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Corte di giustizia dell’Unione europea e tutela del diritto d’autore sulle piattaforme Facebook, Instagram, LinkedIn

Scritto da Francesca Grandolini

Con la sentenza 401/2019 la Corte di giustizia dell’Unione europea sancisce in modo definitivo il regime di responsabilità dei fornitori di servizi online, alla luce della nuova disciplina importata dalla direttiva 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale.

Tale intervento legislativo è risultato necessario in virtù della sempre maggiore complessità assunta dal funzionamento del sistema dei contenuti online, il quale negli ultimi anni ha visto implementarsi l’utilizzo dei servizi di condivisione, così come le possibilità di accesso alle opere culturali e creative; se da un lato ciò ha permesso lo sviluppo di nuovi modelli di business, nonché la disponibilità di ingenti quantità di informazioni, dall’altro si pongono problematiche relative al diritto d’autore dei titolari dei contenuti caricati.

Come rilevato dal Considerando 66, poiché “i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online danno accesso a contenuti che non sono caricati da loro stessi bensì dai loro utenti, è opportuno prevedere un meccanismo specifico di responsabilità ai fini della presente direttiva per i casi in cui non sia stata concessa alcuna autorizzazione.”

La pronuncia in esame trae origine dal ricorso, in via principale, presentato dalla Repubblica di Polonia e dalla relativa richiesta di annullamento delle lettere b) e c), in fine, dell’articolo 17, paragrafo 4, della direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019. La stessa deduce come unico motivo di doglianza la violazione del diritto alla libertà di espressione e di informazione, garantito dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

In via preliminare, si devono considerare le modifiche apportate da tale disciplina rispetto il regime di responsabilità previsto dall’articolo 3 della direttiva 2001/29, nonché dall’articolo 14 della direttiva 2000/31. Infatti la previgente normativa poneva l’accento sul ruolo del gestore, quale contributo, al di là della mera messa a disposizione della piattaforma, a dare accesso ai contenuti in violazione del diritto d’autore. Dunque non si poneva una responsabilità in via generale, bensì presupposto necessario era un’attività comunque agevolativa dell’illecito, anche se di mera astensione rispetto la conoscenza dello stesso. In quest’ottica ipotesi di esonero potevano prendersi in considerazione solo in virtù di un comportamento neutrale, “tecnico, automatico o passivo”.

I Considerando 61 e 66 della direttiva 2019/790 mettono in luce l’urgenza di una presa di posizione del legislatore, dati i mutamenti tecnologici e sociali caratterizzanti l’attuale mercato digitale. In primo luogo, dato lo scopo dei fornitori di dare accesso a grandi quantità di opere protette caricate dagli utenti, promosse e organizzate a scopo di lucro, risulta essenziale incentivare lo sviluppo di accordi di licenza tra i titolari di diritti e i prestatori di servizi. Secondo la medesima direttiva gli stessi “dovrebbero essere equi e mantenere un equilibrio ragionevole tra entrambe le parti … tuttavia, poiché tali disposizioni non dovrebbero incidere sulla libertà contrattuale, i titolari dei diritti non dovrebbero essere obbligati”.

In secondo luogo, in virtù della potenza informativa dei servizi di condivisione non era possibile non prevedere uno specifico meccanismo di responsabilità nei casi in cui non fosse concessa alcuna autorizzazione. Di ciò nello specifico si occupa  l’articolo 17 paragrafo 4, per cui la responsabilità sorge in modo automatico in capo ai gestori, ai quali viene attribuito l’onere di compiere i massimi sforzi, da un lato, “per assicurare che non siano disponibili opere e altri materiali specifici per i quali abbiano ricevuto le informazioni pertinenti e necessarie dai titolari dei diritti”; dall’altro “per impedire che i contenuti protetti oggetto di una segnalazione sufficientemente motivata da parte di tali titolari siano caricati in futuro”.

Da tale innovazione legislativa ha tratto origine il ricorso da parte della Repubblica di Polonia, la quale ha evidenziato come l’obbligo “di compiere i massimi sforzi” limiterebbe l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e d’informazione degli utenti di tali servizi, garantito all’articolo 11 della Carta.

In via preliminare dobbiamo ricordare come sia innegabile che la condivisione di informazioni su Internet rientri nella tutela offerta dall’assetto europeo, nonché dagli articoli 10 e 11 della CEDU. Nella giurisprudenza della Corte di giustizia si è ripetutamente chiarito come “i siti Internet, e in particolare le piattaforme di condivisione di contenuti online, grazie alla loro accessibilità e alla loro capacità di conservare e di diffondere grandi quantità di dati, contribuiscono notevolmente a migliorare l’accesso del pubblico all’attualità e, in via generale, ad agevolare la comunicazione delle informazioni; la possibilità, per i singoli individui, di esprimersi su Internet costituisce uno strumento senza precedenti per esercitare la libertà di espressione”.  

Nel caso di specie, una volta ricevute le informazioni adeguate dai titolari, i fornitori sono in concreto tenuti a un controllo preventivo, oltre alla predisposizione di  strumenti automatici di riconoscimento e filtraggio, con il rischio che gli stessi contenuti perdano il loro valore comunicativo ancor prima della diffusione. Di conseguenza, da un lato si deve riconoscere come l’articolo 17 della suddetta direttiva comporti di fatto una restrizione al diritto di libertà di espressione e di informazione degli utenti; dall’altro occorre al contempo considerare l’articolo 52, paragrafo 1, della stessa Carta, il quale permette eventuali limitazioni, se previste dalla legge e rispettose del contenuto essenziale di detti diritti e libertà.

Di qui la Corte, nel respingere il ricorso presentato, giustifica la nuova disciplina come rispettosa del principio di proporzionalità e dei limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento dei fini legittimi perseguiti, presentandosi come la scelta meno restrittiva tra quelle plausibili. Infatti, ad oggi, in primo luogo vengono escluse le misure che bloccano i contenuti leciti all’atto di caricamento: si sostiene come un sistema che rischi di non distinguere tra questi e gli stessi illeciti, sia assolutamente incompatibile rispetto gli obiettivi della Carta e come “la questione della liceità di una trasmissione dipende anche dall’applicazione di eccezioni di legge al diritto d’autore che variano da uno Stato membro all’altro”. Infatti, al contempo si vuole che non venga pregiudicata l’applicazione di eventuali limitazioni, intese a garantire la libertà di espressione degli utenti, dando loro la possibilità di caricare contenuti per le specifiche finalità di citazione, critica, rassegna, caricatura, parodia o pastiche. Dunque se in passato tali eccezioni si ponevano come meramente facoltative, ad oggi risultano essere obbligatorie, con l’ulteriore onere per i fornitori di darne adeguata conoscenza agli utenti stessi; ciò si spiega nella continua ricerca di un equo bilanciamento dei diritti, che non deve ostacolare oltremodo la libertà delle arti, e il diritto di proprietà, inclusa la proprietà intellettuale.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 4, lettera b) e lettera c), in fine, della direttiva 2019/790 il regime di responsabilità è subordinato alla messa a disposizione delle informazioni necessarie da parte dei titolari dei diritti, senza cui i prestatori non potrebbero compiere i massimi sforzi per evitare che sui loro servizi siano disponibili contenuti non autorizzati, nel rispetto di elevati standard di diligenza professionale di settore. Da tale condizione preliminare si deduce come il legislatore abbia voluto dare un ruolo attivo ai titolari stessi, non permettendogli di tenere un comportamento passivo, ma al contrario richiedendogli una partecipazione affinché si possa effettivamente raggiungere un alto livello di protezione da cui trarre comuni benefici.

Dunque ulteriore corollario è l’esclusione a priori della possibilità di imporre un obbligo generale di sorveglianza, negandosi l’ipotesi di un controllo preventivo  che possa spingersi fino ad includere una valutazione autonoma da parte dei fornitori.

Alla luce di tale contesto legislativo è possibile affermare che, come la direttiva 2019/790 abbia importato limitazioni tangibili ai diritti e alle libertà di cui agli articoli 10 e 11 della CEDU, allo stesso tempo ciò non sia rimasto privo di cautele e garanzie, specie procedurali, ad esempio un meccanismo di reclamo e ricorso celere ed efficace, per sostenere gli usi leciti di opere o di altri oggetti protetti.

Come premessa alle sue conclusioni la stessa Corte ha ricordato come non risulti in alcun modo, né dalla stessa disposizione né dalla giurisprudenza, che il diritto di proprietà intellettuale, pur sancito all’articolo 17 paragrafo 2 della Carta, sia intangibile e che la sua tutela debba essere garantita in modo assoluto.

Di conseguenza nel caso di specie si rigetta l’idea per cui la richiesta di un controllo preventivo, nonché gli oneri che comporta, possano considerarsi limitazioni tout court, imposte in violazione delle libertà consacrate nell’ordinamento europeo. Dobbiamo sempre ricordare come l’assetto comunitario comporti la necessaria armonizzazione delle discipline nazionali, in virtù di valori e principi condivisi. Di qui la richiesta al legislatore di un continuo adeguamento, che possa essere rispettoso tanto dell’autonomia decisionale dei singoli Stati membri, tanto del contesto socio economico in cui si pone. Alla luce di ciò appare quanto mai necessario prendere consapevolezza di una vera e propria rivoluzione in atto a livello informatico, in virtù del ruolo sempre più preponderante che hanno assunto i mezzi di comunicazione online e, insieme, dei pericoli che questo comporta: la vera e propria sfida da accogliere è quella di una disciplina che possa incidere sul comportamento degli utenti e dei providers, tanto da poter ottenere una tutela effettiva della proprietà intellettuale, mai come oggi esposta a rischi. Allo stesso  tempo però, proprio per l’impatto che ciò determina sul mercato unico digitale, non bisogna eccedere fino ad impedire che di fatto la libertà di espressione sia ostacolata a causa del mezzo in cui si esplica.

La sfida è ardua, ma ad oggi, anche grazie alla direttiva 2019/790 e alla costante giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, si è posto un tassello ulteriore rispetto un regime di responsabilità che deve essere sempre più attento al contemperamento degli interessi.

Se tali problematiche risultano evidenti nel mondo del web 2.0, cosa ci aspetta nel prossimo futuro 3.0, in cui l’intelligenza artificiale sta già mettendo di nuovo tutto in discussione?