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Il download di materiale pedo-pornografico non è sempre reato

Scritto da Matteo Schwarz

Con sentenza del 22 Aprile 2004 n.1619, il Tribunale Ordinario di Brescia, sezione II penale, ha assolto dal reato di cui all'art. 600 quater (detenzione di materiale pornografico) il soggetto imputato nel relativo procedimento.

Oggetto della contestazione era un file compresso in formato .zip, protetto da password, al cui interno erano state ritrovate 11 immagini a carattere pedopornografico, in ragione delle quali era seguita la contestazione del reato di cui sopra che, si ricorda, punisce "chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell'articolo 600-ter, consapevolmente si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto"

La sentenza assolutoria in esame si fonda principalmente sull'assenza della consapevolezza dell'imputato sul carattere pedopornografico delle immagini ritrovate: in particolare la Corte ha avuto modo di affermare, alla luce delle risultanze processuali, accuratamente ripercorse nelle motivazioni, come sia plausibile che "esse possano derivare da un'erronea operazione di salvataggio dal web, non essendovi elementi ulteriori che suffraghino l'idea di un interesse dell'imputato per i materiali a contenuto pedopornografico. Né basta a contrastare quest'ipotesi il dato della permanenza del file nella memoria del computer, dato che può essere agevolmente spiegato con una dimenticanza dell'imputato, magari successivo ad un tentativo di ricerca della password non riuscito".

Quello che tuttavia desta un maggiore interesse nella sentenza è la ricostruzione  della figura criminis di cui all'art. 600 quater, c.p. operata dalla Corte: si sottolinea come, mirando alla punizione del "consumatore finale", essa si basa sul presupposto che l'acquisizione, a titolo gratuito od oneroso, di materiale a contenuto pedopornografico contribuisca ad alimentare ed incrementare il relativo mercato, con ciò dispiegando un, seppur indiretto, effetto di consolidamento ed allargamento del medesimo.

Ecco allora che ai fini della configurazione della fattispecie in esame risulta necessaria, sul piano oggettivo, la detenzione di materiale di tal specie e, sul piano soggettivo, la consapevolezza della natura illecita dello stesso in quanto afferente allo sfruttamento dei minori.

Alla luce delle suesposte considerazioni, si evince come non costituisca reato la mera visione di materiale pedopornografico, neppure se tale visione sia consapevole e volontaria. Colui che navighi alla ricerca di siti pedofili e ne visoni il contenuto, pur compiendo un'azione che può ripugnare la coscienza dei più, non commette alcun reato. D'altronde non potrebbe che essere così in uno stato diritto dove non sussiste interesse alcuno a reprimere condotte ritenute semplicemente immorali, allorchè esse non fuoriescano da quella sfera privata dell'individuo che come tale deve essere tutelata e preservata.

L'art. 600 quater giustamente non punisce chi consapevolmente visiona, ma chi consapevolmente si procura e dispone di immagini aventi quel particolare contenuto, ossia colui che se ne appropri, eventualmente anche senza procedere alla visione delle stesse (ad esempio tizio scarica un file compresso .zip che sa contenere immagini pedopornografiche ed effettua il downloading rappresentandosi e volendo l'acquisizione di tale materiale).

Si tratta di una differenza importante perché in quest'ultimo caso la finalità della norma non è quella di punire tout court una condotta immorale, ma di avere una (peraltro discutibile) finalità di contrasto, seppure in forma indiretta, al mercato di materiale a contenuto pedopornografico.

Residuano comunque perplessità sulla reale utilità del reato in esame soprattutto in quella logica della previsione penale come extrema ratio che difficilmente si riesce a scorgere in una siffatta ipotesi sanzionatoria.

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