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Pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla responsabilità degli internet provider in relazione al diritto di autore.

Scritto da Francesca Grandolini

La Corte di giustizia dell’Unione europea torna a pronunciarsi in materia di diritto d’autore, analizzando il regime di responsabilità dei gestori di piattaforme digitali rispetto la pubblicazione da parte dei loro utenti di contenuti protetti da copyright.

L’intervento trae origine da due rinvii pregiudiziali da parte della Corte federale di giustizia tedesca, ai sensi dell’art 267 TFUE, relativamente alla conformità della disciplina interna con la direttiva sul diritto d’autore nella società dell'informazione (2001/29/CE), la direttiva sul commercio elettronico (2000/31/CE) e sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (2004/48/CE). Nei procedimenti principali (Causa C-682/18 e Causa C-683/18) i ricorrenti lamentavano la messa in rete di contenuti, sui quali riconoscevano diritti esclusivi, da parte degli utenti delle piattaforme (Youtube e Cyando) senza la loro autorizzazione. Di qui la necessità dei giudici tedeschi di rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Unione per ottenere chiarimenti circa la disciplina applicabile e la posizione dei gestori rispetto le situazione giuridiche tutelate dal diritto d’autore.


In via preliminare va tenuto conto del riferimento nella pronuncia allo stato di diritto del tempo dei fatti, che esclude il regime imposto dalla direttiva 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, da recepire solo entro il successivo 7 giugno 2021.

Dunque il quadro normativo preso in considerazione è innanzitutto quello proposto dalla direttiva 2001/29/CE, emanata nel tentativo europeo di bilanciare i diritti fondamentali concessi agli autori con la necessità di semplificare l’utilizzo dei contenuti protetti in determinate circostanze.

La prima questione sollevata, infatti, fa riferimento all’art 3 par 1 della citata direttiva, per cui “gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”. Si tratta di un diritto di natura precauzionale, posto al fine di vietare la comunicazione al pubblico da parte degli utenti e fornire un elevato livello di protezione agli autori. Di qui la necessaria interpretazione in senso ampio della nozione di “comunicazione al pubblico”, ai sensi del Considerando 23, comprendente qualsiasi trasmissione o ritrasmissione, non presente nel luogo di origine della comunicazione, di un’opera al pubblico, su filo o senza filo, compresa la radiodiffusione.

Nel prosieguo della sentenza la Corte si è però espressa a favore di un giusto equilibrio tra i diritti degli autori e quelli degli utenti, da trovarsi in un ambiente quale Internet, basato sulla libertà di espressione e di informazione, garantita dall’art 11 della Carta europea dei diritti fondamentali. Per questo la valutazione deve essere individualizzata e tenere conto della maggiore o minore intensità con cui i vari criteri, tra loro complementari e interdipendenti, vengono in essere.

Nel caso di specie è utile ricordare come i contenuti siano illecitamente caricati da parte degli utenti, e non direttamente dal gestore. Serve dunque indagare se alla ‘comunicazione al pubblico’ effettuata da questi, si aggiunga quella dei providers: al fine di una analisi della fattispecie la corte individua una serie di parametri secondo i quali poter affermare una responsabilità degli stessi, che non si configura in via generale, “salvo che essi non contribuiscano, al di là della semplice messa a disposizione della piattaforma, a dare al pubblico accesso a siffatti contenuti in violazione del diritto d’autore”. Ciò si verifica quando, nonostante la conoscenza dell’illecito, il gestore si astenga dal rimuoverlo o nel caso in cui, anche se a conoscenza del fenomeno o della sua mera potenzialità, si astenga dal mettere in atto le opportune misure tecniche che ci si può attendere da un operatore normalmente diligente. Ancora, “nel caso in cui esso partecipi alla selezione di contenuti protetti comunicati illecitamente al pubblico, fornisca sulla propria piattaforma strumenti specificamente destinati alla condivisione illecita di siffatti contenuti o promuova scientemente condivisioni del genere…”.

Dunque si può parlare di responsabilità solo quando intervenga un comportamento attivo o passivo, comunque agevolativo dell’illecito.

In secondo luogo la Corte si occupa di chiarire l’interpretazione dell’art 14 par 1 della direttiva sul commercio elettronico, che disciplina le ipotesi di esonero dei gestori dalla responsabilità per i contenuti protetti pubblicati tramite le piattaforme; dando seguito alla costante giurisprudenza europea, tale disposizione deve leggersi alla luce dei considerando della direttiva, nonché del quadro complessivo di riferimento. Il parametro da considerarsi rilevante è quello del ruolo effettivamente svolto dai fornitori: solo nel momento in cui questo possa considerarsi neutrale, dunque ‘meramente tecnico, automatico e passivo’, comporterebbe l’esonero.

In questa prospettiva deve chiarirsi il livello di conoscenza dell’illecito richiesto perché possa escludersi tale possibilità: infatti, secondo la Corte, la violazione ai sensi dell’art 3 della direttiva sul diritto d’autore non implica in modo automatico la non applicazione dell’art 14.

L’obiettivo del legislatore europeo rimane quello di trovare un punto di equilibrio degli interessi in gioco: ne discende l’impossibilità di imporre ai gestori un obbligo generale di sorveglianza, ma solo un loro eventuale comportamento attivo nella rimozione dei contenuti illeciti, pur nel rispetto del principio di espressione. Ciò implica che “il carattere illecito dell’attività o dell’informazione debba risultare da una conoscenza effettiva o essere manifesto, vale a dire che esso deve essere concretamente dimostrato o facilmente identificabile”.

Qui la Corte di giustizia non si è limitata a fornire l’esatta interpretazione delle norme in considerazione, ma ha individuato i caratteri espliciti e concreti che il giudice nazionale potrà utilizzare nei suoi accertamenti nel merito: non è infatti agevole trovare il giusto bilanciamento tra i diritti emergenti, soprattutto quando l’affermarsi di uno determini la lesione dell’altro. Dunque risulta fondamentale tale intervento sopranazionale, anche in prospettiva della armonizzazione delle legislazioni nazionali.

L’ultima questione affrontata è quella concernente la possibilità, ai sensi dell’art 8 par 3 della direttiva sul diritto d’autore, di ottenere provvedimenti inibitori. La posizione del giudice tedesco, operante il rinvio pregiudiziale, era quella di consentire tale possibilità contro il ‘perturbatore’, ossia colui che, “pur non essendo autore di tale violazione o partecipante ad essa, vi contribuisca deliberatamente in qualsiasi modo e con un adeguato nesso di causalità, sebbene abbia avuto giuridicamente e materialmente la possibilità di prevenire detta violazione”. Per costante giurisprudenza si è ritenuto che il ruolo del gestore debba essere propositivo tanto nell’adottare misure idonee a porre fine agli illeciti di cui abbia conoscenza, tanto nella prevenzione contro nuove future violazioni.

Tale esigenza non deve però tradursi né nell’eccessivo onere di un controllo globale sulle informazioni, né in quello di una ricerca attiva di tali illeciti, come disciplinato ai sensi dell’art. 15 par 1 della direttiva sul commercio elettronico. Posto questo come limite, l’art 14 non pregiudica la possibilità di ulteriori richieste di intervento da parte delle autorità nazionali, come quelle tedesche, nonostante l’accertamento di non responsabilità dei providers. Si ritiene però che debba essere reso loro possibile agire sul piano tecnico, in via preliminare rispetto gli eventuali provvedimenti inibitori, così da non essere esposti indebitamente a spese giudiziarie; allo stesso tempo ciò permette al titolare dei diritti di ottenere l’intervento dell’autorità qualora non vedesse adempiuti gli obblighi prescritti. A questi fini si specifica come ‘l’immediato’ intervento propositivo debba essere tale che eventuali ritardi non pregiudichino in modo sproporzionato gli aventi diritto, tenendo conto della rapidità ed estensione geografica con cui i danni possono verificarsi (Considerando 52, direttiva commercio elettronico).

Avendo come base il diritto europeo, è poi compito dei singoli ordinamenti nazionali trovare il giusto strumento con cui si possano dire contemporaneamente rispettati da un lato il diritto della proprietà intellettuale, ai sensi dell’art.17 della Carta; dall’altro la “libertà d’impresa di cui beneficiano i prestatori di servizi in forza dell’articolo 16 della Carta, nonché quella della libertà di espressione e d’informazione, garantita agli internauti dall’articolo 11 della Carta”.

In conclusione, appare utile far riferimento al nuovo regime proposto dal Parlamento europeo e dal Consiglio attraverso la direttiva 2019/790 sul diritto d'autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE. Tale intervento si è reso necessario proprio in virtù dell’evoluzione tecnologica e del maggior utilizzo dei servizi digitali da parte della società moderna; di qui la volontà di creare una disciplina più chiara e adeguata, che potesse uniformare il quadro normativo e permettere una più efficiente tutela dei diritti. Ai sensi del nuovo art 17 par 1 “Un prestatore di servizi di condivisione di contenuti online deve pertanto ottenere un'autorizzazione dai titolari dei diritti di cui all'articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2001/29/CE, ad esempio mediante la conclusione di un accordo di licenza, al fine di comunicare al pubblico o rendere disponibili al pubblico opere o altri materiali”. Resta ferma la richiesta di un adeguato livello di diligenza professionale dei prestatori ai fini di un intervento attivo che eviti la disponibilità di contenuti illecitamente pubblicati, da coordinarsi con i nuovi mezzi di tutela.

I servizi di condivisione online implicano da un lato la salvaguardia della correttezza delle pubblicazioni, in un panorama sempre più ampio delle possibili violazioni; dall’altro il rispetto della libertà di espressione e condivisione, che non deve subire compressioni eccedenti la tutela del diritto d’autore. Dunque deve permettersi agli utenti di caricare e accedere legalmente alle informazioni su tali piattaforme.

In un periodo storico in perenne evoluzione in materia, si pone l’esigenza di un continuo adeguamento della disciplina europea e nazionale; ciò può avvenire solo tenendo in considerazione tutti i diritti emergenti e l’adozione di misure tecniche e legislative idonee, adeguate e proporzionali che possano soddisfare tutti gli attori della nuova realtà virtuale.