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Acquisti on-line: tra diritto applicabile e tutela dei consumatori

Scritto da Maria Cristina Mazzei

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L’e-commerce ha agevolato di molto la vita di tutti i giorni, ma concludendo tuttavia contratti con soggetti al di fuori del panorama nazionale, ci troviamo di fronte spesso alla difficoltà di individuare la legge applicabile al rapporto giuridico in oggetto e di conseguenza a problematiche relative alla tutela dei consumatori. A tal proposito è opportuno prendere in esame i Regolamenti (CE) n. 864/2007- Roma II[1] e (CE) n. 593/2008 – Roma I[2], nonché le Direttive 93/13/CEE[3] e 95/46/CE[4] e con riguardo ai regolamenti (cfr. considerando 7) il campo di applicazione materiale degli stessi nonché le relative disposizioni dovrebbero essere coerenti tra di loro e con il Regolamento (CE) n. 44/2001[5].

Sul punto, si è di recente pronunciata la Corte di Giustizia Europea[6], alla luce di una controversia sorta tra Amazon EU e l’ente legittimato a promuovere le azioni inibitorie a tutela dei consumatori come previsto dalla Direttiva n. 2009 – il VKI.

La prima è una società con sede in Lussemburgo – che appartiene al noto e omonimo gruppo internazionale di commercio a distanza – e si rivolge inoltre a consumatori con residenza in Austria, pur non possedendo né sedi né filiali in quest’ultimo paese, attraverso un sito Internet avente un nome di dominio con estensione “.de” e mediante il quale stipula contratti di commercio elettronico.

Il VKI ha presentato agli organi giurisdizionali austriaci domanda d’ingiunzione contro l’impiego di alcune clausole contenute nelle condizioni generali inserite nei predetti contratti fino al 2012 in quanto ritenute contrarie a legge e buone prassi e in particolare circa la seguente clausola: “12. Si applica il diritto lussemburghese con esclusione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite in materia di contratti di vendita internazionale di merci (CVIM)”.

Il giudice di primo grado ne ha dichiarato l’invalidità ai sensi dell’art. 6 paragrafo 2 del Regolamento Roma I, in quanto la scelta di legge non doveva comportare per il consumatore la privazione della protezione assicuratagli dalla legge dello Stato nel quale ha la residenza abituale.

L’Obester Gerichtshof – la Corte Suprema dell’Austria – adita dal VKI ha annullato la sentenza del primo giudice e ha esaminato la clausola 12 relativa alla scelta della legge applicabile, valutando l’inerenza e la pertinenza alla fattispecie analizzata del regolamento Roma I e posto all’attenzione della corte le seguenti questioni pregiudiziali:

a) se l’individuazione della legge applicabile all’azione inibitoria di cui alla Direttiva 2009/22 debba essere effettuata in base all’articolo 4 del regolamento Roma II quando l’azione è diretta contro l’impiego di clausole contrattuali abusive da parte di un’impresa avente la propria sede in uno Stato membro che stipula contratti di commercio elettronico con consumatori residenti in altri Stati membri;

b) se una clausola contenuta nelle condizioni contrattuali generali, secondo cui un contratto di commercio elettronico concluso tra un consumatore e un’impresa avente la propria sede in un altro Stato membro è soggetto alla legge dello Stato in cui quest’ultima ha sede, sia abusiva ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13;

c) se il trattamento dei dati personali da parte di un’impresa che stipula contratti di commercio elettronico con consumatori residenti in altri Stati membri sia soggetto, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46, a prescindere dalla legge altrimenti applicabile, soltanto alla legge dello Stato membro in cui si trova lo stabilimento dell’impresa nel quale avviene il trattamento, o se detta impresa sia tenuta anche all’osservanza delle disposizioni in materia di protezione dei dati degli Stati membri verso i quali dirige la propria attività commerciale.

Con riguardo alla prima questione, la Corte ha in via preliminare distinto la nozione di obbligazione contrattuale di cui al Regolamento Roma I e quella di obbligazione extracontrattuale di cui al Regolamento Roma II, che non investe la materia contrattuale.

Come espressamente indicato al considerando 7 di entrambi i testi normativi, i giudici hanno peraltro ribadito che i due Regolamenti mirano non solo alla reciproca applicazione coerente, ma anche al coordinamento con il Regolamento n. 44, che separa i rispettivi campi di applicazione[7].

Secondo l’art. 5, punto 3, della Convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, un’azione giudiziale preventiva promossa da un’associazione di tutela dei consumatori volta all’inibizione di un utilizzo di clausole abusive all’interno di contratti stipulati con privati ha natura di azione in materia di illeciti civili dolosi e colposi[8]. Tale interpretazione è estensibile anche al regolamento Bruxelles I[9].

Risulta dunque evidente che la responsabilità extracontrattuale si riferisce anche alle violazioni dell’ordinamento giuridico derivanti dall’uso di clausole abusive che le associazioni di tutela dei consumatori hanno il compito di impedire, come già affermato dalla Corte[10]. L’azione inibitoria di cui alla Direttiva n. 22 deve essere quindi intesa quale derivante da un’obbligazione extracontrattuale derivante da fatto illecito ai sensi del capo II del Regolamento Roma II.

In relazione al caso di specie, l’utilizzo di clausole abusive inserite in condizioni generali di vendita volte a pregiudicare gli interessi collettivi dei consumatori e influenzare le condizioni di concorrenza sul mercato rientra nelle ipotesi di cui all’art. 6, paragrafo 1 del Regolamento Roma II.

Ai sensi del richiamato articolo, alla concorrenza sleale si applica il principio della lex loci damni. L’azione inibitoria di cui alla Direttiva n. 22 deve quindi essere promossa nell’ambito della legge in cui risiedono i consumatori i cui interessi risultano pregiudicati e quindi il diritto austriaco.

A tal proposito occorre, tuttavia, richiamare l’articolo 4 par. 3 del Regolamento Roma II che prevede l’applicazione della legge di un altro paese se dal complesso delle circostanze del caso risulta che il fatto illecito presenta collegamenti manifestamente più stretti con un paese diverso da quello di cui all’articolo 4, paragrafo 1.

Tuttavia tale norma non è applicabile al caso di specie, in quanto l’articolo 6 è norma specificatamente destinata alla concorrenza sleale e quindi volta a proteggere gli interessi collettivi, che superano l’ambito dei rapporti tra le parti della controversia.

Di conseguenza nel caso in cui l’azione inibitoria prevista dalla Direttiva n. 22 sia volta a tutelare i consumatori relativamente a clausole abusive inserite nelle condizioni generali di vendita, la legge applicabile sarà individuata ai sensi del richiamato art. 6. La Corte ha rilevato poi che in tal caso essendo le clausole oggetto dell’azione volte a generare obbligazioni contrattuali, la legge applicabile sarà determinata secondo le norme stabilite dal Regolamento Roma I.

Con riguardo alla seconda questione pregiudiziale, i giudici hanno affermato che, ai sensi dell’articolo 3 paragrafo 1 della direttiva 93/13, una clausola non oggetto di negoziato individuale deve intendersi abusiva nel caso in cui provochi uno squilibrio considerevole dei diritti e degli obblighi tra le parti a danno del consumatore in violazione del principio di buona fede.

Il paragrafo 2 del medesimo articolo indica quale clausola non oggetto di negoziato individuale quella disposizione redatta in via esclusiva e preventiva dal professionista senza che il consumatore abbia potuto esercitare alcuna influenza – come avviene nel contratto per adesione.

L’abusività della clausola deve essere tuttavia effettuata attraverso un esame condotto caso per caso alla luce di tutte le circostanze pertinenti, ivi comprese la natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto, come stabilito dall’articolo 4, paragrafo 1 della direttiva n. 93.

Nel caso di specie e in particolare in relazione alla clausola n. 12, l’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento Roma I prevede la facoltà per le parti di scegliere e pattuire il diritto applicabile a un contratto concluso da un consumatore, purchè sia garantito il rispetto della protezione di cui il consumatore beneficia ai sensi delle disposizioni della legge del suo foro alle quali non è permesso derogare convenzionalmente.

Inoltre secondo l’articolo 5 della richiamata direttiva, deve essere soddisfatto il requisito di redazione chiara e comprensibile: il grado di informazione cui è tenuto il professionista verso il consumatore – in quanto parte debole – è elevato e deve essere interpretato in maniera estensiva[11].

Nel caso in cui gli effetti di una clausola siano determinati da disposizioni imperative di legge – come l’ipotesi di cui all’articolo 6 paragrafo 2 del Regolamento Roma I che si configura nel caso di specie - il professionista è pertanto tenuto a informare il consumatore in relazione a dette disposizioni[12].

Circa infine l’ultima questione posta all’attenzione della Corte di Giustizia, l’art. 4, paragrafo 1, lettera a), della Direttiva 95/46 dispone che ciascuno Stato membro applica le disposizioni nazionali adottate per l’attuazione della medesima direttiva al trattamento dei dati personali quando esso è effettuato nell’ambito delle attività di uno stabilimento del responsabile del trattamento nel territorio dello Stato membro.

I giudici hanno precisato che la nozione di stabilimento deve essere interpretata estensivamente quale qualsiasi attività reale ed effettiva anche minima esercitata attraverso una stabile organizzazione[13], che può assolutamente identificarsi quale sito internet dell’impresa poiché rileva ai fini della valutazione del grado di stabilità l’esercizio effettivo delle attività nello Stato membro interessato[14]. Prendendo in esame in ultimo il trattamento dei dati personali, la Corte ha espressamente indicato che questo debba avvenire nel contesto delle attività dello stabilimento e non necessariamente dallo stabilimento interessato[15].

Alla luce di quanto rappresentata, la Corte ha dichiarato che il Regolamento Roma I e Roma II devono essere interpretati nel senso che, ad eccezione delle materie escluse dall’ambito di applicazione di cui all’art. 1, par. 3 di entrambi i regolamenti, la legge applicabile ad un’azione inibitoria ai sensi della direttiva n. 22 avente ad oggetto la tutela degli interessi dei consumatori, contro l’impiego di clausole contrattuali asseritamente illecite utilizzate da un’impresa avente sede in uno Stato membro che stipula contatti mediante commercio elettronico con consumatori residenti in altri Stati membri e in particolare del giudice adito, deve essere determinata sulla base dell’art. 6, paragrafo 1 del Regolamento Roma II, mentre la legge applicabile alla valutazione di una data clausola contrattuale deve essere sempre determinata sulla base del Regolamento Roma I a prescindere dall’azione individuale o collettiva nell’ambito della quale viene effettuata la richiamata valutazione.

L’art. 3, paragrafo 1 della Direttiva 93/13 deve essere interpretato, invece, nel senso che una clausola delle condizioni generali di vendita di un professionista, non oggetto di negoziato individuale, secondo cui il contratto stipulato mediante commercio elettronico è regolato dalla legge dello stato membro in cui a sede il professionista, è abusiva quando induce in errore il consumatore dandogli l’impressione che al contratto si applichi solo la legge dello stato membro e non facendo alcun riferimento all’art. 6 paragrafo 2 del Regolamento Roma I.

La Corte ha infine rilevato che l’articolo 4, paragrafo 1, lett. a) della Direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che il trattamento di dati personali effettuato da un’impresa di commercio elettronico è effettuato sulla base del diritto dello Stato membro verso cui detta impresa svolge le proprie attività nel caso in cui tale impresa proceda al trattamento dei dati in esame nel contesto delle attività di uno stabilimento situato in detto Stato membro e di ciò ne sia data evidenza.

[1] Regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 luglio 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II) - http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32007R0864&from=IT.

[2] Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) - http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32008R0593&from=IT.

[3] Direttiva n. 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori - http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:31993L0013&from=it.

[4] Direttiva n. 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati - http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:31995L0046:IT:HTML.

[5] Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale - http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2001:012:0001:0023:it:PDF.

[6] Corte di Giustizia UE, Terza Sezione, del 28 luglio 2015 - Causa C- 191/15 - GUUE del 26 settembre 2016, pag. 8 e ss. - http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:C:2016:350:FULL&from=IT.

[7] Corte di Giustizia UE, Quarta Sezione, del 21 gennaio 2016 – Cause Riunite C-359/14 e C-475/14, punto 45 - http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A62014CA0359.

[8] Corte di Giustizia UE, Sesta Sezione, del 1 ottobre 2002 – Causa C-167/00, punto 50 - http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A62000CJ0167.

[9] Corte di Giustizia UE, Settima Sezione, del 13 marzo 2014 – Causa C-548/12, punto 19 - http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62012CJ0548&from=EN.

[10] Corte di Giustizia UE, Sesta Sezione, del 1 ottobre 2002 – Causa C-167/00, punto 42 - http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A62000CJ0167.

[11] Corte di Giustizia UE, Terza Sezione, del 23 aprile 2015 – Causa C-96/14, punto 40 e giurisprudenza ivi citata - http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=163876&doclang=IT.

[12] Corte di Giustizia UE, Prima Sezione, del 26 aprile 2012 – Causa C- 472/2010, punto 29 - http://curia.europa.eu/juris/celex.jsf?celex=62010CJ0472&lang1=it&type=TXT&ancre=.

[13] Corte di Giustizia, Terza Sezione, del 1 ottobre 2015 – Causa C-230/14 punto 31 - http://curia.europa.eu/juris/celex.jsf?celex=62014CJ0230&lang1=it&type=TXT&ancre=.

[14] Corte di Giustizia, Terza Sezione, del 1 ottobre 2015 – Causa C-230/14 punto 29 - http://curia.europa.eu/juris/celex.jsf?celex=62014CJ0230&lang1=it&type=TXT&ancre=.

[15] Corte di Giustizia, Terza Sezione, del 1 ottobre 2015 – Causa C-230/14 punto 35 - http://curia.europa.eu/juris/celex.jsf?celex=62014CJ0230&lang1=it&type=TXT&ancre=.