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Criptovalute: profili giuridici

Scritto da Giovanni Di Ciollo
  1. Introduzione

Con tale articolo si propone un’analisi in chiave giuridica delle criptovalute, la cui crescente notorietà e adozione ha inevitabilmente portato gli utenti a confrontarsi con un panorama normativo lacunoso, improprio e contraddittorio, sia a livello nazionale, sia internazionale. Non ci si soffermerà in tal sede sulle nozioni tecniche fondamentali per la comprensione del concetto di criptovaluta e blockchain, per quanto esse presupposte alla comprensione della seguente critica; a tal fine si rimanda al § 4 dell’articolo “Voto elettronico: rilievi giuridici e tecnici. Teorizzazione di un modello sperimentale di votazione mediante uso della tecnologia Blockchain”, ove tale tecnologia viene analizzata nei suoi aspetti basilari.

Vista la diversità formale e contenutistica dei documenti di cui si preannuncia l’analisi, questi verranno esaminati seguendo un criterio prevalentemente logico-cronologico, analizzando il variare delle posizioni di enti istituzionali nel tempo. Ai fini di tale trattazione ci si limiterà a soffermarsi sugli aspetti ritenuti strettamente inerenti.

  1. Valute Virtuali, Criptovalute e Moneta Elettronica: Analisi comparativa

Dacché le criptovalute rientrano nella categoria più ampia delle valute elettroniche o virtuali, è necessario definire tale categoria di conio digitale, nonché delle sue differenze dalla moneta elettronica, prima di procedere con l’analisi oggetto di questo articolo.

       2.1 Virtual Currency Schemes, Opinion on Virtual Currencies

Virtual Currency Schemes, [1] emanato dalla Banca Centrale Europea nel 2012, costituisce il primo documento di matrice comunitaria rivolto ad un’analisi giuridica delle valute virtuali, nella cui categoria sono ricomprese le criptovalute.

Ivi le valute virtuali sono primamente definite come un tipo di moneta elettronica non regolata e digitale, emanata e controllata dai suoi sviluppatori, e usata e accettata tra i membri di una specifica comunità virtuale. È altresì necessario, ai fini di una migliore individuazione dell’ambito operativo della valute virtuali, introdurre la definizione di moneta elettronica, la quale è individuata in «un valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell'emittente che sia memorizzato su un dispositivo elettronico, emesso previa ricezione di fondi di valore non inferiore al valore monetario emesso e accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall'emittente[2]

Nelle monete elettroniche la somma detenuta è espressa mediante la valuta avente corso legale, dunque vi è un rapporto diretto tra moneta elettronica e moneta reale: la prima è una mera dematerializzazione della seconda. Nelle valute virtuali l’unità di conto è essa stessa virtuale, dunque non in diretto rapporto con la valuta avente corso legale; esempio per antonomasia sono i bitcoin. Questi ultimi difatti, come per quasi tutte le criptovalute, sono solamente suscettibili di conversione in valute aventi corso legale, mediante l’uso di appositi siti di exchange,[3] ma l’unità di conto rimane il BTC (₿) – vi è comunanza concettuale con la moneta elettronica, seppur manca un controllo esercitato da un ente preposto alla vigilanza del rispetto delle normative sulla moneta e i pagamenti, con conseguente difetto delle relative garanzie; al contrario le attività di controllo sulla criptovaluta sono esercitate dal gruppo di sviluppatori che ne ha la cura, che sono per la maggior parte enti privati; ne consegue la impossibilità di poter garantire in ogni circostanza la conversione della valuta virtuale in valuta avente corso legale, la mancanza di regolazione, anche in riferimento alla quantità di moneta circolante (la decisione, insindacabile, spetta al team di sviluppatori), mancanza per le criptovalute, come di norma per tutte le valute virtuali, di un controllo da parte di istituzioni monetarie sulla genuinità delle transazioni. Appare opportuno soffermarci sul processo di emissione di una criptovaluta, al fine di comprendere le limitazioni appena esposte.

Le criptovalute, ancorché dotate di un proprio sito web, di norma vengono annunciate sul forum privato https://bitcointalk.org/ dove gli sviluppatori stessi, in via informale, comunicano tutte le caratteristiche della nuova criptovaluta lanciata, nonché i siti di exchange dove tale criptovaluta può essere acquistata. Assai raramente è possibile acquistare direttamente criptovalute dagli sviluppatori. Ciò avviene di norma esclusivamente nelle ICO (Initial Coin Offering), ovverosia raccolte fondi finalizzate a supportare lo sviluppo della criptovaluta stessa; le ICO avvengono tramite vendita a prezzo predeterminato di un numero limitato di criptovalute per un periodo di tempo determinato precedente al lancio ufficiale della moneta stessa. Ad eccezione di questo caso, le criptovalute vengono acquistate in siti di exchange, ossia mercati virtuali che raccolgono domande e offerte relative a una coppia di valute, offrendo sia la possibilità di acquistare criptovalute con moneta avente corso forzoso e viceversa, sia la possibilità di acquistare una somma di una particolare criptovaluta utilizzando criptovalute differenti.[4]

La possibilità di convertire una criptovaluta in moneta avente corso forzoso dunque è subordinata alla disponibilità da parte di un’exchange di offrire questo esercizio, ergo l’impossibilità di garantire in ogni circostanza la conversione in valuta avente corso legale. Non solo, essendo le criptovalute fondamentalmente un codice, dunque un software, queste, se non regolarmente curate e aggiornate dal relativo team di sviluppatori, potrebbero smettere di essere funzionanti, e conseguentemente funzionali allo scopo per il quale sono state create, portando all’impedimento sopra descritto. Le criptovalute, per quanto decentralizzate, non possono materialmente operare senza la collaborazione e l’apporto di soggetti disposti a curarla, e ad accettarla negli exchange; la mancanza di uno di questi elementi compromette irrimediabilmente la possibilità di far circolare, o di poter convertire la criptovaluta. Tali rischi e altri sono indicati in Virtual Currency Schemes come rischio di credito e rischio operativo, cui, nell’ambito delle criptovalute, si accostano il rischio di liquidità, in caso di mancanza di fondi da parte ad esempio di exchange, e il rischio legale, ovverosia incertezza giuridica sui regimi cui le criptovalute sono sottoposte.

Tre anni dopo la pubblicazione di Virtual Currency Schemes la BCE ha pubblicato un documento integrativo di tale analisi, Virtual Currency Schemes – a further analisis, finalizzato ad approfondire alcune riflessioni scaturite dalla rapida evoluzione delle valute virtuali, in particolare delle criptovalute.

Tale documento sottolinea la differenza sostanziale tra le valute virtuali e la moneta elettronica, e-money, in quanto, in caso di transazione non autorizzata, o autorizzata per errore, non esiste un’autorità cui fare riferimento, né un organo di risoluzione delle controversie. Oltretutto, la tracciabilità delle transazioni di valute virtuali è limitata dalla circostanza che gli utenti operano nei sistemi di valute virtuali mediante pseudonimi, come il wallet address in relazione alle criptovalute, e non tramite il proprio nome. Altro elemento sostanziale ostativo alla elevabilità delle criptovalute a status di moneta è la loro intrinseca volatilità. Il documento del 2012 ricordava cinque indici principali determinanti il prezzo di una criptovaluta: 1) L’offerta e la domanda della moneta, dunque il prezzo determinato nel mercato virtuale degli exchange, 2) L’estensione della rete, dunque quanti soggetti esercenti attività di rilievo economico abbiano adottato la criptovaluta, 3) Le regole interne e le policy che disciplinano la comunità virtuale, 4) L’affidabilità e la reputazione dell’emittente della criptovaluta, 5) Le speculazioni, dovute a previsioni di innalzamento o abbassamento del prezzo nel tempo.

Una prima emenda è diretta innanzitutto alla definizione di valute virtuali del testo del 2012; le valute virtuali non sono caratterizzate da grande liquidità e larga adozione tale da essere comunemente associate al denaro, dunque la nuova formulazione, tenendo conto di ciò, descrive le valute virtuali come una rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale, da un istituto di credito o un istituto di e-money la quale, in talune circostanze, può essere adoperata come alternativa al denaro. Tale definizione è simile a quella data dalla Autorità Bancaria Europea nella propria Opinion on Virtual Currencies[5] del 2014, nella quale le valute virtuali vengono definite come una rappresentazione di valore che non è emessa da una banca centrale o una pubblica autorità, né è direttamente riferibile a una moneta avente corso forzoso, ma è usata da persone fisiche e persone giuridiche come mezzo di scambio, e può essere trasferita, conservata e scambiata elettronicamente. Dunque, viene sottolineata nuovamente la differenza con la moneta elettronica, la quale è direttamente riferita a una moneta avente corso forzoso.

La relazione dell’ABE viene richiamata direttamente da VCS – a further analisis nella parte concernente i rischi relativi all’uso delle valute virtuali; in particolare si distinguono 5 categorie di rischi: 1) Rischi per gli utenti, che a loro volta si dividono in rischi generali, rischi in relazione all’utilizzo come mezzo di pagamento e di investimento; 2) Rischi per gli altri partecipanti al mercato non rientranti nella prima delle categorie elencate, riferiti specificamente agli exchange e ai commercianti, nonché rischi riferiti a partecipanti specifici del mercato, come ad esempio quelli associati ai fornitori di portafogli elettronici; 3) Rischi per l’integrità finanziaria: sono i rischi relativi alle attività di riciclaggio di denaro, finanziamento del terrorismo, nonché quelli relativi all’agevolazione dei crimini aventi ad oggetto attività finanziaria; 4) Rischi relativi ai sistemi di pagamento in valuta avente corso legale; 5) Rischi relativi alla regolazione delle valute virtuali, i quali si dividono in (i) rischi di reputazione, come in caso di approccio fallimentare alla regolamentazione delle valute virtuali, o raggiro delle misure regolamentari adottate tramite l’uso di sistemi non regolati, (ii) rischi legali, nel caso in cui sopravvenienze normative rendano illegali o ineseguibili le prestazioni dedotte in contratti precedente stipulati, (iii) rischi relativi alla concorrenza, come nel caso di interventi normativi che regolino diversamente pagamento in valute virtuali e valute aventi corso legale, causando così scenari di ingiustificato svantaggio di un sistema rispetto all’altro all’interno di un medesimo mercato con conseguente alterazione della concorrenza, e infine (iv) i rischi relativi alle autorità emittenti di valuta avente corso legale, in quanto tali autorità svolgono ruolo di prevenzione ed indirizzo in ambito economico – l’adozione di massa delle valute virtuali potrebbe rendere difficoltoso effettuare le previsioni dell’impatto delle politiche monetarie adottate.

Un ulteriore parametro alla luce del quale, secondo la BCE, le valute virtuali si rivelano inadeguate a soddisfare i requisiti necessari per essere considerate alla stregua di denaro è quello della rispondenza delle valute virtuali alle tre funzioni storicamente attribuite al denaro nella letteratura economica: 1) Mezzo di scambio, 2) Riserva di valore, 3) Unità di conto. Nel caso delle criptovalute queste soddisfano parzialmente il primo requisito, in quanto pur essendo astrattamente idonee ad essere usate come mezzo di scambio, attualmente solo una assoluta minoranza le adopera a tale fine, oltretutto la altissima volatilità delle quotazioni negli exchange rende le criptovalute inadeguate a svolgere la funziona di riserva di valore; tali fattori comportano anche l’impossibilità delle criptovalute di soddisfare il terzo requisito.

2.2 D. Lgs. 90/2017, IV e V Direttiva Antiriciclaggio

La IV direttiva antiriciclaggio 2015/849,[6] al fine di combattere il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, tra le altre imponeva a “entità obbligate” come banche e istituti di credito o finanziari di provvedere a oneri di registrazione e di verificazione della identità dei clienti. La proposta di modifica COM(2016)450 della IV direttiva da parte della Commissione, convertita poi nella V direttiva antiriciclaggio, mira ad estendere tali oneri agli exchanger o piattaforme di cambi, nonché ai wallet provider, ossia coloro che custodiscono le chiavi di accesso ai portafogli elettronici contenenti le valute virtuali, attribuendo a questi lo status di entità obbligate; il d. Lgs. 90/2017,[7] prim’ancora della approvazione di tale modifica ne ha recepito i contenuti, allargando dunque l’applicazione della disciplina della direttiva ai prestatori di servizi aventi ad oggetto valute virtuali.

Innanzitutto, il d. Lgs. definisce la valuta virtuale all’art. 1, comma 2, lett. qq), come una rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente. Vengono definiti alla lett. ff) i prestatori di servizi relativi all'utilizzo di valuta virtuale: ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all'utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale. Sono destinatari delle norme antiriciclaggio i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, limitatamente allo svolgimento dell’attività di conversione di valute virtuali da ovvero in valute aventi corso forzoso, che l’art. 3 comma 5 inserisce nella categoria degli operatori non finanziari; tali sono gli exchangers. L’art 8, nel definire le modifiche a disposizioni vigenti, aggiunge due commi all’art. 17bis del d. lgs. 141/2010, i quali prevedono l’estensione della disciplina sui cambiavalute a prestatori di servizi di exchanging, nonché l’iscrizione di tali cambiavalute operanti nell’ambito delle valute virtuali in una sezione speciale del registro di cui al primo comma dello stesso articolo. Le definizioni di valute virtuali ed exchangers contenute nel decreto sono analoghe a quelle contenute nella proposta emendata della Commissione Europea COM(2016)450[8], seppur la definizione della proposta di modifica faccia riferimento alla attività di exchanging svolta in modo prevalente, al contrario di quella del decreto italiano, che dunque sembra abbracciare un bacino di prestatori di servizi più ampio.

Il 30 maggio 2018 è stata adottata la direttiva 2018/843, denominata V Direttiva Antiriciclaggio,[9] che, emenda la direttiva 849/2015 modificando a sua volta la proposta della Commissione. Procedendo dunque all’analisi delle ultime definizioni ivi contenute, la valuta virtuale è definita come una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente; il prestatore di servizi di portafoglio è un un soggetto che fornisce servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali; le definizioni restano dunque in linea con quelle contenute nella proposta di modifica, stabilendo positivamente la estraneità delle valute virtuali alla natura giuridica della moneta.

Criptovalute come Strumenti Finanziari

La direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari definisce alla Sezione C gli strumenti finanziari, includendovi i “valori mobiliari”, definiti dall’art. 4 come «categorie di valori, esclusi gli strumenti di pagamento, che possono essere negoziati nel mercato dei capitali»; dunque parrebbe che le criptovalute siano positivamente escluse dalla categoria degli strumenti finanziari, pur essendo sia beni oggetto di diritto ai sensi dell’art. 810 del c.c., sia beni dotati di valore economico. Ai sensi della Direttiva sui Servizi di Pagamento (PSD) 2007/64/CE non essendoci di norma un ente centrale che ha la proprietà e il controllo delle criptovalute, e non essendo soggetti autorizzata ai sensi della direttiva, queste non possono neanche essere definite come istituto di pagamento, che sono una delle categorie di prestatori di servizi di pagamento, insieme a istituti di credito e istituti di moneta elettronica. Inoltre, le criptovalute non rientrano in nessuna delle categorie di “fondi” (banconote e monete, moneta scritturale o moneta elettronica quale definita all’articolo 2, punto 2),[10] della direttiva 2009/110/CE, concernente l’attività degli istituti di moneta elettronica).

Nell’ordinamento italiano gli strumenti finanziari sono tassativamente indicati dall’art 1, comma 2, 2-bis, 2­-ter del Testo Unico della Finanza, e le criptovalute non sono ricomprese in tale elencazione.[11] Tuttavia, mentre è palese l’estraneità di criptovalute come bitcoin alla categoria degli strumenti finanziari, osservando l’evoluzione delle criptovalute in strumenti che permettono di effettuare molte altre operazione oltre al trasferimento di denaro (ad esempio gli smart contract di Ethereum), non è preclusa la possibilità che in futuro venga creata una criptovaluta le cui potenzialità siano tali da collimare con una delle categorie di strumento finanziario riportate dal TUF, così come non si può escludere a priori che determinate criptovalute, create a fini diversi dall’essere mezzo di pagamento, più specificatamente a fini speculativi, possano rientrare nella categoria più generale dei “prodotti finanziari”, definiti all’art. 1, comma 1, lett. u), come “gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”.

Il Tribunale di Verona, con sentenza n. 195 del 2017, ha dichiarato la nullità del contratto di vendita di bitcoin contro moneta avente corso legale a favore di un utente da parte di un exchange avente sede in Italia. Il tribunale ha sussunto la fattispecie dell’offerta di servizi di intermediazione di valute virtuali contro valute avente corso legale e viceversa nella fornitura di servizi finanziari, tramite contratto concluso a distanza, attribuendo così la qualifica di consumatore all’acquirente di bitcoin, e quella di fornitore all’ exchange;[12] il contratto è tuttavia stato dichiarato nullo per violazione, da parte dell’exchange, degli obblighi di informativa precontrattuale previsti dagli artt. 67-duodecies e ss. del Codice del Consumo.

L’inquadramento giuridico proposto dal Tribunale di Verona non è condivisibile in quanto ai sensi dell’art 1, comma 5 del TFU i servizi di investimento debbono avere necessariamente per oggetto strumenti finanziari, categoria alla quale le criptovalute, in sé considerate, non appartengono.

  1. Inquadramento giuridico: Casi giurisprudenziali e orientamenti di altre nazioni europee ed extraeuropee

Il quadro normativo europeo e italiano, seppur con prudenza, viene delineandosi in maniera coerente, anche grazie all’analisi delle posizioni assunte da nazioni extraeuropee, e alle riflessioni compiute dalla giurisprudenza estera.

Si procede ad analizzare le decisioni e i documenti più importanti

3.1. Sentenza della Corte di Creteil, 2011 – Posizione dell’ACPR relativa alle operazioni sui Bitcoin in Francia

La società Macaraja, rappresentante dell’exchange Mt. Gox in Francia, aveva subito una chiusura dei propri conti presso il Crédit Industriel et Commercial (CIC) da parte della banca stessa; a seguito dell’instaurazione del processo davanti all’autorità giudiziaria, la banca ha sostenuto che le operazioni di cambio di bitcoin in valuta avente corso forzoso svolte dalla società erano estranee all’oggetto sociale (creazione e sviluppo di software) e, partendo dal presupposto che il regime giuridico della moneta elettronica fosse applicabile analogicamente alle operazioni aventi ad oggetto compravendita online di criptovalute con denaro, le operazioni di intermediazioni di bitcoin sono state assimilate a operazioni finanziarie soggette ad autorizzazione da parte dell’Autorité de contrôle prudentiel et de résolution;[13] non essendo la società dotata di tale autoirazzione, la CIC aveva ritenuto opportuno chiudere i conti. Al contrario la Macaraja sosteneva che i bitcoin fossero non moneta elettronica, ma un bene immateriale come tutti i software, e che l’attività fosse limitata alla compravendita di bitcoin, senza offrire servizi di pagamenti al pubblico, dunque rientrando pienamente nell’oggetto sociale, che comprendeva anche tutte le attività commerciali non regolamentate. La Corte di Creteil con sentenza del 6 dicembre 2011 ha dichiarato che l’attività posta in essere dalla Macaraja era assimilabile alla prestazione di servizi di pagamento, svolta nel caso di specie senza l’applicazione della relativa normativa che disciplina tale attività, dunque dando ragione nel merito alla banca CIC. La sentenza è stata confermata due anni dopo dalla Corte d’Appello di Parigi (Pôle 5, ch 6, n. 12/00161), la quale tuttavia non si è espressa sulla natura giuridica dei bitcoin, essendo tale questione ininfluente ai fini della decisione, al contrario da quanto sostenuto da Maracaja.

Nel 2014 l’ACPR ha pubblicato un comunicato ufficiale[14] nella quale ha sostenuto che le attività di intermediazione consistenti nella compravendita di criptovalute con valuta avente corso forzoso sono considerate fornitura di servizi di pagamento, soggette a previa concessione di un’autorizzazione da parte della ACPR stessa, a fronte della verifica dei requisiti di capitale, governance, struttura finanziare e livello di risorse proprie, nonché istituzione di un sistema di controllo interno e di misure di vigilanza nella lotta contro il riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo, modulato sull’attività svolta e i rischi coinvolti. Tale opinione è supportata dalla Banca di Francia, la quale ha sostenuto nel recente focus n° 16 del 5 marzo 2018[15] che tale impostazione ben si colloca nel quadro normativo delineato dalla recente V direttiva antiriciclaggio.

3.2. Stati Uniti: quattro diversi orientamenti

3.2.1 FinCEN: Valute virtuali come denaro ai fini della normativa Bank Secrecy Act - BSA

Il 18 marzo 2013 l’agenzia federale statunitense FinCEN[16] ha emesso una guida relativa all’applicazione della normativa relativa al Bank Secrecy Act (BSA) ai soggetti coinvolti in attività consistenti nella creazione, acquisto, distribuzione, scambio, accettazione o trasmissione di valute virtuali.[17] A tal fine il documento indica come MSB, Money Services Business, i soggetti obbligati su cui gravano gli oneri di iscrizione nel registro tenuto presso il Dipartimento del Tesoro, comunicazione e conservazione di documenti.

Innanzitutto, viene definito la valuta “reale” come “la moneta o le banconote degli Stati Uniti o di altra nazione che (i) abbiano corso legale e che (ii) circolino e (iii) siano normalmente usate e accettate come mezzo di scambio nel paese di emissione”, in contrasto con le valute virtuali, che non hanno corso legale in alcuna nazione, dunque difettano degli attributi necessari per poter essere definite valuta “reale”. Vengono poi definiti gli utenti quali coloro che ottengono valute virtuali per acquistare beni o servizi, gli exchanger come i soggetti che svolgono attività di intermediazione tra valute virtuali e valuta “reale”, infine gli amministratori come coloro che emettono la valuta virtuale, o hanno la facoltà di farne cessare la circolazione.

L’agenzia sostiene che l’attività di acquisto di beni e servizi reali o virtuali mediante valute virtuali non costituisce esercizio di servizi di trasmissione di denaro, dunque gli utenti che pongono in essere tali attività non considerati soggetti MSB obbligati secondo le disposizioni della FinCEN. Al contrario, un amministratore o exchanger che accetta o trasmette una valuta virtuale convertibile in valuta “reale” per qualunque ragione è un soggetto esercente servizi di trasferimento di denaro ai fini dell’applicazione delle norme FinCEN, in quanto a tal fine rileva non solo la titolarità formale di tale qualità, ma anche l’esercizio sostanziale da parte di chi ne difetta. il 27 ottobre 2014 la FinCEN ha emanato due regolamenti, FIN-2014-R011[18] e FIN-2014-R012,[19] attuativi delle disposizioni contenute nella guida.

3.2.2. Internal Revenue Service (IRS): valuta virtuale come property

Il 25 marzo 2014 l’agenzia statunitense IRS, corrispettiva dell’AdE italiana, ha emesso una comunicazione ufficiale (Notice 2014-21)[20] nella quale, dopo aver fatto proprie le considerazioni sulla natura giuridica delle valute virtuali della guida della FinCEN succitata, specifica che ai fini della tassazione: 1) le valute virtuali vengono considerate come beni (property), 2) le valute virtuali non vengono equiparate alle valute estere ai fini della determinazione del profitto o della perdita derivante dalla fluttuazione del tasso di cambio, 3) i soggetti che ricevono valute virtuali come forma di pagamento per beni o servizi, nel calcolare le entrate lorde, deve includere il valore delle valute virtuali al prezzo di mercato, calcolato sulla base del valore riportato negli exchange, riferito alla data in cui il pagamento è stato ricevuto, 4) rilevano sia i guadagni, sia le perdite derivanti dallo scambio di valute virtuali con altri beni, 5) rilevano le entrate derivanti da attività di mining, 6) alle transazioni avvenute in valute i principi fiscali relativi ai pagamenti in beni.

L’attribuzione di tale natura giuridica alle criptovalute non ha mancato di suscitare critiche. Innanzitutto, non è chiaro se tali possono essere ricomprese nella categoria dei capital assets o dei non capital assets[21]. La differenza è importante, in quanto i capital assets mantenuti per più di un anno sono sottoposti a tassazione inferiore rispetto ai non capital assets, tuttavia le perdite nel lungo periodo generalmente non possono essere usate per compensare le entrate ordinarie. Essendo quella dei capital assets la categoria residuale, le valute virtuali dunque dovrebbero esservi ricomprese. Tuttavia, affinché le valute virtuali possano essere trattate come capital asset dipende dal tipo attività in cui queste vengono utilizzate. Un soggetto che faccia mining di criptovalute realizzerà una entrata ordinaria[22] (ordinary income), che fa riferimento ai non-capital assets. Al contrario un soggetto che acquisti valute virtuali per un valore di 100 dollari, assista a un aumento di valore del 50%, e poi spenda i 150 dollari in valute virtuali per l’acquisto di beni o servizi, avrà realizzato 50 dollari di capital gain, i quali derivano dalla vendita o lo scambio di capital assets.

Ulteriore problema si ha nella determinazione della base di investimento ai fini della tassazione. Qualora ad esempio vengano effettuati 3 distinti acquisti di valute virtuali (A, B, C), in tre momenti differenti, a tre prezzi differenti, tutti e tre pari a 10 unità di valuta virtuale. Nel momento in cui il soggetto spende 10 unità di valuta virtuale, non è sempre chiaro secondo quale criterio egli debba scegliere la transazione A, B o C dalla quale attinge: egli potrebbe essere libero di dire di poter spendere dalla transazione per lui più onerosa, in modo da evitare al minimo il proprio capital gain o creando una perdita utile ai fini del pagamento delle tasse. In alcune criptovalute, come bitcoin, essendo il registro pseudonimo e liberamente consultabile, è possibile risalire alla transazione da cui si attinge, in altre criptovalute incentrate sulla privacy avviene la confusione dei fondi in entrata, dunque non è possibile poter dire da quale transazione si attinge.

Critiche sono giunte infine dall’Ispettore Generale del Dipartimento del Tesoro, il quale in un report pubblicato il 21 settembre 2016[23] ha denotato l’inerzia dell’IRS non solo nel procedere contro coloro i trasgressori delle regole poste, ma anche nell’emettere ulteriori norme esecutive e integrative delle disposizioni – ad oggi tale inerzia ancora persiste.

3.2.3. Commodity Futures Trading Commission (CFTC): Criptovalute come commodity

Con commodity in ambito commerciale ci si riferisce a quei beni liberamente scambiabili sul mercato caratterizzati da piena fungibilità, per i quali vi sia domanda od offerta. Il 17 settembre 2015 l’Agenzia governativa statunitense che si occupa della regolamentazione del mercato delle commodity e dei futures ha emesso un’ordinanza[24] contro la società Coinflip, Inc, nella quale ha innanzitutto proceduto all’inquadramento giuridico delle criptovalute: il Commodity Exchange Act[25] sezione 1a(9) definisce le commodity tra le altre come “tutti i servizi, diritti e interessi nei quali si tratta di contracts of future delivery”, e secondo la CFTC le valute virtuali e le criptovalute rientrano in questa categoria come commodities for future delivery. Segue sostenendo che, avendo la società Coinflip, Inc offerto da marzo 2014 pacchetti di contratti di opzioni su bitcoin, questa ha condotto un’attività relativa alle transazioni di opzioni su commodity in violazione del Commodity Exchange Act e delle norme emanate dalla CFTC, tra cui gli obblighi di registrazione come SEF (Swap Execution Facility).

Tale orientamento si è rafforzato con due casi davanti Corte Federale dello stato di New Yor: nel primo (CFTC v DILLON MICHAEL DEAN and THE ENTREPRENEURS HEADQUARTERS LIMITED) si è giunti il 9 luglio 2018 alla condanna per frode per Dillon Micheal Dean, il quale avendo ottenuto 499.264,04$ in bitcoin da non meno di 127 soggetti, non ha proceduto ad investirli in un mercato virtuale finalizzato allo scambio di commodity interests, tra cui anche contratti di opzioni binarie, ma, raggirandoli e promettendo ritorni di investimento allettanti, ha proceduto ad appropriarsi delle somme; è stata riconosciuta anche la mancata iscrizione da parte di Dean e della società presso la CFTC come Commodity Pool Operator (CPO) e Associated Person of a CPO. Nel secondo caso, CFTC vs Patrick Kerry McDonnell and CABBAGETECH, CORP, la CFTC sostiene[26] che il soggetto chiamato in giudizio si sia indebitamente appropriato dei fondi digitali dei propri clienti, promettendo servizi di consulenza in ambito di investimenti in valute virtuali con la garanzia di ritorni di investimento fino al 300%, procedendo poi ad appropriarsi indebitamente dei fondi ricevuti tagliando contestualmente ogni comunicazione con i clienti. La CFTC ha denunciato la violazione di numerose norme del Commodity Exchange Act. Punti controversi della questione erano innanzitutto se la CFTC, in assenza di una normativa federale, avesse l’autorità di qualificare le criptovalute come commodity ai fini dell’applicazione della relativa normativa, ulteriormente era controverso se la CFTC potesse esercitare la sua giurisdizione su una frode che non coinvolge direttamente la vendita di futures o derivative contracts: su entrambi i punti la corte si è pronunciata affermativamente, dunque ricevendo un primo riconoscimento giurisduzionale di tale orientamento.

3.2.4. Securities and Exchange Commission (SEC): Criptovalute come security

Le securities sono una peculiare forma di investimento e strumento finanziario, rappresentate da un’obbligazione emessa a seguito di cartolarizzazione da parte di un soggetto sponsor. Il 25 luglio 2017 la SEC ha pubblicato un report di investigazione[27] sul caso dell’hacking della Decentralized Autonomous Organization (DAO).

A tal fine bisogna ripercorrere per sommi capi la vicenda, innanzitutto definendo la DAO come un fondo di investimento decentralizzato per l’esecuzione di smart contracts;[28] i primi di maggio del 2016 venne predisposta dalla startup tedesca Slock.it una raccolta di fondi tramite ICO (Initial Coin Offering), nella quale gli investitori depositavano quantità di ether[29] a fronte del ricevimento di token DAO – in questo modo furono raccolti circa 150 milioni di dollari con oltre 11.000 investitori. Il 5 giugno viene scoperta una vulnerabilità nel codice del DAO, che venne sfruttata il 17 giugno per rubare oltre 50 milioni di dollari in ETH dal DAO; a seguito dell’attacco la blockchain Ethereum venne divisa a metà, creando così due blockchain e due criptovalute: Etherum, la blockchain nella quale gli effetti dell’attacco sono stati eliminati, ed Ethereum Classic, la blockchain originale soggetta all’attacco.

La questione oggetto del report è se i token stessi oggetto di prevendita siano classificabili come securities, nonché se la vendita di DAO tokens, per estensione tutte le ICO, possa essere soggetta alle leggi federali sulle securities, tra cui in particolare il Security Act, la registrazione presso la SEC e i relativi obblighi di “full and fair disclosure”, ovverosia gli obblighi di trasparenza, informazione e comunicazione che gravano sui soggetti registrati; infine l’illegalità della vendita di securities da parte di soggetti non registrati.

Ai sensi della sezione 2(a)(1) del Securities Act[30] e della sezione 3(a)(10) dell’Exchange Act una security comprende anche “un contratto di investimento”. Un contratto di investimento è “un investimento di denaro in un’impresa con una ragionevole aspettativa di profitto derivante dagli sforzi di gestione di altri”.[31] Tale definizione non è rigida, dunque permette di ricomprendervi nuove forme di investimento non esistenti al momento della formulazione delle norme. Ai sensi del diritto statunitense l’investimento non deve necessariamente avvenire tramite denaro.[32] Nel caso di specie (i) l’investimento è avvenuto in ether, (ii) vi era una aspettativa di profitto, quella del ritorno di investimento a seguito del finanziamento di progetti scelti, ed infine figurava la componente (iii) dello sforzo di gestione da parte di terzi,[33] ovverosia di Slock.it, i cofondatori, e curatori del DAO; senza lo sforzo di gestione e l’opera apportata da tali soggetti gli investitori non avrebbero avuto la possibilità di effettuare i relativi finanziamenti.

Dacché dunque si evince che dall’opera dei curatori del DAO e di Slock.it sarebbe dipeso l’esito dell’investimento, questo può essere considerato issuer (emittente), come si evince da SEC v. Murphy, 626 F.2d 633, 644 (9th Cir. 1980) “Quando un soggetto svolge ruoli di gestione e promozione di una organizzazione in forma di società ed è primamente responsabile per il successo o il fallimento dell’investimento sulla quale la società è fondata, acquisterà la qualità di emittente.” Ai sensi del § 77b(a)(4) dell’U.S. Code con issuer si intende “ogni persona che emette o propone di emettere una security”, e con “persona” si include ogni organizzazione senza personalità giuridica; tale definizione, in combinato disposto con lo stralcio della sentenza Doran v. Petroleum Mgmt. Corp., 545 F.2d 893, 909 (5th Cir. 1977) nel quale viene specificato che “quando un issuer trova nuovi modi per emettere le proprie securities, la definizione stessa di security si espande”. Dunque, essendo i DAO tokens delle securities, sul DAO gravava l’onere di registrare l’offerta e la vendita dei DAO tokens. Peraltro, coloro che

Il report fa ulteriore riferimento alla Exchange Act Rule 3b-16(a) che fornisce criteri per determinare se un sistema di scambio incontra i requisiti per poter essere definito exchange ai sensi della Sezione 3(a)(1). La norma Exchange Act Rule 3b-16(a) stabilisce che un’organizzazione, associazione, gruppo di persone costituisce, mantiene o offre un “un mercato virtuale o servizi finalizzati a riunire venditori e acquirenti di securities o finalizzati a svolgere funzioni comunemente svolte da stock exchange”; se tale organizzazione, associazione o gruppo di persone: (1) raggruppa gli ordini per securities di plurimi acquirenti e venditori; e (2) usa metodi non discrezionali e prestabiliti (stabilendo le regole o fornendo strumenti per il trading) sotto i quali tali ordini interagiscono tra loro, e i venditori e acquirenti che li hanno creati accettano i termini di concessione del servizio. Fintanto un sistema rientri nei criteri stabiliti dall’Exchange Act Rule 3b-16(a) e non nelle cause di esclusione della Rule 3b-16(b), questo è soggetto a registrazione obbligatoria come National Security Exchange ai sensi della Sezione 5 dell’Exchange Act. Questa Sezione difatti stabilisce che ogni intermediario, commerciante ed exchange non può legalmente porre in essere transazioni aventi ad oggetto security se questo non è registrato come National Securities Exchange ai sensi della Sezione 6 dell’Exchange Act.

Alcune posizioni degli esponenti di spicco della SEC possono far chiarezza sulla posizione di quest’ultima in maìerito alla qualificazione delle criptovalute come securities: Jay Clayton in un comunicato ufficiale[34] ha specificato che non tutte le criptovalute acquistano automaticamente lo status di security, in quanto ciò dipende dalle circostanze in cui viene emessa. William Hinman, direttore della Divisione di Finanza Societaria della SEC durante il Yahoo Finance All Markets Summit: Crypto[35] ha precisato che una transazione di una moneta o token può dirsi offerta o vendita di securities solo alla luce di un rigido accertamento legale sulle circostanze di fatto nelle quali la transazione è avvenuta, la posizione soggettiva di aspettativa degli acquirenti, e le finalità che si perseguono effettuando la vendita: tale principio si applica sia alle ICO, sia alle criptovalute singolarmente considerate. Dunque, prosegue, osservando il Bitcoin oggi non si nota la presenza di un entità terza i cui sforzi sono la chiave per determinare il successo dell’attivirà di impresa. La rete Bitcoin opera in modo decentralizzato dalla sua nascita, dunque l’applicazione del regime di comunicazione e informazione delle leggi federali sulle securities sembrerebbe essere un apporto ininfluente al mercato del Bitcoin.

Si può dunque concludere asserendo che criptovalute e le ICO, o comunque denominate, assumono rilevanza ai fini dell’applicazione della normativa antiriciclaggio solo a seguito dell’accertamento della corrspondenza dei criteri individuati dalla sentenza SEC v Howey – fermo restando che l’accertamento di requisiti quali la “sufficiente decentralizzazione” è significativamente arduo, se non vera e propria probatio diabolica.

È opportuno sottolineare che richieste di registrare ETF[36] basati su bitcoin presso la SEC sono state puntualmente bocciate; è interessante ai fini della trattazione esaminare la risposta negativa del 26 luglio 2018 della SEC,[37] a seguito della revisione della proposta di registrazione del Bats BZX Exchange, già cassata a marzo del 2017.[38] La ragione allora dichiarata verteva principalmente sulla natura non regolamentata dei mercati del bitcoin,[39] tuttavia essendo tale constatazione legata al tempo in cui è stata formulata questa non è definitiva, in futuro potrebbe esserci una rivalutazione e sviluppo di mercati di bitcoin regolamentati, con conseguente riconsiderazione di ETP basati sul bitcoin. In sede di revisione, invece, è stato puntualizzato che non è stato riscontrato nel mercato delle criptovalute quella resilienza alla manipolazione e alla commissione di atti fraudolenti necessaria per poter approvare la proposta ai sensi della Sezione 6(b)(5) dell’Exchange Act, anche per il fatto che porzione significativa dell’intera attività di trading avviene in mercati esterni a quello statunitense.

L’orientamento della SEC affonda le sue radici nella sentenza SEC v. Shavers BL 208.180 del 2013, che ha concluso il giudizio instaurato dalla SEC nei confronti di Trendon T. Shavers e Bitcoin Savings and Trust (BTCST), nel quale è stata comminata a questi ultimi la condanna al pagamento di oltre 40 milioni di dollari più interessi. Secondo l’accusa il Sig. Shavers, avrebbe costituito BTCST al fine di ottenere investimenti che avrebbero reso ritorni sotto forma di bitcoin, promettendo guadagni settimanali fino all’1% della somma investita. Il sistema adoperato era quello del ponzi scheme.[40] All’imputato è stata contestata la violazione della Sezione 10(b) dell’Exchange Act e della Rule 10b-5, che sanciscono (1) l’illeceità dell’uso “di strumenti, raggiri, artifizi”, (2) “affermazioni mendaci volti a frodare”, nonché (3) “ogni atto, pratica o tipo di business che opera […] con frode e inganno contro ai danni di altre persone”, specificando che Shavers abbia operato avendo coscienza della natura truffaldina delle proprie promesse. Addizionalmente nella fase pretrial la corte ha affrontato la questione si gli interessi in BTCST fossero assimilabili contratti di investimento ai fini dell’applicazione della normativa federale sulle securities. Shavers sosteneva che l’uso di bitcoin non costituisse una forma di investimento di denaro; la ruling del 6 agosto 2013[41] ha dichiarato che gli investimenti in BTCST fossero contratti di investimento, facenti capo alla macrocategoria delle securities, richiamando innanzitutto i tre parametri fissati dalle sentenze SEC v. W.J. Howey & Co., 328 U.S. 293, 298-99 (1946); Long v. Shultz Cattle Co, 881 F.2d 129, 132 (1989): affinché esista un contratto di investimento devono figurare (1) un investimento di denaro (2) in un’impresa comune, (3) con l’aspettativa di profitto derivante dallo sforzo del promotore o di terzi; la Corte ritiene che (1) il bitcoin senza dubbio possa essere usato come denaro, al fine di acquistare beni e servizi, l’unica limitazione sta nel fatto che il suo uso è limitato nei confronti di coloro che decidono di accettarli; (2) la corte ritiene che nel rapporto di interdipendenza tra investitori e promotore sia ravvisabile l’impresa comune, in quanto gli investitori fanno affidamento sulle conoscenze del promotore in ambito di mercati di bitcoin, (3) aspettando dagli sforzi di questo un profitto, nel caso di specie millantato dell’1%, e in alcuni periodi anche del 3,9%. Successivamente, nella decisione di settembre 2014 la Corte ha condannato Shavers per la violazione della Sezione 10(b) dell’Exchange Act e le Sezioni 5 e 17(a) del Securities Act del 1933, in quanto la corte ha rilevato che: «Da Febbraio 2011 fino ad Agosto 2012, al contrario di quanto avesse promesso Shavers agli investitori, il fattore di rischio degli investimenti in BTCST non era “molto limitato” o “pressocché 0”, ed egli stesso non era nella posizione tale da coprire personalmente eventuali perdite degli investitori, come al contrario aveva garantito agli investitori e […] BTCST operava come un ponzi scheme e una truffa, in quanto Shavers ha scientemente e volontariamente usato i bitcoin ricevuti dagli investimenti in BTCST per effettuare pagamenti al di fuori dell’area di investimento di BTCST, destinando tali somme alla propria soddisfazione personale.». La Corte ha peraltro sancito la violazione delle Sezioni 5(a) e 5(c) del Securities in act, in quanto, tra le altre, è stata (1) venduta una security (2) senza previa registrazione presso la SEC.[42]

3.3. Bitcoins: Aufsichtliche Bewertung und Risiken für Nutzer – BAFIN

Il 19 dicembre 2013, l’autorità Federale di Supervisione Finanziaria tedesca (BAFIN) ha pubblicato un parere, Bitcoins: Aufsichtliche Bewertung und Risiken für Nutzer,[43] concernente la giuridica dei bitcoin e i rischi per gli utenti. Ivi i bitcoin vengono considerati come strumenti finanziari sotto forma unità di conto giuridicamente vincolanti ai sensi del §1 comma 11 della legge bancaria tedesca (Kreditwesengesetz - KWG). Il loro regime giuridico è analogo a quello delle valute estere non aventi corso legale. Ai sensi della normativa sui servizi di pagamento (Zahlungsdiensteaufsichtsgesetz), in quanto decentralizzate, e senza possibilità di vantare un credito a favore di un emittente. Nonostante ciò, ai fini dell’uso commerciale di bitcoin, i soggetti interessati devono munirsi di autorizzazione ai sensi della KWG, rischiando di incorrere altrimenti nelle sanzioni penali previste dal §54 dello stesso; al contrario l’uso della criptovalute come valute sostitutiva al denaro avente corso legale non è soggetto ad autorizzazione; ogni fornitore può far pagare i propri servizi in bitcoin senza necessitare di autorizzazione, e analogamente tale principio si applica ai miners. Il documento specifica, tuttavia, che qualora i bitcoin siano l’oggetto stesso dell’attività, allora sorge la necessità di munirsi di autorizzazione, specificando tra le differenti attività:

  1. Attività di intermediazione finanziaria: chiunque che a nome proprio o nell’esercizio di un attività commerciale acquista e vende bitcoin per conto di terzi, necessità dell’autorizzazione richiesta per chi esercita attività di intermediazione.
  2. Sistemi di scambio multilaterali: nel sistema vengono raccolte gli ordini di domanda e offerta tra più soggetti. Gli ordini devono essere gestiti automaticamente da software e protocolli, in modo da evitare l’interferenza dei singoli partecipanti.
  3. Attività di mediazione e proprietary trading: l’attività di mediazione consiste in tal caso nella messa a disposizione e offerta di liste riportanti coloro che acquistano o vendono bitcoin in un determinato luogo, e si qualifica come attività di investimento e di intermediazione di contratti; il proprietary trading si riferisce a coloro che effettuano operazioni di cambio tra valute aventi corso legale e bitcoin.
  1. Cenni sul trattamento fiscale delle criptovalute[44]

Ai fini della trattazione si deve senz’altro far riferimento alla disciplina fiscale europea, in particolare la direttiva 2006/112/CE sull’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), la quale stabilisce all’art. 2 che sono soggette ad IVA, tra le altre, a) le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale; c) le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale; l’art. 14 prevede che «Costituisce “cessione di beni” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario». È disposto dall’art. 24 che le prestazioni di servizi consistono in ogni operazione che non costituisce una cessione di beni, e precisa all’art. 25 che possono costituire prestazioni di servizi le cessioni di beni immateriali, siano essi rappresentati da titoli o meno. Dunque, le prestazioni di servizi consistenti la cessione di criptovalute (beni immateriali) contro denaro costituiscono attività rilevanti a fini IVA, e non ricadono altresì nel novero dei servizi forniti per via elettronica di cui all’art. 56, §1, lettera k) della direttiva. Alcune operazioni sono esentate da IVA, e sono quelle indicate nell’art. 135 comma 1; verranno elencate le fattispecie rilevanti ai fini della trattazione: d) le operazioni, compresa la negoziazione, relative ai depositi di fondi, ai conti correnti, ai pagamenti, ai giroconti, ai crediti, agli assegni e ad altri effetti commerciali, ad eccezione del ricupero dei crediti; e) le operazioni, compresa la negoziazione, relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio, ad eccezione delle monete e dei biglietti da collezione ossia monete d'oro, d'argento o di altro metallo e biglietti che non sono normalmente utilizzati per il loro valore liberatorio o presentano un interesse per i numismatici; f) le operazioni, compresa la negoziazione ma eccettuate la custodia e la gestione, relative ad azioni, quote parti di società o associazioni, obbligazioni e altri titoli, ad esclusione dei titoli rappresentativi di merci e dei diritti o titoli di cui all'articolo 15, paragrafo 2. Oggetto della questione è se la cessione di criptovalute a titolo oneroso rientri o meno in una di queste categorie. A tal fine tuttavia bisogna ricostruire una lunga e complessa vicenda giuridica, che si procederà ad esporre nei prossimi pargrafi.

4.1. Il caso svedese- Mervärdesskatt: Handel med bitcoins

La commissione tributaria svedese con il parere reso il 14 ottobre 2013 (ref. 32-12/I)[45] relativa al commercio di bitcoin si è espressa in tale ambito a seguito di un interpello avente ad oggetto la questione se la compravendita di bitcoin con valuta avente corso legale fosse soggetta ad IVA.

Il contribuente, partendo dal principio dell’uso del bitcoin come mezzo scambio riteneva che le operazioni non fossero soggette ad IVA – in tal modo difatti i bitcoin sarebbero inutilizzabili come pseudo-moneta. Al contrario lo Skatteverket (amministrazione finanziaria svedese) sosteneva che nonostante il cambio tra bitcoin e valuta avente corso legale non implicasse alcuna attività di consumo, non essendo soggetto ad esenzione (non godendo della qualifica di moneta legale) dovesse rilevare ai fini fiscali. La Decisione parte dal presupposto che l’esenzione IVA deve rientrare nei casi dell’art. 135 comma 1, e dal principio statuito nella sentenza della Corte Europea C172/96 First National Bank of Chicago:[46] “Le operazioni di cambio, anche eseguite senza prelevare provvigioni o spese dirette, configurano prestazioni di servizi effettuate dietro corrispettivo. […] In particolare, le operazioni inter partes relative all'acquisto, da parte di una di queste, di un importo concordato in una valuta contro la vendita da parte della stessa all'altra parte di un importo concordato in un'altra valuta, nelle quali i due importi sono pagabili alla stessa data di valuta, e nell'ambito delle quali le parti si sono accordate (oralmente, elettronicamente o per iscritto) sulle valute, sugli importi acquistati e venduti, sull'identità delle parti che acquistano rispettivamente le valute di cui trattasi nonché sulla data di valuta, costituiscono prestazioni di servizi a titolo oneroso ai sensi dell'art. 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388/CEE (abrogata dalla direttiva 2006/112/CE).”, e al principio sancito dalla sentenza della Corte Europea della causa 7/78 Regina c E. G. Thompson,[47] la quale sancisce che nonostante vi siano dubbi sul fatto che nel caso di specie i Krugerrand possano essere considerati come mezzi legali di pagamento, sono comunque ritenuti equivalenti alla moneta nei mercati monetari dove questi circolano – e che tali mezzi di pagamento non possono essere considerati merci soggette agli artt. 30-37 del trattato CEE.

In assenza di definizione di moneta nella direttiva IVA, non appare contraddire l’impianto della stessa argomentare che nell’elenco vi si possano far rientrare anche i mezzi di pagamento. In particolare, la lettera e) dell’art. 135 della direttiva prevede l’eccezione delle “monete e i biglietti da collezione”, i quali, pur avendo chiaramente corso legale, non sono esenti da IVA in caso di cessione a titolo onoreso, sembra dunque che il requisito del corso legale non sia necessario per rientrare nel novero delle divise per le quali tale eccezione opera.

La commissione tributaria svedese, tenendo conto delle similarità tra bitcoin e moneta elettronica, del fatto che l’intermediazione di criptovalute opera secondo prinicipi analoghi a quelli dell’intermediazione finanziaria, ed infine del fatto che i bitcoin sono nati per essere un metodo di pagamento complementare e alternativo a quello previsto dalle leggi nazionali, ha statuito che le tranazioni di bitcoin debbano considerarsi rientranti nella fattispecie delineata dalla lettera e) dell’art. 135 comma 1, in armonia con la ratio che ispira tali deroghe, ossia il non creare procedure eccessivamente complesse per l’applicazione dell’IVA all’ambito degli strumenti finanziari. A tal proposito, è operazione materialmente impossibile, senza l’ausilio di strumenti ad hoc che raramente vengono forniti da siti di exchange, tenere traccia di ogni singola transazione effettuata con le criptovalute; elaborare una tale mole di dati comporterebbe un notevolissimo dispendio di energie per il privato, e ciò comporterebbe altresi un disagio di esponenziale portata per il prestatore di servizi.

Tale parere è stato impugnato dall’amministrazione finanziaria svedese davanti alla Corte Suprema Amministrativa Svedese (Högsta förvaltningsdomstole), che ha deciso la controversia a seguito di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia Europea con Case 7101-13 del 27 maggio 2014

4.2. Sentenza delle Corte di Giustizia del 22 ottobre 2015, causa C-264/14

La sentenza della Corte di Giustizia del 22 ottobre 2015,[48] dopo aver ripreso le disposizioni della direttiva IVA rilevanti già esaminate nel punto 4 di questo paragrafo, procede con la disamina della normativa svedese: 1) La legge (1994:200), relativa all’imposta sul valore aggiunto [mervärdesskattelagen (1994:200); in prosieguo: la «legge sull’IVA»], prevede, al capo 1, articolo 1, che l’IVA viene versata allo Stato per le cessioni di beni o le prestazioni di servizi soggette all’imposta, effettuate da un soggetto passivo che agisce in quanto tale; 2) Ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, del capo 3 di questa legge sono esenti da IVA le operazioni relative a banconote e monete con valore liberatorio, ad eccezione degli oggetti da collezione, ossia monete d’oro, d’argento o di altro metallo e biglietti che non sono normalmente utilizzati per il loro valore liberatorio o presentano un interesse per i numismatici; 3) Nello stesso capo 3, l’articolo 9 prevede l’esenzione delle prestazioni di servizi bancari e di finanziamento nonché le operazioni di cambio di beni mobili e le operazioni analoghe. I servizi bancari e di finanziamento non comprendono l’attività notarile, i servizi di riscossione di fatture e i servizi amministrativi relativi al factoring o la locazione delle cassette di sicurezza.

Le questioni pregiudiziali sottoposte alla corte sono due:

  1. Se l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che le operazioni indicate come cambio di valuta virtuale contro valuta tradizionale e viceversa, effettuato dietro un corrispettivo che il fornitore della prestazione integra all’atto della determinazione dei tassi di cambio, costituiscono prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso.
  2. In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo 135, paragrafo 1, [di detta direttiva] debba essere interpretato nel senso che le operazioni di cambio sopra descritte sono esenti da imposizione».

In merito alla prima, innanzitutto viene ricordato il carattere oneroso di una prestazione di servizi (art. 2, paragrafo 1 lettera c) della Direttiva IVA) rileva solo se sussiste “solo se sussiste un nesso diretto fra il servizio prestato e il corrispettivo ricevuto dall’amministrato.[49] Tale nesso diretto risulta acclarato qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al beneficiario.”[50]

Nel caso di specie, consistendo l’attività dell’interpellante nell’intermediazione nello scambio tra valute aventi corso legale e bitcoin, la Corte ritiene che il requisito della effettività della connessione della controprestazione alla prestazione principale sia soddisfatto nel momento in cui entrambe le parti sia siano obbligate a cedere una determinata somma di una data valuta avente corso legale all’altra, per riceverne il controvalore in valuta virtuale, e viceversa; viene nuovamente richiamato che “risulta inconferente, ai fini della determinazione del carattere oneroso di una prestazione di servizi, il fatto che detta retribuzione non assuma la forma del versamento di una provvigione o del pagamento di spese specifiche (sentenza First National Bank of Chicago, C -172/96, EU:C:1998:354, punto 33)”. La Corte conclude asserendo che le operazioni di cambio di valuta tradizionale contro unità della valute virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte di pagamento di una somma corrispondente, rientrano nel novero delle fattispecie incluse nell’art. 2, paragrafo 1, lettera c) della Direttiva IVA.

In merito alla seconda questione, ossia se l’articolo 135, paragrafo 1, lettere da d) a f), della direttiva IVA, vada interpretato nel senso che sono esenti dall’IVA prestazioni di servizi, come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.

La Corte argomenta in limine litis che i casi previsti dall’art. 135 costituiscono “nozioni autonome del diritto dell’Unione, che mirano ad evitare divergenze nell’applicazione del sistema dell’IVA da uno Stato membro all’altro”, dunque meritevoli di interpretazione restrittiva, ma non tale da vuotare la norma del suo contenuto. Dopo aver esaminato la ratio delle esenzioni su citate, la Corte si esprima sulla natura giuridica del bitcoin, che viene definito come un “mezzo di pagamento contrattuale”, dunque non inquadrabile come conto corrente o deposito di fondi, un pagamento o versamento: in considerazione di ciò, le operazioni oggetto del procedimento principale non ricadono nelle esenzioni previste di tale disposizione.

Il discorso è differente in relazione alla esenzione prevista dalla lettera e), avente ad oggetto le operazioni relative, segnatamente, a divise, banconote o monete con valore liberatorio. A tal proposito la corte innanzitutto denota una incertezza sul significato letterale della norma dovuta alle diverse versioni linguistiche, in particolare se tale disposizione si applichi alle sole operazioni vertenti sulle valute tradizionali o se essa riguardi invece anche le operazioni relative ad altre valute. In presenza di tale incertezza linguistica, non ci si può limitare a un’interpretazione basata esclusivamente sul tenore testuale della norma, bensì si deve far riferimento al contesto in cui essa si inserisce, della finalità a del sistema della diretta IVA; in particolare l’esenzione della lettere e) è stata prevista per ovviare alle difficoltà collegate alla determinazione della base imponibile nonché dell’importo dell’IVA detraibile che sorgono nel contesto dell’imposizione delle operazioni finanziarie. L’ambito di applicazione diviene dubbio quando si esce dal contesto delle valute aventi corso legale: la Corte, tuttavia, argomenta che le operazioni relative a valute non aventi corso legale costituiscono a tutti gli effetti operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate delle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali, e non abbiano altre finalità oltre essere un mezzo di pagamento, e che dunque limitare l’ambito di applicazione dell’art. 135 lettera e) alle sole valute aventi corso legale significherebbe sopprimere ingiustificatamente parte degli effetti della norma.

Dunque, la Corte conclude che l’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva IVA disciplina anche le prestazioni di servizi quali cambio di valuta tradizionale contro unità di bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.

4.3. La posizione dell’Agenzia delle Entrate

La Risoluzione Ministeriale 72/E del 2016, emanata a seguito di interpello, specifica la posizione dell’Agenzia delle Entrate in merito al trattamento fiscale delle criptovalute. All’Agenzia sono stati richiesti chiarimenti in merito al trattamento applicabile alle operazioni di acquisto e vendita di moneta di virtuale eseguite professionalmente da parte di una società nei confronti della propria clientela, ai fini dell’IVA e di imposte dirette (Ires e Irap), e se, in relazione alla predetta attività, tale società sia soggetta agli adempimenti in qualità di sostituto d’imposta.

L’agenzia, riprendendo in toto il ragionamento effettuato dalla Corte di Giustizia, asserisce che l’attività di intermediazione di criptovalute svolta professionalmente debba essere considerata ai fini Iva quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell’articolo 10, primo comma n. 3) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.[51] Rilevano invece come elementi positivi o negativi ai fini Ires (e Irap) i guadagni e le perdite della società conseguite nell’esercizio dell’attività di intermediazione. Con riferimento ai bitcoin rimasti a fine esercizio nella disponibilità (a titolo di proprietà) della Società, l’Agenzia ritiene che gli stessi debbano essere valutati secondo il cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio ai sensi dell’art. 9 del TUIR, operando finanche una media delle quotazioni ufficiali rinvenibili sulle piattaforme online in cui avvengono le compravendite di bitcoin; infine viene estesa a coloro che intendono praticare professionalmente tale attività di intermediazione gli oneri di adeguata verifica della clientela, di registrazione nonché di segnalazione all’Uif (unità di informazione finanziaria) previsti dal d. Lgs. 231/2007.

Tale risoluzione si presta facilmente a critiche. Innanzitutto la disposizione dell’estensione Il riferimento all’art. 9 del TUIR denota un impianto interpretativo basato sulla considerazione delle criptovalute alla stregua di valute estere, quando i documenti di matrice comunitaria esaminati nel punto 4 di tale trattazione negano esplicitamente tale impianto; Al contrario, l’inquadramento proposto dall’AdE comporta, ai sensi dell’art. 67 lettera c-ter), che sono redditi diversi di capitale le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di valute estere – ciò va interpretato in combinato con il comma 1-ter del medesimo articolo, che sancisce la tassazione delle plusvalenze realizzate a fronte di prelievi di valuta solo a condizione che la giacenza complessiva, nell’anno solare, di tutti i depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.[52]

L’estensione della normativa dei cambiavalute agli intermediari di criptovalute è confluita sostanzialmente nella creazione della figura del cambiavalute virtuali nella V direttiva antiriciclaggio, il quale è soggetto agli stessi obblighi.

L’interpello 956-39/2018 della Direzione Regionale della Lombardia ribadisce, stavolta esplicitamente, la piena equiparazione secondo tale amministrazione delle valute virtuali alle valute estere, in piena contraddizione con quanto statuito dalla V direttiva antiriciclaggio, la sentenza c-264/14 della Corte di Giustizia, e perfino lo stesso il d. lgs. 90/2017. Lo scopo dell’interpello è precisare che quanto detto nella Ris. Min. 72/E si applica anche alle persone fisiche non esercenti attività di impresa: ogni prelievo da wallet, deposito o comunque denominato (tutte le cessioni a pronti) rileva a fini fiscali se viene soddisfatta la condizione prevista dal comma 1-ter dell’art. 67 del TUIR – nonostante ciò vi sono dubbi innanzitutto sul fatto che i wallet siano categorizzabili come depositi, e nel caso di wallet le cui chiavi crittografiche siano detenute esclusivamente da terzi, a chi deve essere imputata la titolarità delle criptovalute ivi contenute. Oltretutto lo sforzo di ricostruzione della propria intera cronologia di transazioni in criptovalute comporterebbe uno sforzo immane per l’utente, dovendo essere altresì un onere posto a carico degli esercenti di servizi di exchange; tuttavia ad oggi esistono ben pochi exchange che permettono di estrapolare tali dati in maniera agevole, né esistono disposizioni che impongono a tali soggetti l’obbligo di offrire in maniera agevole tali servizi contabili agli utenti. Infine, la considerazione del valore medio ufficiale della criptovaluta al termine dell’esercizio ai fini dell’applicazione dell’art. 9 del TUIR rivela un approccio semplicistico, se non approssimativo al mercato delle criptovalute: essendo queste decentralizzate, non esiste un’autorità o un soggetto in grado di garantire in maniera ufficiale il prezzo della criptovaluta in un dato giorno. Lo stesso concetto di media dei prezzi è invero una soluzione ingenua che denota superficialità nella regolamentazione di tale nuovo bene. Elencando alcuni dei problemi che tale impostazione fa emergere, innanzitutto vi sono sostanziali differenze di prezzo di centinaia se non migliaia di euro tra i prezzi della stessa criptovalute in differenti exchange; gli exchange sono di proprietà di privati, e un elemento (il prezzo del bitcoin in un dato giorno) che si riflette su tutti i partecipanti al mercato in modo così significativo a livello fiscale non può essere soggetto al rischio di manipolazioni da parte di soggetti privati per il perseguimento di propri vantaggi personali.

Può essere utile per capire la contraddittorietà del quadro tracciato dall’AdE il seguente esempio:[53] ipotizzando l’esistenza di un soggetto A detentore di 5000 ether da gennaio (valore ETH: 7€ circa), qualora questo a dicembre decidesse di venderli al prezzo di mercato, ossia circa 700€ l’uno, realizzerebbe un guadagno di € 3.500.000, la cui plusvalenza non sarebbe imponibile, in quanto l’art. 67 comma 1-ter del TUIR fa riferimento al cambio di inizio periodo secondo il principio LIFO[54] (Last In First Out), e la relativa valutazione sarebbe inferiore alla soglia di 51.645,69€. Al contrario, un detentore di 5 bitcoin, con valore inferiore agli 800€ per unità al 10 gennaio, che intenda venderli a dicembre per acquistare tether (USDT)[55] con valore per unità di bitcoin di oltre 15.000€, incasserebbe 75.000 USDT pari a poco meno di 65.000 euro, i quali sarebbero dunque imponibili essendo superiori alla soglia del comma 1-ter. Dunque, quest’ultima operazione, di importo nettamente inferiore alla prima e non consistente in una conversione in valuta avente corso legale farebbe sorgere oneri fiscali in capo al soggetto che la pone in essere, mentre il primo, pur realizzando una concreta plusvalenza dell’ordine di milioni di euro, non sarebbe astrattamente soggetto a tali oneri. Tale esempio dimostra come l’applicazione delle risoluzioni dell’AdE porterebbe a risultati contraddittori e palesemente iniqui, in spregio dei principi costituzionali in materia tributaria di capacità contributiva e progressività (art. 53 Cost.).

Infine, è doveroso discorrere sul valore giuridico di tali affermazioni dell’ente nostrano, apparente neo nel quadro normativo coerente che si sta tessendo a livello comunitario e nazionale.

Come recentemente ribadito dalla sentenza 6185/2017 della V sezione della Cassazione,[56] le circolari e risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate non vincolano il giudice, in quanto riconoscere in capo all’ente potere normativo sarebbe in contrasto con il principio di riserva di legge dell’art. 23 della Costituzione. Il principio era già stato espresso nella sentenza 23031/2007, la quale ha ricordato che gli atti interpretativi della legge tributaria, non avendo efficacia normativa esterna, “non possono essere annoverati tra gli atti generali di imposizione, impugnabili innanzi al giudice amministrativo, in via di azione, o disapplicabili dal giudice tributario od ordinario, in via incidentale. Il che rileva, in primo luogo, sul piano generale, perché le circolari, come è stato affermato dalla dottrina prevalente, non possono né contenere disposizioni derogative di norme di legge, né essere considerate alla stregua di norme regolamentari vere e proprie, che, come tali vincolano tutti i soggetti dell'ordinamento; le circolari sono dotate di efficacia esclusivamente interna nell'ambito dell'Amministrazione dalla quale sono emesse”. La non vincolatività nei confronti del contribuente è statuita nella sentenza 21872/2016 della Cassazione, che ha specificato che le circolari, anche qualora contengano un ordine diretto agli uffici subordinati di uniformarsi, non vincola né i giudici né i contribuenti, né costituisce fonte del diritto.

L’istituto dell’interpello, introdotto dal d. Lgs. 156/2015, permette all’Agenzia dell’Entrate di fornire la propria interpretazione o soluzione ad un quesito tributario – tale risposta dell’ente è legalmente non vincolante, ma, qualora venga disattesa, potrebbe portare all’instaurazione di un giudizio da parte dell’ente contro il contribuente, con esiti presumibilmente negativi. L’interpello dovrebbe altresì porre al riparo il contribuente da futuri accertamenti, ma, non avendo gli atti dell’AdE valore di interpretazione autentica, figurarsi efficacia normativa, non è mai esclusa, in caso di obbedienza a quanto statuito da un interpello, la possibilità di condanna del contribuente in sede di contenzioso, in quanto l’unica fonte normativa vincolante rimane la legge.

Peraltro, il provvedimento 185630/2018 emanato ad agosto 2018 dal direttore dell’AdE Ernesto Maria Ruffini prevede la raccolta generalizzata e in forma anonima delle risposte agli interpelli dell’agenzia, in modo da uniformare e rendere conoscibile la prassi dell’ente.

4.5. Approfondimento sulle ICO dal punto di vista giuridico e fiscale

La risposta dell’Agenzia delle Entrante all’interpello 903-47/2018 assimila tutte le ICO alle valute estere, cui dunque si applica lo stesso regime delle criptovalute. Tuttavia, tale assimilazione non rende giustizia al fenomeno delle ICO, la cui esenzione IVA potrebbe operare anche sulla base della lettera g) dell’art. 135 comma 1 della direttiva IVA, ossia l’esenzione prevista per “la gestione di fondi comuni d'investimento quali sono definiti dagli Stati membri” opera per le ICO. “Il DAO” ad oggi rimane l’esempio più calzante di fondo di investimento comune in criptovalute, che, come già si è visto, pur essendo stato effettuato in criptovalute rimane ben qualificabile come investimento, non essendo quello del conferimento in denaro un requisito strettamente necessario. Tale posizione, seppur di matrice statunitense (vedi punto 3.2.4.), non sembra contraddire nei suoi principi ispiratori la normativa europea. Difatti, l’Autorità Europea delle Security e il Mercato (ESMA) in un comunicato ufficiale del 13 novembre 2017[57] ha specificato come alcune ICO possano avere caratteristiche tali da farle ricadere in ambiti regolati dal diritto comunitario, come ad esempio l’offerta di servizi come ad esempio il “piazzamento, la negoziazione o consulenza in riferimento a strumenti finanziari”. In tali casi si ritiene debba essere applicata la Prospectus Directive 2003/71/CE,[58] relativa al prospetto da pubblica per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari, in particolare gli obblighi informativi posti a carico delle imprese. A seconda di come l’offerta sia strutturata, i token potrebbero ricadere nella definizione di security trasferibile, e la pubblicazione del relativo prospetto sarebbe dunque soggetta all’approvazione da parte delle autorità competenti. Altresì l’ESMA argomenta che se i token di una ICO venissero categorizzati come strumenti finanziari, il processo di emissione e distribuzione dei token potrebbe ricadere nell’ambito di applicazione della direttiva MiFID 2004/39/CE (abrogata dalla direttiva MiFID II 2014/65/EU) sull’armonizzazione del mercato finanziario in Europa; peraltro l’ESMA, ai sensi della direttiva MiFID II, è intervenuta a fine marzo 2018 restringendo come misura temporanea il mercato dei contratti derivati CFD (contract for differences), compresi quelli che utilizzano criptovalute.[59] Infine, le ICO potrebbero ricadere, a seconda delle peculiarità della loro struttura, nella definizione di “fondo di investimento alternativo”, soggetto alle norme della direttiva AIFMD 2011/61/EU,[60] che specifica le norme da applicarsi per le autorizzazioni, operazioni in corso e per la trasparenza da parte dei gestori di fondi di investimento alternativi. Il rapporto fa infine riferimento alla IV direttiva antiriciclaggio, si è tuttavia visto nei primi paragrafi come la V direttiva sia espressamente applicabile anche nei confronti dei soggetti coinvolti in determinate operazioni concernenti le valute virtuali.

È utile soffermarsi a tal proposito su alcuni provvedimenti adottati dalla Consob in tale ambito.

Il 1° febbraio 2017 con Delibera n. 19866[61] l’autorità ha sospeso per un periodo di 90 giorni l’attività pubblicitaria riguardante la vendita di “pacchetti di estrazione di criptovalute” da parte della Coinspace Ltd., effettuata tramite il sito internet www.coinspace1.com. La società Coinspace Ltd. difatti aveva pubblicizzato tale offerta al pubblico promettendo profitti; anche di oltre il 50% della cifra investita. L’autorità ha connotato tali pacchetti come “prodotto finanziario sub specie di investimento di natura finanziaria”, sussistendo i requisiti di: (i) impiego di capitale; (ii) aspettativa di rendimento di natura finanziaria; (iii) assunzione di un rischio connesso all'impiego di capitale. Dopo aver accertato la mancata pubblicazione del prospetto relativo a tale attività pubblicitaria, la Consob ha rilevato la violazione dell’art. 101, comma 2, del TUF,[62] ed ha conseguentemente adottato le misure cautelari limitative dell’attività pubblicitaria ai sensi dell’art. 101, comma 4, lett. b).[63]

Con successiva delibera n. 19968[64] del 20 aprile 2017 tale sospensione temporanea, ai sensi dell’art 101, comma 4, lett. c) del TUF, è stata convertita in divieto espressione di continuazione dell’attività pubblicitaria effettuata tramite il sito www.coinspace1.com, dal quale la società Coinspace Ltd si è dissociata, sostenendo di non aver mai autorizzato tale soggetto, peraltro ancora non identificato, ad esercitare tale attività pubblicitaria.

Con la delibera n. 20207[65] del 6 dicembre 2017 la Consob ha statuito che l’offerta, da parte della società Cryp Trade Capital con sede ad Alicante e Glasgow, mediante il sito web https://cryp.trade, di “portafogli di investimento”, cui è collegata la promessa di rendimenti mensili compresi tra il 17,7% e il 29,7% del capitale investito, è qualificabile come “offerta al pubblico di prodotti finanziari”, definita dall’art 1, lett. t) del TUF come “ogni comunicazione rivolta a persone, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, che presenti sufficienti informazioni sulle condizioni dell'offerta e dei prodotti finanziari offerti così da mettere un investitore in grado di decidere di acquistare o di sottoscrivere tali prodotti finanziari, incluso il collocamento tramite soggetti abilitati” – dopo aver accertato che l’attività soddisfa i requisiti dell’articolo anzi citato, che la stessa sia qualificabile come offerta al pubblico rivolta anche al pubblico residente in Italia, e considerata la sussistenza dei tre requisiti affinché questa possa essere definita investimento di natura finanziaria, la Consob conclude asserendo che l'attività posta in essere da Cryp Trade Capital presenta le caratteristiche di un'offerta al pubblico di prodotti finanziari, in relazione alla quale è stato violato l’obbligo di preventiva comunicazione e approvazione da parte dell’autorità ai sensi degli artt. 100 del TUF e 34-ter del Regolamento Consob n. 11971/98. Dunque la Consob, esercitando le facoltà attribuitele dall’art. 99, comma 1, lett. d) del TUF, ha proceduto a vietare l’attività di offerta al pubblico residente in Italia effettuata dalla società Cryp Trade Capital.

 


                [1] https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/virtualcurrencyschemes201210en.pdf
 


                [2] Art. 55, lett. h-ter della L. n. 39 del 1 marzo 2002, attuativa della Direttiva 2000/46/CE
 


                [3] Come Kraken, o Coinbase.
 


                [4] Un exchange che offre la possibilità di acquistare criptovalute pagandole in Euro o Dollari è Kraken. Un exchange che permette solo di acquistare criptovalute con altre criptovalute è Bittrex.
 


                [5] https://www.eba.europa.eu/documents/10180/657547/EBA-Op-2014-08+Opinion+on+Virtual+Currencies.pdf
 


                [6] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/TXT/HTML/?uri=CELEX:32015L0849
 


                [7] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/06/19/17G00104/sg
 


                [8] Art. 1: providers engaged primarily and professionally in exchange services between virtual currencies and fiat currencies (Exchangers); 'virtual currencies' means a digital representation of value that is neither issued by a central bank or a public authority, nor necessarily attached to a fiat currency, but is accepted by natural or legal persons as a means of payment and can be transferred, stored or traded electronically." http://www.europarl.europa.eu/RegData/docs_autres_institutions/commission_europeenne/com/2016/0450/COM_COM(2016)0450_EN.pdf
  

                [9] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32018L0843&from=IT
 


                [10] Moneta Elettronica: il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso dietro ricevimento di fondi per effettuare operazioni di pagamento ai sensi dell’articolo 4, punto 5), della direttiva 2007/64/CE e che sia accettato da persone fisiche o giuridiche diverse dall’emittente di moneta elettronica.
https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2009:267:0007:0017:it:PDF


               
[11] Art. 18, comma 5, del TUIF: “è fatta salva la possibilità per il Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato sentite la Banca d'Italia e la Consob, di individuare nuove categorie di strumenti finanziari, nuovi servizi e attività di investimento e nuovi servizi accessori, indicando quali soggetti sottoposti a forme di vigilanza prudenziale possono esercitare i nuovi servizi e attività.”


               
[12] Il Tribunale fa salve diverse ricostruzioni giuridiche del caso di specie in una nota alla sentenza: «Laddove non si ritenga addirittura - in guisa della clausola di salvezza dell'art. 67 bis del Codice del Consumo ("omissis..., fatte salve, ove non espressamente derogate, le disposizioni in materia bancaria, finanziaria, assicurativa, dei sistemi di pagamento e di previdenza individuale, nonché le competenze delle autorità di settore") - la sussistenza della fattispecie dell'"offerta al pubblico di prodotti finanziari" descritta dall'art.1, lett. t) e u)del d.lvo 24.2.1998 n.58, ovvero ancora di quella dei "servizi e attività di investimento" in "valori mobiliari" ex art.1 bis, comma primo, lett. c) d), nonchè comma quinto, lett. a), del d.lvo n.58 cit., avendosi riguardo a negoziazione per conto proprio di "qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permette di acquistare o di vendere i valori mobiliari indicati alle precedenti lettere" (N.d.E. azioni e altri titoli equivalenti di società, di partnership etc.) ovvero di "qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure" (il pensiero corre alla prospettata facoltà di conversione successiva dei bitcoin in valuta reale). Si avrebbe, così, la nullità delle relative transazioni tra le odierne parti in quanto poste in essere senza il rispetto della forma scritta "ad substantiam" contemplata dall'art.23 TUE, senza che possa giovare l'esonero di cui al successivo art. 50-quinquies, in difetto di prova della sussistenza dei presupposti legittimanti ivi descritti. Si preferisce, tuttavia, nel rispetto dei principi sottesi all'art. 101 c.p.c., restare saldamente legati al tema consumeristico in quanto maggiormente aderente a quello principalmente dibattuto in causa.»
 


               
[13] L’ACPR è un organo amministrativo indipendente deputato al controllo dell’attività delle banche e delle società di assicurazione in Francia.


[14] https://acpr.banque-france.fr/sites/default/files/20140101_acpr_position_bitcoin.pdf


               
[15] https://publications.banque-france.fr/sites/default/files/medias/documents/focus-16_2018_03_05_fr.pdf

               
[16] La FinCEN svolge funzioni di controllo e di regolamentazione del sistema finanziario statunitense, anche con attività volte alla repressione di reati in ambito finanziario.


               
[17] https://www.fincen.gov/sites/default/files/shared/FIN-2013-G001.pdf


               
[18] https://www.fincen.gov/sites/default/files/administrative_ruling/FIN-2014-R011.pdf


               
[19] https://www.fincen.gov/sites/default/files/administrative_ruling/FIN-2014-R012.pdf


               
[20] https://www.irs.gov/pub/irs-drop/n-14-21.pdf


[21] I capital assets, categoria residuale nell’Internal Revenue Code § 1221, ricomprendono di norma tutti i beni del patrimonio del soggetto sottoposto a tassazione, sia connessi alla propria attività personale, sia professionale. I non-capital assets sono i beni che non ricadono nella categoria precedente, tra cui i beni mobili facenti parte del magazzino (inventory), i beni mobili destinati all’uso personale del soggetto e della propria famiglia e la proprietà intellettuale creata mediante i propri sforzi personali.

               
[22] Notice 2014-21 at Q-8. Dall’attività di mining può derivare un’entrata qualificabile come ordinaria anche interpretando analogicamente la sentenza Prichard v. Helvering, 310 U.S. 404 (1940), secondo la quale l’attività di estrazione di roccia o olio dalla terra è un’attività che genera redditi ordinari.


               
[23] https://www.treasury.gov/tigta/auditreports/2016reports/201630083fr.pdf

               
[24] https://www.cftc.gov/sites/default/files/idc/groups/public/@lrenforcementactions/documents/legalpleading/enfcoinfliprorder09172015.pdf


               
[25] https://legcounsel.house.gov/Comps/Commodity%20Exchange%20Act.pd

                
[26] https://www.cftc.gov/sites/default/files/idc/groups/public/@lrenforcementactions/documents/legalpleading/enfcdmcomplaint011818.pdf


               
[27] https://www.sec.gov/litigation/investreport/34-81207.pdf


               
[28] Gli smart contract sono contratti virtuali che automaticamente vengono risolti o perfezionati all’avverarsi di condizioni, la cui verifica viene effettuata automaticamente da software creati per questo scopo.


               
[29] Criptovaluta basata sulla blockchain ethereum https://www.ethereum.org/


               
[30] http://legcounsel.house.gov/Comps/Securities%20Act%20Of%201933.pdf


               
[31] Vedi SEC v. Edwards, 540 U.S. 389, 393 (2004); SEC v. W.J. Howey Co., 328 U.S. 293, 301 (1946); in particolare United Housing Found., Inc. v. Forman, 421 U.S. 837, 852-53 (1975): “Il criterio discretivo per determinare la presenza di un contratto di investimento è la presenza di un investimento in un progetto comune effettuato con una ragionevole aspettativa di profitto derivante dallo sforzo imprenditoriale e di gestione da parte di terzi.”


               
[32] Uselton v. Comm. Lovelace Motor Freight, Inc., 940 F.2d 564, 574 (10th Cir. 1991), “Nonostante il riferimento di Howey’s all’”investimento di denaro”, è pacifico che il denaro non costituisce l’unica forma di contributo di investimento che determina un contratto di investimento.”


               
[33] SEC v. Glenn W. Turner Enters., Inc., 474 F.2d 476, 482 (9th Cir. 1973) “gli sforzi di terzi diversi dagli investitori debbono essere innegabilmente significativi, tali da determinare il successo o il fallimento dell’attività di impresa.”


               
[34] https://www.sec.gov/news/public-statement/statement-clayton-2017-12-11


               
[35] https://www.sec.gov/news/speech/speech-hinman-061418


               
[36] Gli ETF, Exchange Traded Funds, sottocategoria degli ETP, Exchange Traded Products, sono prodotti a indice quotati usati quali mezzo di investimento: vengono negoziati in borsa al pari delle azioni, e hanno lo scopo di replicare l’indice al quale si riferisce mediante una gestione totalmente passiva.


               
[37] https://www.sec.gov/rules/other/2018/34-83723.pdf


               
[38] https://www.sec.gov/rules/sro/batsbzx/2017/34-80206.pdf

               
[39] «The Commission believes that, in order to meet this standard, an exchange that lists and trades shares of commodity-trust exchange-traded products ("ETPs") must, in addition to other applicable requirements, satisfy two requirements that are dispositive in this matter. First, the exchange must have surveillance-sharing agreements with significant markets for trading the underlying commodity or derivatives on that commodity. And second, those markets must be regulated.». A tal proposito, l’exchange non aveva predisposto accordi di surveillance-sharing con mercati di bitcoin significativi e regolamentati, e la SEC ha constato la conseguente non ottemperanza alle norme dell’Exchange Act dunque rigettando la proposta.

               
[41] https://scholar.1d5920f4b44b27a802bd77c4f0536f5a-gdprlock/scholar_case?case=3492231419542463590&hl=en&as_sdt=6&as_vis=1&oi=scholarr

                
[42] “Here, Defendants violated Sections 5(a) and 5(c) because there was no registration statement filed or in effect as to the BCTST securities offered and sold over the Internet.”


               
[43] https://www.bafin.de/SharedDocs/Veroeffentlichungen/DE/Fachartikel/2014/fa_bj_1401_bitcoins.html


               
[44] Per una trattazione esaustiva sul trattamento fiscale delle criptovalute in europa e nel mondo vedere “Criptovalute e bitcoin: un'analisi giuridica”, S. Capaccioli, Giuffrè, 2015


               
[45] https://skatterattsnamnden.se/skatterattsnamnden/forhandsbesked/arkiv/2013/forhandsbesked2013/mervardesskatthandelmedbitcoins.5.46ae6b26141980f1e2d29d9.html


               
[46] http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30dbdb73b311d80343a39f7dd4ae043800b7.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxuLc390?text=&docid=101056&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=942934


               
[47] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A61978CJ0007#SM

[48]
            http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=170305&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=1025134

[49]
                Vedi sentenze Loyalty Management UK e Baxi Group, C 53/09 e C55/09, EU:C:2010:590, punto 51 nonché la giurisprudenza ivi richiamata, e Serebryannay vek, C283/12, EU:C:2013:599, punto 37


               
[50] Vedi sentenza Le Rayon d’Or, C151/13, EU:C:2014:185, punto 29 e giurisprudenza ivi richiamata


               
[51] “Sono esenti dall’imposta: 3) le operazioni relative a valute estere aventi corso legale e a crediti in valute estere, eccettuati i biglietti e le monete da collezione e comprese le operazioni di copertura dei rischi di cambio;


               
[52] Vedi anche Ris. Min. 67/E del 6 luglio 2010


               
[53] Esempio ispirato a quello riportato in http://www.mysolution.it/fisco/approfondimenti/commenti/2018/05/equiparare-le-valute-virtuali-alle-valute-estere-i-chiarimenti-dell-agenzia-delle-entrate-burlone/ di Paolo Luigi Barlone


               
[54] Vedi risposta ad interpello DRE Liguria n. 903-47/2018; ivi viene altresì specificato che le plusvalenze sorte da transazioni in valute virtuale devono essere assimilate con i redditi di cui all’art 67. comma 1 lettera c-ter) e comma 1-ter del TUIR, assoggettate a imposta sostitutiva del 26%


               
[55] Gli USDT sono una particolare criptovaluta, creata per avere un cambio equivalente al dollaro americano in ogni momento.


               
[56] “Le istruzioni impartite dall'amministrazione operano nei confronti dei verificatori in fase accertativa, ma non possono "influenzare il giudizio di legittimità dell'azione accertatrice, allorché sia sfociata in un atto formale di contestazione, rendendosi di fronte ad essa applicabili le sole norme di legge" (Cass., Sez. 5, 27 maggio 2015, n. 10915).”


               
[57] https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/esma50-157-828_ico_statement_firms.pdf


[58] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32003L0071


               
[59] I limiti posti in essere sono: limiti di leva sull’apertura di un CFD da 30:1 a 2:1 a seconda della tipologia di sottostante, e nel caso delle criptovalute il rapporto è proprio 2:1, a dimostrazione della rischiosità di tale asset.

               
[60] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32011L0061


               
[61] http://www.consob.it/web/area-pubblica/bollettino/documenti/hide/cautelari/soll/d19866.htm


               
[62] “Prima della pubblicazione del prospetto è vietata la diffusione di qualsiasi annuncio pubblicitario riguardante offerte al pubblico di prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari comunitari”


               
[63] Ricostruzione analoga è stata condotta dalla CONSOB con la delibera n. 20414 del 24 aprile 2018 http://www.consob.it/it/web/area-pubblica/bollettino/documenti/hide/interdittivi/divieto/2018/d20414.htm?hkeywords=&docid=2&page=0&hits=25&nav=false


               
[64] http://www.consob.it/web/area-pubblica/bollettino/documenti/hide/interdittivi/divieto/2017/d19968.htm


               
[65] http://www.consob.it/web/area-pubblica/bollettino/documenti/hide/interdittivi/divieto/2017/d20207.htm