Una trattazione relativa a fenomeni posti al confine tra diritto d'autore e tecnologia, quali ad esempio le implicazioni giuridiche delle misure tecnologiche di protezione e le facoltà, presenti in capo all'utente, connesse all'utilizzo di opere dell'intelletto umano in formato digitale, non può prescindere da un continuo confronto con la storia sottesa a tale diritto, ed a tale tecnologia.
Un occhio critico, che analizzi le istanze e le problematiche emerse nel corso dei secoli, non potrà infatti che giungere più preparato all'analisi delle istanze e delle problematiche moderne: questo perché in ogni campo dello scibile, la storia insegna all'uomo da dove viene, dove si trova, e dove può andare, in una ciclicità spazio-temporale che racchiude le umane vicende, anche quelle attinenti al diritto.
Fin dalle prime invenzioni e dalle prime scoperte avvenute nell'era preistorica, l'attività umana e la tecnologia hanno vissuto un legame strettissimo ed insostituibile, la prima traendo spunto dalle possibilità offerte dalla seconda, e la seconda evolvendosi in virtù delle esigenze della prima.
Non fa eccezione a questo legame l'espressione del pensiero, delle idee e della creatività.
Fin dagli albori della civiltà, l'uomo ha difatti sempre avvertito il bisogno di esprimere se stesso, le proprie idee, i sentimenti riposti dentro di sé, attraverso ogni forma comunicativa che il contesto sociale ha messo di periodo in periodo a sua disposizione: la narrazione orale, la scrittura, la musica, le arti figurative e quelle informatiche. Ne La Divina Commedia di Dante Alighieri come in Girl from Ipanema di Frank Sinatra, ne Il Bacio di Hayez come in Super Mario di Nintendo, è sempre presente un'ambizione - uno stimolo - da parte degli autori: comunicare qualcosa ai propri simili, che sia insegnamento morale, passione o semplice intrattenimento.
Nel corso della storia l'uomo ha gradualmente compreso il valore economico nascosto dietro l'espressione della propria creatività: se molte persone amavano, ad esempio, ascoltare delle storie o della musica, era infatti probabile che almeno alcune di loro fossero disposte a pagare un prezzo per farlo.
Ma finché la riproduzione dell'opera (ad esempio di un libro) rimaneva lenta e costosa, la questione delle prerogative - non solo economiche ma anche morali - dell'autore sulla propria opera era avvertita solo relativamente: era infatti abitudine dei letterati, e degli artisti in generale, cercare protezione a corte e vivere di dediche al signore che li manteneva.
Il diritto d'autore rappresentava, insomma, una problematica ancora acerba, proprio perché esso - come ogni attività umana - si ancorava e tuttora si àncora strettamente alla tecnologia: ebbene, almeno fino a tutto il Medioevo quest'ultima non risultava ancora pronta a dare vita a quella vasta diffusione di un'opera, la quale avrebbe per la prima volta posto concretamente il tema dell'affermazione proprietaria dell'autore sulle singole copie della sua opera. Due sono, in particolare, i momenti che nel corso della storia hanno influenzato e trasformato notevolmente il concetto di copia: il primo è l'invenzione della stampa, il secondo è la rivoluzione digitale.
L'invenzione della stampa a caratteri mobili, risalente al 1455 ad opera di Gutenberg, porta con sé la conseguenza di stravolgere il concetto stesso di copia di un libro: se prima l'espressione delle proprie idee era affidata alla pagina vergata, grazie alla stampa l'uomo scopre la possibilità di diffondere il frutto del suo lavoro intellettuale ad un pubblico più vasto; utilizzando la tecnologia a caratteri mobili, diviene infatti possibile creare una copia perfetta (perché non soggetta agli errori di ricopiatura degli amanuensi) di un'opera e produrla in serie, dando un decisivo sviluppo alla diffusione della cultura.
L'invenzione della stampa comporta però, oltre ad indubbi benefici socio-culturali, anche delle problematiche giuridico-economiche del tutto nuove: lo stampatore - che si accorda con l'autore per ottenere l'esclusiva su una determinata opera - spende infatti una cifra notevole per avviare la propria attività di riproduzione e di distribuzione di quell'opera, ed è dunque facile comprendere la sua necessità di tutelarsi giuridicamente dai concorrenti i quali, dando alle stampe la medesima opera senza averne il diritto, dimostrino di non voler rispettare tale accordo esclusivo.
Nasce così l'esigenza di un diritto proprietario sull'opera, affiancato dalla facoltà di sanzionare chi non lo rispetti: è questo il privilegio di stampare, un diritto esclusivo che, per risultare effettivo, richiede la registrazione dell'opera all'apposita gilda degli stampatori.
Nasce quindi in nuce il diritto d'autore, quale prerogativa proprietaria sull'opera registrata: una prerogativa che, da un lato, concede al richiedente l'esclusiva facoltà di dare alle stampa l'opera e, dall'altro, sanziona quegli stampatori che tengano la medesima condotta in maniera però illegale.
È il punto che segna l'avvio del lungo percorso del diritto d'autore, il quale molto presto è interessato da una biforcazione giuridica: da una parte il copyright anglosassone, dall'altra il droit d'auteur continentale.
Molte sono le diversità tra i due istituti, ma anche le somiglianze: si rinviene, infatti, attorno alla natura di entrambi, un sempre più maturo e significativo dibattito giuridico tra chi - secondo una lettura giusnaturalista - li qualifica come diritti correlati all'essenza dell'uomo ed alla naturale proprietà sul frutto del proprio lavoro intellettuale, e chi invece - secondo una lettura giuspositivista - li inquadra quali semplici incentivi economici posti dal legislatore al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione della cultura.
Tale dibattito, che ha per protagonisti alcuni dei più illustri pensatori di ogni epoca, arriva fino ai giorni nostri, continuando ad argomentare - con nuove qualificazioni di vecchie idee - un dualismo in merito al diritto d'autore che finisce per avere radici quasi escatologiche.
La rivoluzione digitale, d'altra parte, se pone nuove problematiche (tanto giuridiche quanto commerciali) in merito al diritto d'autore, insinua anche vecchie questioni irrisolte e semplicemente aggiornate secondo il percorso compiuto dalla tecnologia.
Istituire un parallelo tra gli albori del diritto d'autore cartaceo ed il medesimo diritto nell'era digitale è infatti relativamente semplice:
al netto del riconoscimento sempre più ampio dei diritti in capo all'autore di un'opera, il vero fulcro della questione è ancora oggi, come sempre, l'interesse economico relativo all'attività editoriale. Tanto per i libri stampati, quanto per i contenuti digitali, la preoccupazione principale degli editori è quella di assicurarsi una privativa monopolistica sulla propria attività, che ne salvaguardi l'aspetto remunerativo.
Il punto di equilibrio tra questo interesse proprietario, ed il diverso interesse sotteso alla diffusione della cultura ed alla libertà di fruizione dell'opera (posto in capo al consumatore, se non addirittura alla società nel suo insieme) rischia però di essere spostato, nella traslazione delle problematiche del diritto d'autore dall'ambito cartaceo a quello digitale, sempre più a vantaggio degli editori.
Se è infatti innegabile che il digitale - consentendo una riproduzione perfetta, immediata ed infinita dell'opera - apre ad una diffusione illegale di copie non autorizzate in proporzioni mai affrontate prima, è anche vero che le soluzioni approntate dal legislatore (o, per meglio dire, imposte al legislatore dalla tecnologia e dagli interessi economici degli editori) risultano talvolta eccessivamente restrittive delle facoltà dei consumatori.
In particolare, i Digital Rights Management (una modalità di gestione e di controllo della fruizione dei contenuti digitali) finiscono con l'imporre delle condizioni di utilizzo riduttive dell'opera tutelata, ed aprono a problematiche giuridiche nuove e trasversali.
Il funzionamento dei DRM, ingerendosi nella fruizione del contenuto, coinvolge difatti una pluralità di questioni e di ambiti giuridici che va ben oltre la semplice traslazione, nel contesto digitale, delle classiche facoltà concesse al titolare del diritto d'autore: il controllo pervasivo del DRM irrompe nella sfera della privacy del consumatore; è idoneo ad imporre di fatto clausole contrattuali e condizioni d'uso restrittive dell'utilizzo del bene digitale; ha la possibilità di autotutelare tali condizioni d'uso, mediante la sanzione tecnologica degli utilizzi non conformi alla volontà contrattualmente imposta dal titolare del diritto.
I DRM pongono, in sostanza, significative problematiche giuridiche di libertà contrattuale, da un lato, e di superamento della dimensione giuridica da parte della dimensione tecnologica, dall'altro, delineando un contesto in cui è il titolare del contenuto, prima e più del legislatore, ad impostare i termini dell'equilibrio (ma sarebbe meglio dire dello squilibrio) tra interesse economico proprietario ed interesse pubblico alla fruizione del contenuto ed alla diffusione della cultura.
E se è vero che tradizionalmente esistono delle clausole di salvaguardia volte a garantire l'effettività di tale equilibrio, quali ad esempio il fair use o le libere utilizzazioni di un'opera tutelata da diritto d'autore, è vero anche che i DRM (ma più di essi le legislazioni del diritto d'autore digitale, che non hanno ben compreso le pervasive facoltà da essi garantite) possono limitare l'applicabilità di tali clausole, in ambiente digitale, ben oltre quanto accade nel contesto materiale.
Il digitale pone poi altre problematiche, in relazione ai contenuti tutelati da diritto d'autore, le quali si giocano tutte sul decisivo snodo interpretativo tra la vendita e la semplice concessione di una licenza d'uso sul contenuto.
Se la prima, che rappresenta l'abitualità del contesto materiale, è idonea a trasferire la proprietà del bene tutelato da diritto d'autore, garantendone all'acquirente la piena disponibilità, la seconda invece limita l'ambito di questa disponibilità, non trasferisce la proprietà del contenuto, e concede al consumatore il semplice diritto, non esclusivo e non trasferibile, di utilizzare il contenuto per cui ha pagato.
Uno sguardo alla prima visione giurisprudenziale in materia consente di affermare che proprio questa seconda lettura dell'acquisto di un bene digitale è per lungo tempo prevalsa; bisogna tuttavia evidenziare come, di recente, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea abbia interpretato il proprio ruolo di armonizzazione del diritto comunitario in senso contrario all'orientamento giurisprudenziale citato, alla luce di una volontà equilibratrice tra i contrapposti interessi sottesi al diritto d'autore digitale.
La Corte ha infatti statuito, in particolare con la sentenza Used Soft c. Oracle, la piena equiparazione tra i diritti che l'utente può vantare sulla copia digitale rispetto a quelli di cui può godere per la copia materiale, compresa la facoltà di rivendere l'opera digitale legittimamente acquistata, alla quale viene infatti applicato il principio di esaurimento.
Uno sguardo alla questione da un'angolazione non giuridica, ma economico-commerciale, risulta poi necessario al fine di comprendere appieno la portata (anche giuridicamente) rivoluzionaria della copia digitale: se il legislatore - statunitense quanto europeo - dimostra un certo lassismo nel disciplinare con coerenza il diritto d'autore digitale e se la giurisprudenza - europea molto più che statunitense - si dimostra pronta a riconoscere l'equiparazione tra copia digitale e fisica di un software, senza però giungere alla naturale conclusione di quest'epifania giuridica, sono invece gli attori del mercato dei contenuti digitali a comprendere, almeno in parte, l'importanza del passo successivo, e cioè dell'estensione del diritto alla rivendita digitale dal contesto del software in senso stretto (inteso come programma per elaboratore) al contesto dei contenuti digitali generalmente intesi.
Nasce proprio da questa riflessione la richiesta, da parte di aziende quali Apple ed Amazon, di un brevetto per la creazione di un vero e proprio mercato secondario per la vendita di contenuti digitali usati.
La questione è complessa, per una pluralità di motivi.
In primo luogo, per le incertezze giuridiche dovute ad un ondivago quadro giurisprudenziale che, in assenza di una normativa matura e coerente, cerca di tracciare un percorso più logico possibile, non senza difficoltà, alla disponibilità dell'opera digitale.
In secondo luogo, per la concreta difficoltà nel parlare di "usato digitale", sia in ambito giuridico che in ambito commerciale: nessuna diminuzione di valore è infatti insita nella copia digitale usata rispetto a quella nuova, con i conseguenti problemi che è facile intuire.
In terzo luogo, per l'annosa ed a tratti ancora irrisolta discrepanza tra vendita e licenza d'uso, due concetti tanto vicini o tanto distanti, a seconda del contenuto digitale preso in considerazione (a causa, in Europa, della differenza tra l'ambito della legge generale, Direttiva 2001/29 e quello della lex specialis, Direttiva 2009/24: solo la seconda prevede l'applicabilità del principio di esaurimento alla fattispecie digitale), ma posti alla base dell'intero discorso circa la rivendibilità dei beni digitali: lecita, nel caso in cui il bene sia venduto, e si applichi dunque il principio di esaurimento (con conseguente trasferimento della proprietà); illecita, nel caso in cui il bene sia concesso in licenza, una licenza non trasferibile a terzi e che peraltro non trasferisce la proprietà del bene digitale all'acquirente.
D'altra parte, nell'affrontare ognuna delle tematiche accennate, è sempre opportuno rivolgere uno sguardo al profilo comparatistico, attese la globalità della tematica del diritto d'autore e l'impossibilità di tracciarne un quadro coerente e completo se lo si delimita al solo ordinamento europeo; così come non può mancare, nell'analisi del fenomeno giuridico-tecnologico, il riferimento a casi giurisprudenziali, che affrontano le diverse problematiche del diritto d'autore digitale: un ambito giuridico che, forse più di altri, avverte la necessità di un'impostazione giurisprudenziale, se non creativa del diritto, quantomeno attenta ad adattare nel modo più moderno possibile l'inadeguata legge esistente ad istanze giuridico-tecnologiche sempre nuove e diverse.
Questo, ovviamente, senza dimenticare che, se è vero che il diritto d'autore si ammoderna con l'evolversi delle esigenze della società (venendo incontro all'ambito tecnologico inteso come informatico, in un contesto in cui la dematerializzazione dei contenuti crea nuovi scenari e nuove problematiche), è vero anche che - è bene rimarcarlo - le istanze sottese a questo diritto rispecchiano, nell'era digitale come in quella del privilegio di stampare, la medesima contrapposizione di interessi, tra quelli economici privati e quello pubblico alla diffusione della cultura.
Il delicato equilibrio tra questi interessi è espressione della volontà della società, quindi dell'uomo; tanto più questo equilibrio risulterà giusto ed equidistante dalle singole istanze (non solo giuridicamente, ma anche eticamente), tanto più sarà espressione di una società culturalmente progredita ed attenta a conciliare davvero le esigenze di ognuno.