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Proprietà intellettuale: un danno per il mercato libero?

Scritto da Stefano Meloni

Uno dei concetti più discussi a livello economico e quindi anche giuridico degli ultimi decenni è senza dubbio quello della proprietà intellettuale.
L'assunto di base è: la proprietà è un bene dell'individuo che deve essere giuridicamente tutelato e regolamentato. La proprietà intellettuale è una proprietà. Dunque, anche la proprietà intellettuale deve essere giuridicamente tutelata e regolamentata.

Il problema su cui si discute da decenni è come regolamentare tale proprietà così particolare e sui generis, in modo da permettere una economia efficiente e "giusta".
Per tale motivo decine e decine di economisti e giuristi hanno dibattuto su quale sia la migliore disciplina legislativa possibile.
Uno di questi però, ha rovesciato il problema e si è chiesto se non sia proprio la regolamentazione stessa ad aver generato tutti i problemi concernenti la proprietà intellettuale. La rivoluzionaria teoria è di Stephan Kinsella, giurista americano convinto sostenitore della scuola economica libertaria austriaca. Tale teoria è basata principalmente su di una osservazione di politica del diritto.

Il giurista della Lousiana nel suo libro "Against Intellectual Property" fa notare come il diritto di proprietà sia stato concepito a livello legislativo e sociale, allo scopo di risolvere i conflitti interpersonali sulle risorse. Sul pianeta esiste soltanto un numero limitato di risorse, ciò genera inevitabilmente contrasti tra gli individui che vogliono godere dello stesso bene.
Esistono dunque, una serie di interessi contrapposti sullo stesso bene. Il diritto di proprietà, creazione concettuale umana che trae origine dal comportamento sociale, ha senso soltanto quando ci sono almeno due soggetti che si contendono lo stesso bene. A questo punto è necessario verificare cosa sia la proprietà intellettuale.

Fondamentalmente, la proprietà intellettuale è una idea. Per esemplificare si pensi ad una sinfonia di un pianoforte. La sinfonia è un concetto, quindi non esiste, quello che esiste è soltanto l'intuizione di premere i tasti in in una determinata sequenza. Le idee però, non sono beni limitati sul pianeta. Le idee sono infinite come tutti i beni immateriali, per il semplice motivo che non esistono nel mondo reale. Esiste solo le loro singola applicazione concreta. Le conclusioni a cui si giunge, con questo ragionamento logico, sono sconcertanti per un giurista.

La proprietà intellettuale non è una proprietà e soprattutto non può essere regolamentata in alcun modo, per il semplice motivo che non c'è nulla da regolamentare. Si vuole disciplinare qualcosa che è infinito e illimitato. Per citare lo stesso Kinsella: "fossimo in un giardino dell'Eden nel quale la terra e altri beni sono infiniti ed abbondanti, non ci sarebbe scarsità e perciò regole di proprietà; il concetto di proprietà stesso sarebbe senza senso". Ciò su cui si discute da decenni quindi, è come regolamentare le idee. Inoltre lo stesso Kinsella fa notare come l'assenza di regolamentazione della proprietà intellettuale generi una maggiore efficienza economica. Si pensi a due contadini, ciascuno dei quali coltiva un terreno di cotone l'uno di fianco all'altro. Uno dei due contadini un giorno, inventa un metodo più efficiente di raccolta del cotone. Il giorno successivo il suo vicino copia il suo metodo di raccolta più efficiente. Il contadino inventore non sarà danneggiato dal suo rivale, in quanto rimarrà comunque proprietario del suo cotone e del suo metodo di raccolta. Quello che lo Stato fa per mezzo del diritto di proprietà intellettuale è obbligare il contadino "che copia", a non raccogliere il cotone con il metodo più efficiente inventato dal suo vicino. Il Governo in questo modo esercita una violenza al fine di garantire ad un soggetto il monopolio di una idea! Tale monopolio non si genera perché voluto dall'economia, ma perché imposto con la forza della legge. 

L'unica critica mossa contro questa assenza totale di regolamentazione sarebbe "chi inventa e scopre non avrebbe vantaggio economico". Per esempio nell'attività farmacologica, nessuna azienda investirebbe più in ricerca di nuovi farmaci, ma tutti copierebbero le scoperte altrui.
Questa critica però, se applicata nel concreto risulta assurda. Anzitutto ci sarebbe da stupirsi come mai per millenni, ossia fino alla metà dell'800 (periodo in cui potremmo identificare la nascita di quello che è possibile definire il moderno copyright), ci siano state tutte le invenzioni e scoperte che ci sono state, nonostante una assenza totale di regolamentazione.
Leonardo Da Vinci fu evidentemente un folle visto che poteva tranquillamente copiare le idee altrui. Per quale motivo inventare la bicicletta se era possibile copiarla?
Curioso come il più grande inventore della storia dell'umanità, abbia operato durante l'assenza di copyright. Inoltre, è altrettanto curioso notare come i fatti dimostrino esattamente il contrario della tesi sostenuta da questa critica. Da quando per esempio, la musica è possibile scaricarla gratuitamente da internet, l'offerta musicale è ampiamente aumentata. Ciò che è cambiato è la quantità dei guadagni di determinati individui. Per esempio le case discografiche registrano minori incassi. Ma sarebbe tanto strano se il mercato sancisse la fine delle aziende discografiche? Nei millenni passati, sono milioni le aziende che si sono estinte per mano del mercato. E' semplicemente cambiata la ripartizione dei guadagni. Ma chi deve decidere la dichiarazione dei redditi degli individui? Il mercato o le leggi del Governo?

In conclusione, secondo una personale impostazione di chi scrive, la proprietà intellettuale non deve essere necessariamente regolamentata dal legislatore, bensì dalle leggi del mercato libero.
Infatti, regolamentare un' idea, oltre che assurdo di per sè, viola ogni più basilare concetto di libertà dell'individuo, e inoltre, come ogni regolamentazione, deprime il mercato e genera maggiore inefficienza del tessuto produttivo della società.

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