidente che quest'ultima variazione è finalizzata ad estendere la tutela del minore alle nuove tecnologie che, in modo repentino e a tratti incontrollabile, hanno cambiato il modo di comunicare, soprattutto in riferimento al "mondo virtuale" di Internet.

Con riguardo a quest'ultimo e alle possibilità di comunicazione offerte dal web 2.0, allo stato, non si riscontrano norme idonee a tutelare il minore né da intrusioni nella sfera personale, né da comportamenti poco prudenti che egli stesso potrebbe assumere nella sua ingenuità e nell'inconsapevolezza dei possibili rischi.

Gli esperti sostengono, infatti, che Internet non si presta ad alcuna "eterodirezione" né, tantomeno, a possibili censure e che la sua fondamentale caratteristica è la completa libertà degli utenti, i quali hanno la possibilità di assumere il ruolo di operatori della rete caricando on line i propri contenuti.

Per questa ragione non sussiste alcun obbligo di controllo, né preventivo, né successivo in capo ai provider su ciò che gli utenti immettono nella rete, e, d'altronde, non sussiste nemmeno un obbligo di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

Tutto ciò comporta che a parte la residuale tutela general-preventiva di tipo penale, che tuttavia presenta il fisiologico limite della tassatività e della tipicità delle fattispecie contemplate, la tutela dei minori su Internet resta affidata alla comunità familiare, la quale dovrà consapevolizzare i minori rispetto ai pericoli insiti nella rete.

Non può non rilevarsi come tale compito sia sempre più arduo da affrontare sia perché vi è una sostanziale impossibilità di selezionare le informazioni reperibili in rete sia perché vi è, soprattutto, un gap tecnologico che divide le nuove generazioni dalle precedenti, tale da rendere i figli "padroni" dei meccanismi della rete.

In questo nuovo scenario tecnologico e sociologico il diritto rischia di rimanere confinato a posizioni di retroguardia ove continui a limitarsi a offrire i rimedi tradizionali; mentre per gli altri media, come Tv, radio e stampa, le misure adottate risultano pienamente soddisfacenti, come sopra sottolineato con la Carta di Treviso, il Codice deontologico dei giornalisti ed il Codice della privacy, nei confronti di Internet, invece, vi è una carenza strutturale e normativa a dir poco imbarazzante considerato il ruolo ed il potere che ha assunto il web negli ultimi anni.

Senza delegittimare la famiglia dal suo primario compito formativo ed educativo, oggi vi dovrebbe essere una maggiore sensibilizzazione e responsabilizzazione nei confronti del binomio minori ed internet: dovrebbe, in sostanza, derivare il pieno e concreto riconoscimento dell'esistenza di quel "policentrismo educativo", già enunciato dalla dottrina e proclamato anche dalla Convenzione di New York del 1989 (artt. 13 e 17), ossia di quel sistema educativo dove interagiscono la famiglia, la scuola, le istituzioni ed i mass media, che ad oggi sono diventati dei veri e propri strumenti di formazione.