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L’interesse privato del curatore fallimentare nella previsione dell’art. 228 L.F.

Scritto da Filippo Giunchedi

1. La qualifica del curatore.
2. Questioni di legittimità costituzionale.
3. I reati del curatore e la previsione dell’art. 228.
4. La natura del reato.
5. L’oggetto materiale.
6. L’elemento oggettivo e la finalità della norma.
7. Il momento consumativo.
8. Il tentativo.
9. L’elemento soggettivo.
10. Il concorso di persone.
11. Il concorso di reati.

 

 1. Il primo aspetto da analizzare nell’illustrare la fattispecie in esame è quello che attiene alla natura del ruolo rivestito dal curatore nell’ambito della procedura fallimentare. L’art. 30 L.F. sembra aver fugato ogni dubbio in merito alla qualifica di pubblico ufficiale del curatore. Detta norma riprende e conferma le precedenti attribuzioni dettate dall’art. 2 L. 995/30. Tra la normativa del ’30 e la vigente disciplina del fallimento, si accentua una nozione di pubblico ufficiale maggiormente ancorata ad una concezione oggettiva: il concreto esercizio di una funzione pubblica attribuisce a chi la esercita la qualifica di pubblico ufficiale, e non il contrario. Oltretutto ogni dubbio in merito viene fugato, in via sistematica, dal tenore dell’art. 228 L.F. che esordisce con “salvo che al fatto non siano applicabili gli artt. 315, 317, 318, 319, 321, 322 e 323 del codice penale…(1).

Più specificatamente il curatore è organo del fallimento. Egli esercita una funzione nell’ambito dell’amministrazione della giustizia (2) che, secondo la dottrina, deve intendersi comprensiva sia dell’attività giurisdizionale in senso stretto sia delle attività strumentali all’amministrazione della giustizia. E’ quindi del tutto naturale individuare nel curatore un delegato privato dell’autorità giudiziaria, il cui ruolo preponderante è quello di assicurare il buon esito degli obiettivi cui è preordinata la funzione giurisdizionale liquidatoria concorsuale.

Pertanto le ragioni di una specifica previsione di un reato già previsto in termini più comuni nel codice penale, sono da ricercarsi esclusivamente nella necessità di intensificare la tutela penale, e non certo per colmare una lacuna del sistema delle incriminazioni.

 

 2. Con sentenza 7 dicembre 1994 n. 414 (3) la Corte Costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 228 in riferimento all’art. 3 Cost. sollevata con ordinanza 3 marzo 1994 del Tribunale di Monferrato (4), nella parte in cui continua ad assoggettare il curatore alla relativa sanzione alla quale non sono più sottoposti gli altri pubblici ufficiali per effetto dell’abrogazione dell’art. 324 c.p. con L. 86/90. La Suprema Corte ha rettamente sottolineato che con l’art. 228 L.F. il legislatore ha configurato in modo autonomo la fattispecie dell’interesse privato riferita al curatore, comminando, appunto, una pena detentiva maggiore nel minimo e nel massimo rispetto a quella dell’analogo reato già previsto dall’art. 324 c.p., con il non velato intento di attribuire specialità ad un connotato di maggior gravità al reato del curatore rispetto a quello generale riferito ai pubblici ufficiali. Sicché bisogna prendere atto che, ad avviso della Corte Costituzionale, il legislatore con la previsione dell’art. 228 ne ha creato una figura criminosa autonoma e speciale rispetto a quella di cui all’abrogato art. 324 c.p.

 3.Si può quindi operare una tripartizione delle varie categorie di reati che possono essere commessi dal curatore. Quelli del curatore in quanto tale; quelli contro la pubblica amministrazione che possono essere commessi dal curatore in quanto pubblico ufficiale; la categoria di tutti gli altri reati previsti dal codice penale a carico dei pubblici ufficiali in generale. La prima categoria comprende anche il reato in esame, che riveste carattere generale e sussidiario, trovando applicazione solo quando il fatto commesso non integri la fattispecie di diritto comune di cui agli articoli del codice penale, come si ricava dall’inciso della norma “salvo che non siano applicabili gli artt. …”. (5)

 

 4. La fattispecie di cui all’art. 228 è un reato di pericolo presunto, che mira a garantire la mera correttezza formale del curatore, il quale deve adempiere al proprio ufficio con una gestione limpida e cristallina. Pertanto viene incriminato il curatore che a seguito della condotta vietata abbia solamente gettato il sospetto sulla gestione medesima e, per l’appunto, creato discredito al prestigio dell’organo con possibilità che un danno derivi dal contrasto tra l’interesse privato del curatore e l’interesse pubblico cui tende il procedimento concorsuale. Si punisce, insomma, il curatore che sfrutta la sua posizione privilegiata per fini privati. (6)

Ratio della tutela penale così apprestata non è soltanto la salvaguardia dell’amministrazione fallimentare, dell’impresa e dei terzi interessati, ma soprattutto la tutela dell’onestà e dell’integrità di azione dei soggetti qualificati indipendentemente dal danno o dal pericolo per le gestioni ad essi affidate. Ne consegue che l’integrazione del delitto è indipendente dalla revoca o meno della procedura concorsuale in occasione del quale il reato sia stato realizzato.

 5.L’interesse tutelato dalla norma viene comunemente individuato nella salvaguardia della genuinità e del regolare ed ordinato svolgimento della procedura fallimentare ed in particolare nel prestigio dell’amministrazione della giustizia e della pubblica amministrazione. Un interesse all’imparzialità ed obiettività che lede l’ordinato svolgimento della procedura senza, però, che ne derivi una connotazione plurioffensiva dell’illecito. (7)

Nonostante, infatti, si venga a delineare un’alternanza di fasi giurisdizionali e amministrative, trattasi pur sempre di un’unica combinazione inserita in un’unitaria struttura procedimentale. (8)

La struttura del delitto in esame ricalca quello previsto dall’art. 324 c.p. a carico del pubblico ufficiale che prende un interesse privato in qualsiasi atto della pubblica amministrazione presso la quale esercita il suo ufficio. Con l’abrogatio criminis di cui alla L. 86/90 e l’inserimento della nuova fattispecie di cui all’art. 323 c.p. si viene a coprire il terreno di cui all’art. 228, con un’apertura nei confronti di tutti i pubblici ufficiali e non solo del curatore. Si potrebbe, pertanto, definire la norma in esame come “avveniristica” rispetto all’attuale impianto dei reati contro la pubblica amministrazione. Da tale interpretazione dissente il Tribunale di Milano che, discostandosi dalla giurisprudenza unanime motiva che, “nel linguaggio comune, il vocabolo “privato” è pure sinonimo di “proprio o personale”, quindi, come si è esattamente osservato, nulla vieta di ritenere che nell’art. 324 il termine sia stato usato in tale ultimo significato, forse per non ripetere la parola “personale” troppo vicina all’altra “per interposta persona”(9). Deve pertanto concludersi che, ad avviso dei giudici milanesi, “l’interesse privato” di cui agli artt. 324 c.p. e 228 L.F. sia soltanto l’“interesse personale” del pubblico ufficiale o del curatore della procedura fallimentare e non quello di terzi.

 

 6. L’elemento oggettivo si rinviene nell’interesse privato di uno qualsiasi degli atti connessi alle funzioni tipiche del curatore. E per interesse si deve intendere non solo quello proprio del curatore, ma anche quello di terzi estranei alle finalità proprie dell’amministrazione fallimentare, anche se realizzato in un atto del fallimento. Tale assunto è facilmente intuibile dal tenore “direttamente o per interposta persona”.

Nessuna rilevanza assume, pure, la circostanza che l’atto sia o meno legittimo, o attuato illecitamente, o che abbia attitudine a recare un danno e altresì il conseguimento da parte dell’agente di un vantaggio economicamente apprezzabile. (10)

 

 7. Il reato di cui all’art. 228 L.F. si consuma nel momento in cui il curatore attua l’interesse privato, senza che rilevi il conseguimento o meno dell’utile, o la realizzazione del danno o del pericolo. (11)

 

 8. Da tale considerazione si desume che è ipotizzabile il tentativo, potendo il curatore compiere atti idonei diretti in modo non equivoco a realizzare un interesse privato senza però riuscirvi per cause non dipendenti dalla sua volontà, come ad esempio il tempestivo intervento del giudice delegato o del comitato dei creditori. (12)

 

 9. L’elemento psicologico che caratterizza il reato di interesse privato del curatore è il dolo consistente nella volontà di realizzare un interesse privato con l’ulteriore consapevolezza che questo si ricollega alla procedura fallimentare. (13)

 

 10. L’intermediario risponderà alla stessa pena prevista per il soggetto qualificato. (14)

 

 11. E’ da escludere la possibilità che si possa configurare il concorso formale di reati qualora il fatto criminoso del curatore integri contemporaneamente la violazione di cui all’art. 228 e quella degli artt. 316 c.p. ss. In tali casi il curatore risponderà del solo reato comune. Tale conclusione la si deduce con chiarezza dall’esordio della norma che, per espressa riserva, fa salvi i casi in cui non siano applicabili le disposizioni concernenti i reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. (15)

 

B i b l i o g r a f i a

 (1): ZANOTTI, Diritto penale commerciale 1. I reati nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, AA.VV. coordinati da E.Carletti, Torino, 1995, 467 ss.

 (2): Cass. 6 maggio 1966, Diritto fallimentare, 1966, II, 474.

 (3): Fallimento, 1995, 237 – 238.

 (4): Foro Italiano Repertorio, 1994, 563.

 (5): PAJARDI, Codice del fallimento, Milano, 1990, 1365 ss.

 (6): QUATRARO, Il curatore fallimentare, Milano, 1997, 1086 ss.

 (7): ZANOTTI, op. cit., 474.

 (8): BONSIGNORI, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, Padova, 1980, 50 ss.

 (9): Trib. Milano, 14 ottobre – 24 novembre 1978, Temi, 1978, 441.

 (10): Cass. 22 maggio 1967, Cass. pen. Mass., 1968, 1021.

 (11): ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, leggi complementari, vol. II, Milano, 1995, 189 ss.

 (12): LA MONICA, I reati fallimentari, Milano, 1972, 516.

 (13): PAJARDI, op. cit., 1369.

 (14): ANTOLISEI, op. cit., 190.

 (15): ANTOLISEI, op. cit., 190.