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Il testamento olografo informatico: nuovissime applicazioni di un antico istituto

Scritto da Marco Francesco Ayari

Premessa

L’espressione “testamento informatico”, locuzione questa che sembra avere un che di fantascientifico, in un mondo che ormai non osta più alla realizzazione delle più remote fantasie di ingegneri e programmatori di ogni specie, rende quantomeno singolare l’accostamento tra termini che si riferiscono ad “ere” giuridiche completamente diverse e ictu oculi del tutto estranee le une dalle altre.

In effetti tale connubio è il risultato della fusione di due concetti giuridici che distano tra loro più di venti secoli: l’uno — il testamento, per come lo intendiamo noi oggi — è da far risalire agli albori del diritto romano; basti pensare alle forme più arcaiche di questo istituto, come il testamentum calatis comitiis o il testamentum per aes et libram. L’altro ha origine nella scienza telematica, la quale, per conquistare il carattere dell’autonomia, ha dovuto attendere la seconda metà del XX secolo, quando il computer era poco più di un calcolatore e internet giaceva ancora nella sua forma embrionale all’interno del progetto ARPANET.

Cos’hanno in comune dunque questi istituti così diversi?

La risposta è tanto immediata, quanto apparentemente scontata: l’uomo. È l’uomo, infatti, che, rappresentando il sottile, ma fondamentale file rouge, crea la legge (latu sensu): da un lato mediante la produzione normativa degli elementi regolatori dei rapporti privati all’interno di una società civile e, dall’altro, tramite le istruzioni logiche non equivoche, seguendo le quali alla lettera, si giunge ( rectius, il computer giunge) alla realizzazione di un risultato preordinato.

Riguardando dunque l’uomo, è chiaro che tale premessa non può che estendersi al rapporto intercorso tra la sua volontà e la tecnologia.

Si parla di volontà, poiché il testamento altro non è che la concretizzazione in chiave giuridica della volontà, sempre revocabile, di un soggetto, il quale dispone delle sue sostanze o di parte di esse per il tempo in cui avrà cessato di vivere (sic art. 587 c.c.)

Brevi cenni di evoluzione del rapporto tra testamento e tecnologia

Nelle sue primissime forme — siamo ai primordi del diritto romano— il testamento neppure aveva la qualifica di documento: la forma principale di pubblicità avveniva mediante la formula dell’oralità e la attribuzione della qualità di heres avveniva dinanzi ai comitia curiata, i quali si riunivano all’uopo due volte l’anno. È evidente che, in un contesto sociale come questo appena descritto, all’interno del quale diritto e religione ancora soffrivano di uno strano sincretismo dai tratti misticheggianti, la validità della disposizione testamentaria era tenuta in piedi da due semplici e concorrenti elementi: la presenza dei comitia curiata e la assenza, nella parentela del testatore, di un heres sui, a favore del quale, se esistente, si sarebbe devoluta l’intera eredità.

In età postclassica si sviluppò, poi, il testamentum per aes et libram, con il quale il regime della solennità e della pubblicità variava. Il testamento nella forma librale, avveniva secondo i canoni della mancipatio, avente ad oggetto il compendio dei beni testamentari, la cui composizione era dichiarata seguendo le dovute formalità, spesso trascritte su tabulae ceratae, sigillate dai cinque testimoni puberi e del libripens.

L’evoluzione del diritto romano, portata avanti soprattutto grazie all’opera dei pretores urbani, giunse al punto in cui era possibile concedere ai chiamati all’eredità la c.d. bonorum possessio secundum tabulas. Essa, come è facile immaginare, permetteva l’immissione nel possesso dei beni del defunto anche nei casi in cui l’acquisto non fosse stato possibile secondo lo ius civile, purché materialmente esistessero le tabulae del testamento, sigillate da sette testimoni.

Tali forme testamentaria poi, vennero sostituite in epoca giustinianea con il c.d. testamentum tripertitum: con cui si indicava l’atto di natura documentale che proveniva dal testatore e contrassegnato dal sigillo di sette testimoni, la cui redazione fu, in seguito, attribuita ad un notaio.

Senza voler entrare eccessivamente nel merito di ciascuna delle suesposte modalità di manifestazione della volontà testamentaria, ci limitiamo a sottolineare l’unico elemento principale di evoluzione ai fini della nostra indagine: ferma restando la volontà di testare — elemento costante di ogni testamento — l’elemento che cambia, aggiornandosi alle esigenze giuridiche e sociali del periodo, è il suo supporto.

Dalla fase della pubblicità, mediante l’oralità, si arriva in poco meno di mille anni alla scrittura su tavolette cerate prima e su pergamene e carta nei secoli successivi.

Il testamento e il computer

Rebus sic stantibus, appare chiaro che l’evoluzione dell’istituto del testamento si sia modellata anche sulla scorta dell’evoluzione tecnologica dei relativi supporti, per tali volendo intendere gli elementi idonei a fissare in modo permanente e, quindi, inalterabile le disposizioni del testatore, sì da poter garantire l’ossequioso rispetto della sua volontà, a partire dal momento in cui l’atto dispiega i suoi effetti.

Prima di porre la questione oggetto di trattazione, è utile ricordare che, nel nostro ordinamento, le uniche forme testamentarie ordinarie sono: il testamento olografo e il testamento redatto per atto di notaio (il quale, come è noto, può essere pubblico o segreto).

Sia per l’uno che per l’altro tipo di testamento il legislatore ha previsto la forma scritta, seppure in modalità differenti — dovendo il testamento redatto per atto di notaio possedere necessariamente la forma dell’atto pubblico.

Poiché, dunque, entrambe le tipologie testamentarie richiedono l’utilizzo della forma documentale, ossia di uno strumento che renda, mediante la forma scritta, prova dell’effettiva volontà del testatore, ci si chiede se l’utilizzo del supporto informatico possa in qualche modo sostituire quello cartaceo, dando vita, nel testamento olografo, ad un “testamento informatico” in riferimento alla forma dell’atto.

Il testamento olografo

La disciplina del testamento olografo è tra le più severe del codice civile, giacché non ammette, né contempla direttamente o indirettamente ipotesi difformi dal dettato normativo espressamente previste dall’art. 602 c.c., il quale afferma, al primo comma, che il testamento olografo «[..] dev’essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano dal testatore».

E gli elementi di cui sopra devono risultare nell’atto in modo indefettibile e congiunto, il che postula che la mancata applicazione anche solo di una delle disposizioni in esame inficerebbe la validità del testamento

Già dall’analisi di queste prime parole della disposizione in esame, apparirebbe, quindi, inverosimile, se non impossibile, l’ipotesi di utilizzare un qualunque strumento informatico per la redazione del testamento da parte del de cuius. Tale concetto è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha sempre escluso sia — naturalmente – l’intromissione di terzi nella redazione della scheda testamentaria, sia gli interventi con mezzi meccanici, ivi compresi la macchina da scrivere e il computer.

La ratio è chiara: in entrambi i casi — e persino nell’alfabeto Braille— i caratteri che vengono impressi, sul foglio di carta o sul foglio elettronico, impediscono la corretta individuazione della persona del testatore, dal momento che sono segni che possono essere utilizzati da qualunque persona indistinguibilmente.

C’è, tuttavia, un particolare di non irrilevante importanza: l’esistenza della firma digitale.

Ben potrebbe, infatti, in una remota ipotesi, il testatore, redigere il documento testamentario con l’ausilio di un software informatico, firmarlo digitalmente, — magari chiudendolo con la propria chiave pubblica — e poi consegnare materialmente la smart card al notaio, il quale, al momento di apertura della successione, aprirebbe il testamento redatto mediante il computer, utilizzando la chiave privata del de cuius.

O ancora lo stesso testatore, dopo aver redatto la scheda testamentaria, potrebbe criptarla e spedirla a se medesimo, facendo uso della posta elettronica certificata e sfruttandone, quindi, i caratteri della garanzia di provenienza e di autenticità insiti in tale istituto.

Vediamo quali sono i profili dinamici delle ipotesi sinora esposte.

In realtà, il primo e più importante problema che si viene a determinare nei casi di cui sopra, accomunandoli, attiene ad uno dei limiti della firma digitale, considerata nel suo insieme: la smart card.

Se, infatti, è vero che la firma digitale è un particolare tipo di firma elettronica qualificata, ossia, «una firma elettronica avanzata che sia basata su un certificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma», allora ciò implica che la firma digitale, e con essa la crittografia che da questa procede, sia indissolubilmente connessa con il dispositivo che la crea: il software incorporato nella smart card.

Tale sistema, infatti, è privo di un algoritmo che identifichi realmente l’identità della persona che lo utilizzi, essendo sufficiente per un suo uso, il possesso della card medesima e la conoscenza di un pin. Ben potrebbe astrattamente il testatore aver lasciato incustodita la propria card, permettendo quindi che terzi ne possano disporre, illecitamente. Per di più, gli strumenti probatori che gli eredi, eventualmente delegittimati dal falso testamento, potrebbero utilizzare, sono piuttosto lontani dal potere di disconoscere il documento informatico con la stessa “facilità” con la quale si disconoscerebbe un manoscritto apocrifo.

Un altro limite per il quale la firma digitale di un documento elettronico renderebbe vana la consegna del medesimo al notaio, pur se debitamente criptato, è il periodo di validità della stessa.

La firma elettronica, infatti, per legge, e per garantire che il suo collegamento all’identità della persona fisica sia effettivo, ha durata — e quindi validità— limitata, dovendo il titolare procedere, periodicamente, al rinnovo della medesima.

Il che, com’è ovvio, non si attua per la propria grafia, la quale è impiegabile fin che fisicamente (e psichicamente) il testatore sia in grado di usarla, adempiendo, in tal modo, alla funzione di conferma definitiva e di autenticità delle disposizioni testamentarie: a tal fine la sottoscrizione, in calce al documento manoscritto, assolve proprio alla necessità di stabilire con certezza assoluta la provenienza della scheda testamentaria dal testatore e la sua precisa individuazione.

La ratio che anima, quindi, le previsioni normative in merito al testamento olografo, non contempla l’utilizzo del pc per la redazione della scheda testamentaria, perché il legislatore considera lo strumento della grafia personale ancora l’unico realmente idoneo a connettere lo scritto di un soggetto alla sua reale identità.

Ma se ciò è vero, allora pensiamo a come potrebbe dispiegare i suoi effetti un documento redatto come segue:

Tizio, proprietario di un ingente patrimonio, e, disponendo di una tecnologia ormai di diffusione comune, trasfonde su un foglio elettronico la propria grafia, servendosi di un software in grado di acquisire dinamicamente il movimento di uno pennino, messo in moto direttamente dalla sua mano. Il pennino, emulando la penna su un foglio di carta, trasforma lo scritto in formato digitale.

Tale scritto, che comprende, nel caso di specie, le disposizioni dei beni di Tizio da rendersi efficaci dopo che lo stesso avrà cessato di vivere, è datato e da lui sottoscritto.

Com’è evidente, tale tipologia di documento informatico, che reca in sé i prodigi della grafometria e della relativa firma, rispecchia pedissequamente il dettato normativo di cui all’art. 602, primo comma, c.c., di cui sopra. A tal proposito, non si vede il motivo per il quale una tipologia di testamento così redatta non possa godere degli effetti di cui al codice civile, in materia di testamento olografo.

Il testatore, però, dubbioso, potrebbe obiettare che tale forma testamentaria non sia in realtà conforme ai dettami del codice civile, perché la “dematerializzazione” apportata mediante la videoscrittura, sarebbe tale da far scomparire (e non semplicemente trasformare) il supporto sul quale resterebbero impresse le sue volontà.

E’ appena il caso di effettuare un piccolo, ma necessario, chiarimento.

Il concetto di dematerializzazione, che sembra essersi diffuso drasticamente e in modo coevo al commercio informatico, è, in realtà, del tutto estraneo ad esso.

Ciò perché, per quanto tale termine possa essere diventato sinonimo di “digitalizzazione”, rappresenta invece un concetto assai diverso: infatti, la dematerializzazione implicherebbe una sostanziale distruzione di ogni supporto fisico che sottragga lo stesso o il suo contenuto all’occhio o alla manualità dell’uomo.

In realtà, seppure al livello digitale il foglio elettronico — che simula un foglio di carta bianca — appaia come irreale, nel senso di “impalpabile”, questo non significa che i dati in esso contenuti non siano supportati da alcunché.

Com’è noto, infatti, ogni minimo dato salvato digitalmente, è “posizionato”, “impresso” su un supporto fisico palpabile (l’hard disk, il CD-Rom, il DVD, le memorie flash, ecc.), all’interno del quale ogni piccola informazione, (ogni bit), che racchiuda in sé lo scarto minimo di informazioni per distinguere due eventi equiprobabili, è classificata — cioè è convertita — in un sistema numerico binario (0 e 1).

Pertanto, ancorché trasformato, il testamento olografo continuerebbe, a nostro parere, a servirsi, per esistere, di un supporto reale.

Se, poi, il testatore dovesse riscontrare ulteriori perplessità in merito alla validità del testamento, non gli resterebbe — una volta vergatolo a mano sul tablet, mediante il pennino — che collegare il dispositivo ad una stampante e lasciare che siano impresse su carta le sue volontà.